Cercano tutte un raggio di sole all'ombra del re e si odiano, nel buio di un'ossessione, senza trovare luce. Le ragazze di Silvio, l'anagrafe che confonde vizi e responsabilità, le intercettazioni, i servi sciocchi, il corpo del capo e i nostri anni senza tempo, così vicini e così lontani a un film già visto che ora Roberta Torre vorrebbe ornare con le sue suggestioni. In attesa di trovare il pane che le permetta di mettere in scena "Rose e matematica", l'opera sul nonno Pierluigi, mente rapida, genio mutevole, inventore della Lambretta e delle trasvolate di Balbo: «Ho presentato la sceneggiatura, ma dalla tv di Stato mi hanno fatto sapere che non rientra nella politica aziendale», la regista di "Tano da Morire" vira sul presente.
Piazza di Spagna, rumoroso pomeriggio di febbraio. In una sala da tè che sembra un angolo di Ottocento, Roberta l'apolide muove occhi e pensiero descrivendo l'ultima eresia. Lavora di notte, si consola all'idea di aver lasciato per sempre la Lombardia: «Non sono certa che Roma mi somigli, ma dalle nevrosi milanesi sono fuggita senza rimpianti» e dipana il progetto che occuperà il suo 2011: «Girerò la storia di Patrizia D'Addario e di tutte le bellezze incatenate da un'illusione. Sarà un musical sull'era del bunga bunga, una favola lieve che attraverserà sentieri grevi, un apologo su un universo parcellizzato».
Torre, la genesi dell'idea?
«Desideravo raccontare, con tocco chapliniano, un Paese in cui la fantasia supera costantemente la realtà. Per riuscire nell'impresa però, l'unica possibilità era esplorare il grottesco senza cadere nell'inganno della cronaca politica. Immaginare un'opera buffa tra le alcove, l'istantanea cantata di un'allegra dissoluzione».
Titolo?
«"La caduta dell'impero", ma è provvisorio. Come tutto intorno a noi».
E Patrizia D'Addario?
«È il simbolo del motto flaianeo, della situazione seria ma non grave, del letto in piazza sul quale milioni di persone vogliono sdraiarsi per saperne di più. L'ho incontrata a Napoli. Abbiamo parlato. Mi ha offerto suggerimenti, anche involontari».
Che impressione le ha fatto?
«Come tutte le donne di Berlusconi, anche D'Addario è un personaggio tragico. Transitorio. Sono stata una settimana in America e Ruby era già in secondo piano, superata da Sara Tommasi. Da giovane Patrizia faceva la prestigiatrice, ma la magia non le è riuscita. Dall'avventura a Palazzo Grazioli ha tratto solo guai e quelle registrazioni amatoriali, con le lenzuola che frusciano e la voce del padrone in sottofondo, le hanno provocato più danni che vantaggi. Come 007 ha perso, come eroina sessista anche. È stata strumentalizzata, offesa, usata. È un peccato perché a osservarla con attenzione, possiede una sua dignità».
Non ha patria.
«Né cittadinanza. Se va in una piazza di sinistra le urlano "puttana", se si affaccia a un congresso di centrodestra le sussurrano "zoccola". Anche il suo progetto, edificare un residence, è un simbolismo rovesciato. Gli uomini più importanti della sua vita volevano diventare ricchi con gru e mattoni. Costruire cattedrali. Invece l'hanno distrutta e abbandonata in un deserto».
Reciterà nel suo film?
«No. Patrizia vuole solo che si narri questa storia anche dal suo punto di vista».
La accontenterà?
«Ci proverò. Però, più in là della sua singola parabola, a me interessa dipingere una satira che non risparmi nessuno degli attori del ventennio berlusconiano. Non farò nomi, perché tanto i personaggi saranno molto riconoscibili. Ci saranno Leporello, la maîtresse hygiéniste, il ragionier Spinelli e naturalmente il premier».
Chi lo interpreterà?
«Vorrei volti sconosciuti con un'eccezione. Sarei felice di scritturare Joe Pesci. Un Berlusconi perfetto. Piccolo, espressivo, capace di sottili vendette, interessato alla rappresentazione teatrale dell'amplesso, più che al sesso in quanto tale».
Non si risparmi. Siamo curiosi.
«Nella prima scena, la macchina inquadra una mano intenta a ordinare maniacalmente una casa per le bambole. Stanze curate, vestiti di pregio, bagni con le maniglie d'oro. A ogni miniatura, corrisponde una ragazza. Silvio dialoga, le rassicura, a volte le delude: "Mi dispiace cara, cerca di capire, stasera non posso portarti con me"».
Vada avanti.
«I consiglieri politici gli porgono dispacci che lui allontana sdegnoso: "Adesso non ho tempo", poi torna, con amore, alla sua unica passione. E dalla prima casa, si passa agli altri rifugi, dove tra incomprensioni e rancori, si consuma la lotta tra le fanciulle per essere la preferita di B. L'Olgettina è ovviamente una delle location perché nel vortice cambiano i nomi, ma l'unico elemento a rimanere immutato è lo scenario».
