Diego Urbina ha 27 anni. Per 520 giorni starà chiuso in un veicolo pronto per atterrare sul Pianeta Rosso. Per scoprire se quel viaggio è davvero possibile

Un italiano su Marte

L'hanno chiamata "Strategia globale di esplorazione umana dello spazio". E vede impegnata l'Agenzia spaziale europea (Esa) insieme ad altre 13 agenzie spaziali, inclusa quella italiana. Con un obiettivo: camminare sulle rosse sabbie di Marte.

Se sarà un italiano a farlo realmente è presto per dirlo. Ma di certo lo è uno degli ingegneri protagonisti di una spedizione senza precedenti per durata e complessità: sono sei volontari e sono in missione dallo scorso giugno. Simulata, però: per verificare la fattibilità di quella reale. Per 520 giorni l'ingegnere ventisettenne Diego Urbina, insieme a un francese, tre russi e un cinese vivrà dentro un'astronave che riproduce nei dettagli l'ambiente, le manovre, la vita quotidiana, l'atmosfera e la dieta di un veicolo diretto su Marte. Se tutto va bene, gli scienziati avranno in mano tutte le informazioni necessarie per progettare il viaggio vero e proprio. A breve, come annuncia Giovanni Bignami nel box di pagina 137: il bambino o la bambina che metterà piede su Marte è, infatti, già nato.

Certo non potrà essere Urbina, che però ha le idee chiare: "Quando partirà il primo volo per Marte, potrò pensare che ho contribuito a renderlo possibile. Spero solo di arrivare a vederlo". Ma anche se essere in Mars500, come è stata chiamata la missione virtuale, è già un'impresa. Lui e l'ingegnere francese, infatti, si sono imposti fra 300 aspiranti europei. Perché per salire sull'astronave bisogna essere praticamente perfetti. "Non avevo idea che un essere umano potesse ricevere tanti esami medici", racconta l'ingegnere, che ha passato mesi a prepararsi con lezioni teoriche ed esercitazioni tecniche, con prove di survival nei boschi, simulazioni di incidenti, fratture e compagni incoscienti.

Poi, l'astronave: un bunker nel cuore di Mosca. E il viaggio virtuale che a febbraio li ha portati nell'orbita di Marte, dove tre di loro sono sbarcati in tuta spaziale sulla sabbia rossa del pianeta, in una camera che riproduce atmosfera, temperatura, luce e pressione marziane. E ora sono ripartiti alla volta della Terra, dove rientreranno a novembre. Anche se, come racconta Urbina, "l'isolamento è così totale che potrei essere ovunque, in fondo al mare come in Siberia, o in viaggio per Marte". Con l'astronave sulla via del ritorno, ancorché virtuale, è ora di bilanci. E agli scienziati tocca a questo punto capire quali sono le tecnologie indispensabili per accompagnare l'uomo nel viaggio più ardito che abbia mai intrapreso, e se un essere umano può davvero affrontare una missione così lunga e complessa.

Il corpo va in tilt

Lo spazio mette a dura prova il fisico umano. Senza la trazione della gravità muscoli e ossa si indeboliscono. Ma non solo. "I ritmi circadiani si modificano perché mancano molti dei sincronizzatori esterni del tempo, che non sono solo i cicli luce/buio ma anche gli stimoli sociali e le abitudini di vita", spiega Felice Strollo, direttore dell'Unità Operativa Endocrinologia e Malattie Metaboliche dell'Inrca di Roma. L'isolamento protratto inoltre può indurre reazioni di stress che alterano il controllo ormonale e neurovegetativo, e quindi il metabolismo. Per esempio il cortisolo, ormone dello stress, fa aumentare la glicemia e il grasso viscerale; quando il grasso viscerale è troppo, il sangue fatica a irrorarlo, così si creano micro-aree ischemiche in cui le cellule muoiono; questo innesca reazioni infiammatorie, che peggiorano ulteriormente la sofferenza dei muscoli e il metabolismo dei grassi. Tutti effetti esacerbati poi dalla scarsa mobilità.

Non solo: i segni lasciati sul corpo dalla vita spaziale sono del tutto simili a quelli dell'invecchiamento. Ma al rientro, più o meno lentamente, regrediscono. Si è osservato cosa accade al corpo degli astronauti che passano sei mesi sulla Stazione spaziale: i muscoli tornano pienamente efficienti dopo parecchi mesi, mentre le ossa impiegano ancora più tempo a normalizzarsi. E visti l'ineluttabilità delle alterazioni e il lento recupero, qualcuno ipotizza addirittura danni irreversibili che precluderebbero ai marsonauti il riadattamento alla Terra. "Non è detto che prolungando la permanenza tutto peggiori. In uno studio preparatorio a Mars500, fatto da altri sei volontari rimasti nel bunker per 105 giorni, abbiamo visto che le alterazioni iniziali di alcuni parametri rientravano poi spontaneamente", conclude Strollo. Per vedere cosa accade stando un anno e mezzo nello spazio bisognerà attendere che i sei escano dal bunker moscovita.

