Esce mercoledì 'Ribelle - The Brave', il nuovo cartone della Disney. La protagonista è una ragazza che sfida tutte le convenzioni: e anziché sognare il lieto fine sull'altare, lotta per la sua indipendenza

Ricci, vistosi, indomabili. Merida dai fiammanti capelli rossi è la protagonista dell'ultima fiaba cinematografica firmata Disney e Pixar, "Ribelle-The Brave", in arrivo nelle sale italiane il 5 settembre. La storia di un'arciera, figlia di un re scozzese, Fergus, e di una regina altera come Lady Macbeth, che ad assecondare un destino da principessa tradizionale non ci sta: odia le tiare, detesta il rosa, rifugge da abiti voluminosi, strascichi e paillettes. È ghiotta di dolci e torte, purché non nuziali.

Perché in "The Brave" non ci sono principi in vista o inclinazioni romantiche. Al contrario, prevale la volontà di scoprire la propria strada («Io non voglio sposarmi, voglio rimanere single e sciogliere i miei capelli al vento e attraversare la valle al galoppo»). E il significato del vero coraggio. Una rivoluzione. Non solo rispetto all'eroina precedente, la dolce Rapunzel dalla chioma bionda, ma all'intero immaginario per bambine che Disney alimenta da sempre: da Biancaneve, che attende il bacio del principe, a Cenerentola che convola a nozze sul cavallo bianco; da Ariel la sirenetta, che si mette contro il padre per un colpo di fulmine a Belle de "La bella e la Bestia", che sa andare oltre le apparenze ma per un matrimonio da sogno. Atipica anche rispetto a quelle figure più interessate a inseguire i loro ideali che a trovare marito: Pocahontas, che sposerà il capitano Smith, o la virile Mulan che, crossdressing a parte, e la fierezza di riportare a casa una spada anziché un uomo, lascia intendere un futuro col suo Shang. Merida no: scorazza per le Highland, combatte contro gli orsi, sfida i maschi. E stravince. Decisa a governare il suo futuro.

«Come cambiare il destino. Merida avverte le costrizioni di una vita al castello e cerca di mutarne il corso», spiega Mark Andrews, regista con Brenda Chapman. Entrambi dicono di essersi ispirati alle loro esperienze familiari. E alla realtà di bambine ostinate, e motivate a realizzare se stesse. «C'è una ragione per la quale molti troveranno questa storia così vera e attuale: è basata su un rapporto reale», dice Chapman. «Avevo a che fare con mia figlia, così forte nonostante i suoi quattro anni. E mi chiedevo: come sarà da adolescente?». È pensando a ragazze indipendenti, insofferenti alle discriminazioni di genere, lontanissime dall'idea di un matrimonio a tutti i costi, che è nata questa storia. Un cambio di aspirazioni e prospettive che il film registra attraverso la conflittualità di Merida con la madre, che per la figlia sogna un matrimonio capace di consolidare il regno: donna lei sì di un tempo, di quelle che esercitano il potere nell'ombra. E Merida si oppone. Un no che non è solo l'istintiva, fisiologica reazione di una figlia in contrasto con la madre. Ma il fulcro emotivo e il messaggio stesso del film. Dirompente, come la forza di chi lo propone: quella casa Disney che, tra lungometraggi, libri, giochi e la pervasività di 25 mila prodotti di merchandising, ha fatto dell'universo delle principesse un imprescindibile passaggio dell'infanzia globale. Una svolta che non è sfuggita ai commentatori stranieri. «Un documento femminista mainstream», l'ha definito "Forbes". «Una produzione ad altissimo budget, non una storia indipendente destinata a una visione di nicchia. Al contrario, un film che milioni di bambini vedranno, interiorizzandone l'etica». «Disney ha trovato la cura contro gli stereotipi», ha scritto il "New York Times" parlando anche di Dottie, protagonista afroamericana di cartoni per la tv. «Un messaggio alle ragazze di oggi sulle doti per avere successo», nota "Slate".

Storia di formazione, parabola femminista, elogio della singletudine, o solo invito a posticipare la soluzione romantica alla realizzazione di sé, certo è che non si era mai visto un personaggio così atipico ("Entertainment Weekly" ha persino insinuato che Merida sia gay). Se piacerà alle bambine (i botteghini Usa hanno incassato 66 milioni solo nel primo weekend), è da verificare. Ma è già un merito che quella stessa Pixar di John Lasseter, che ha fatto emozionare con una casa trascinata da un grappolo di palloncini ("Up"), con un robottino capace di ripulire il mondo ("Wall-e") o con un topino che diventa chef ("Ratatouille"), prosegua su strade non scontate. Come Merida, principessa decisa ad affermarsi da sola. Consapevole dei rischi. «Sei disposta a pagare le conseguenze della tua libertà?», chiede la madre. La modernità del personaggio è anche nel modo in cui affronta il suo diverso destino: senza spavalderia, ma col dubbio di quale sia il limite. «Fino a che punto ci si può ribellare? Come si può scegliere la propria strada, continuando a rispettare la famiglia e le sue aspettative?», nota la produttrice Katherine Sarafian. Solo su un punto Merida ha le idee chiare. E le urla, arco teso, ai ragazzini attoniti riuniti per conquistarla: «Io sono Merida, e voglio gareggiare per ottenere la mia mano». Il cambiamento è avvenuto. E ha il suo grido di battaglia.

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