Altre rivelazioni?
«La conversazione con Patrizia D'Addario, la lettura dei giornali e l'irredimibile attrazione per il pessimo gusto di Berlusconi hanno rappresentato una miniera inesauribile. Prenda la piscina di Arcore».
L'ha vista?
«Ho avuto questo immeritato privilegio. Si estende verso l'alto, circondata da lugubri listelli di legno e colonne. È impersonale, non diversamente da uno studio tv. Particolari importanti perché, come è noto, dio abita nel dettaglio. Più in generale, Arcore perpetua quell'afrore di morte anticipata e di mausoleo che un giorno spinse Putin, invitato a visitare quello disegnato da Cascella, a rifiutare toccandosi platealmente».
Eravamo alla piscina.
«Nell'acqua stagnante, come ippopotami, le vergini cadono lanciate dall'alto. Intorno, nuotano mostri a cui abbiamo fatto l'abitudine. Berlusconi ha mitridatizzato l'Italia e mentre il suo pubblico lo applaude, incasellando nel moralismo chiunque si indigni, lui se ne frega e prosegue a succhiare linfa ai giovani per rimanere vivo. Veronica Lario aveva capito tutto. Sapeva».
Ci lasci un ultimo indizio.
«Anni fa sono stata a Tokyo. L'ultimo giovedì del mese, in un grattacielo, organizzano un'orgia collettiva. Paghi, entri e fai quel che vuoi. C'è un uomo travestito da panda, con un costume enorme. La gente tira giù la cerniera, si infila nel vestito e ne esce soddisfatta. Ho immaginato che Silvio possa odiare i panda, per via di certe ascendenze orientali. Insieme ai miei complici ho immaginato una romanza: "Panda, detesto i panda/ son tutti comunisti/ coi loro occhi tristi/ la rossa Cina manda"».
Altri versi?
«Or taccio il mio parlare/ si dia sfogo alla tromba/ la mia pompetta romba/ lasciatemi godere».
Chiarissima. Torniamo al film, chi lo produrrà?
«L'idea, come capirà, non ha entusiasmato né Rai né Mediaset. Stiamo cercando soldi in Germania, ci vorrà qualche mese».
È ottimista?
«Il denaro lo troveremo, ma in Italia il cinema è mafiosissimo. Se non rientri nei canoni del conformismo o non scegli gli attori imposti dagli agenti, semplicemente non esisti. Un giorno metterò finalmente in atto lo scherzo che covo da anni».
Dica.
«Presentare il copione originale di "Rashomon" ai dirigenti Rai con il titolo cambiato in "L'estate di Marco". Farmelo bocciare con le solite osservazioni sciatte e poi sillabare, senza emozione: "Era Kurosawa, ha vinto Leone d'oro e Oscar"».
Però il nostro cinema sembra star bene.
«Ci si gloria dei recenti incassi che sarebbero un'ottima cosa, se solo venissero reinvestiti sulla sperimentazione. Invece, niente. Zero. Il familismo pretende che della famiglia si parli solo entusiasticamente. A Venezia non mi pare sia stato un trionfo».
Che fa, infierisce?
«Basta un Quentin Tarantino per certificare davanti al mondo che il nostro sistema (con l'eccezione dei soliti Garrone e Sorrentino) è inadeguato. Non mi stupisco, mi amareggio. Le "quote latte" non ci porteranno lontano, la mafietta neanche».
Dura.
«Il mio "I baci mai dati" era al Sundance. Un festival importante, un proscenio vero. Ho chiamato una signora che veicola il nostro cinema all'estero. Ero raggiante».
Le ha fatto festa?
«Era affranta. "Ma allora non hanno preso il film di Costanzo? E neanche quell'altro?". Poi mi ha salutato frettolosamente».
Si lamenta, però con Cattleya ha lavorato.
«E mi sono trovata malissimo. Non ho avuto nessuna libertà di espressione. "Mare nero" era un occhio sul fenomeno dello scambismo. Avevo girato l'Italia per mesi, ricavandone un materiale sconvolgente. Milioni di persone che da Nord a Sud si accoppiano malamente in stanze buie. Mogli offerte dai mariti a 40 uomini contemporaneamente che magari, la mattina dopo, vanno in classe ad insegnare. Hanno tagliato tutto. "Roberta, non c'è bisogno di fare vedere i corpi. Accenniamo, è meglio"».
Avete litigato?
«Impossibile. Il dissidio è già rapporto. Decidono loro. Con il film su Patrizia, se non mi arrestano, andrà diversamente».
E il film su suo nonno Pierluigi Torre?
«Gliel'ho detto. L'hanno ignorato. Allora ho preso carta e penna e ho scritto ai dirigenti Rai: "Io lo realizzerò comunque, voi occupate poltrone senza merito"».
I rapporti tra voi ora come sono?
«Inesistenti, ma era nel conto. Non puoi dare dell'idiota a qualcuno e poi pretendere di sederti a tavola con lui».