Le testa oltre le nuvole
In ambiente marziano, i sei sono costretti a interagire sempre e solo tra loro con mille difficoltà da superare. "Devono essere estremamente autonomi perché possono contare solo sulle proprie risorse, senza gli aiuti esterni di cui siamo abituati a confidare", spiega la psicologa dell'Enea Denise Ferravante, che con Fabio Ferlazzo della Sapienza di Roma, e Berna Van Baarsen dell'Università di Amsterdam, studia gli effetti delle dinamiche di gruppo e della solitudine.

Lo stress da isolamento non incide solo sull'umore, ma anche su facoltà cognitive essenziali per adattarsi a un ambiente così esigente. Nello studio pilota durato 105 giorni già citato da Strollo, gli astronauti si sentivano sempre più soli col passare nel tempo, e con il senso di solitudine crescevano le difficoltà a ricordare le cose da fare, insieme a una distorsione del senso del tempo potenzialmente decisiva nelle emergenze in cui le decisioni vanno prese molto rapidamente. C'era inoltre maggiore difficoltà a ignorare le informazioni irrilevanti per portare a termine un compito, e questo comprometteva le prestazioni.

"Ora stiamo verificando come si sviluppano questi processi su tempi più lunghi, e quali elementi incidono di più sulle prestazioni", spiega Ferravante: "Così potremo perfezionare i test che scrutinano i candidati alle missioni, e individuare le migliori contromisure". E a questo proposito i volontari di Mars500 hanno già testato una possibile contromisura. "Giunti nell'orbita marziana simulata, quando hanno aperto il lander, i membri dell'equipaggio hanno trovato piccoli regali messi dai familiari", racconta Di Pippo: "Per spezzare la monotonia e mantenere il contatto con la Terra". E i risultati sembrano buoni: gli astronauti finora non hanno perso colpi nell'affrontare i problemi pratici. Nonostante siano stati sottoposti ad alcuni imprevisti: sono state interrotte per un po' le comunicazioni, o simulate delle avarie. Conclude Di Pippo: "Erano perfettamente addestrati a queste situazioni e le hanno affrontate egregiamente".

Compagni di viaggio

In "Cronache marziane" di Ray Bradbury i marziani, dopo aver sopraffatto varie spedizioni di umani, soccombono inermi a un altro invasore terrestre che gli umani avevano inavvertitamente portato con sé: il morbillo. Dire che i sei marsonauti sono soli non è esatto: anche se non ci sono grandi timori di incontri con germi alieni, gli umani sono accompagnati da miliardi e miliardi di microbi terrestri, una compagnia che nello spazio può provocare conseguenze impreviste. E non solo per le insidie dei patogeni su corpi debilitati dai rigori del viaggio.

"In un ambiente abitato confinato, dove trovano temperatura e umidità ideali, i microbi proliferano in abbondanza e possono danneggiare le strutture", spiega Francesco Canganella, del Dipartimento di Agrobiologia dell'Università della Tuscia: "Nello spazio la situazione è drammatica, sia per la distanza, sia perché gli ambienti sono quanto mai stipati. Così, soprattutto dietro scatole e container, i microbi formano patine invisibili molto difficili da rimuovere, i biofilm, che alla lunga potrebbero alterare i sensori antincendio, rompere i cavi elettrici o corrodere alcune componenti della struttura, cosa che nello spazio può mettere a rischio la sopravvivenza".

Perciò il team di Canganella ha appeso nell'astronave pannelli di alluminio (prodotto da Thales Alenia Space di Torino), trattati all'origine con sei diverse procedure tese a frenare la biocontaminazione senza bisogno di disinfezione: dall'acqua ossigenata alla propoli, dall'argento ad antibatterici microbici biotech. "Ogni tre mesi gli astronauti prelevano campioni dai pannelli e ce li inviano, alla fine vedremo quali trattamenti hanno funzionato", conclude l'agrobiologo.

Made in Italy
I pannelli di Thales Alenia Space e i contributi degli scienziati citati sono la punta dell'iceberg del made in Italy impegnato nella corsa verso il pianeta rosso. Ricercatori e imprese italiane sono massicciamente coinvolti in Mars500: Aldo Roda dell'Università di Bologna studia la salute gastrointestinale dei marsonauti, Angela Maria Rizzo e Bruno Berra dell'Università di Milano indagano il ruolo degli acidi grassi omega-3 nel mantenere il tono dell'umore. Il centro Extreme - che vede insieme Cnr, Università e Scuola superiore Sant'Anna di Pisa - misura gli effetti dello stress sul sonno, e la fondazione Maugeri di Milano studia come incidono le alte concentrazioni di anidride carbonica nell'aria. Poi, le aziende, in primis quelle alimentari (Granarolo, Colussi, Coswell, Also-Enervit) per fornire alimenti e integratori high tech, dai classici fermenti lattici a una speciale cioccolata antiossidante per una dieta che sia, per quanto possibile, tanto salubre quanto piacevole. Sofar ed Esaote forniscono invece farmaci e strumenti biomedicali.

Tutti in attesa di veder uscire i sei da bunker per cominciare davvero a tirare le fila. E prepararsi, commenta Di Pippo, "al vero viaggio verso quel pianeta che forse un tempo era abitabile e che magari un giorno lo sarà di nuovo".

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Referendum 8-9 giugno, una battaglia per i diritti - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 30 maggio, è disponibile in edicola e in app