«Il 90 per cento dell'acqua che consumiamo è incorporata nel cibo che mangiamo», spiega Allan: «Questo perché la coltivazione e l'allevamento ne richiedono vaste quantità. È quella che noi chiamiamo "acqua alimentare", ed è persa per sempre». Da vent'anni ormai il professore inglese cerca di spiegare al mondo perché le aziende dovrebbero essere costrette a dichiarare la loro "impronta" sull'ecosistema, smettendo di sfruttarlo come se fosse inesauribile ed aiutando tutti (gli agricoltori in primo luogo) a rendere più efficiente il consumo delle risorse naturali. Si chiama "terza riga finale" del bilancio, e significherebbe costringere le aziende ad indicare il costo ambientale di ogni prodotto: «È una profonda sfida politica», sostiene Allan: «Promossa da scienziati e attivisti fin dagli anni '70. Non chiediamo che di tenere conto delle tre dimensioni di ogni attività: quella economica, quella sociale e quella ambientale».
Gli agricoltori o gli allevatori però, insiste il professore, non possono essere lasciati soli a trovare nuovi metodi con cui limitare gli sprechi di una risorsa preziosa come l'acqua. Sono gli stati e le aziende che si riforniscono da loro a doverli aiutare: «Negli ultimi anni la domanda di acqua è aumentata più che mai», continua Allan: «Con pressioni enormi sugli ecosistemi idrici naturali, causati soprattutto dell'aumento demografico».
Ora ci troviamo così, dice il professore, di fronte a un nuovo possibile fallimento del sistema capitalistico, accelerato dalla crisi finanziaria: «I player della filiera alimentare che comprano le materie prime dagli agricoltori fanno ossessivamente a gara per fornire cibo a basso costo», spiega Allan: «Cosa che si può ottenere solo se non si paga il prezzo dello sfruttamento degli ecosistemi idrici. Nessuno è ancora riuscito a convincere i consumatori a riconoscere l'importanza della natura». La giovane designer italiana Angela Morelli ci ha provato, spiegando la nostra impronta idrica quotidiana con un'infografica che non lascia spazio a dubbi.

Considerando che un uomo mediamente ha bisogno di 2500 calorie al giorno e una donna di 2000 il conto è semplice. «Le strutture dei governi e le relative agenzie per la ricerca scientifica non hanno ancora adottato l'idea che l'acqua alimentare, così rilevante dal punto di vista strategico, sia parte integrante delle filiere alimentari», accusa il professore: «E ci sono ben pochi indizi che facciano sperare in un cambiamento. L'Italia dovrebbe unirsi alle organizzazioni non governative che stanno cercando di sensibilizzare su un consumo attento e salutare del cibo».