Si chiama 'Mars One' il progetto lanciato da un imprenditore olandese per fondare la prima colonia permanente sul Pianeta Rosso. Nel 2024 partiranno in quattro per un viaggio di sola andata. Ecco le storie dei candidati italiani

La tuta spaziale, pochi oggetti personali, la valigia piena di ricordi, un abbraccio ai familiari e agli amici più cari. E in tasca il biglietto di sola andata per Marte, a ottanta milioni di chilometri dalla Terra. Chissà cosa proveranno, nel 2024, i quattro astronauti a bordo della navicella che li porterà a fondare la prima colonia umana permanente sul pianeta rosso. È questa la vera novità del progetto Mars One, lanciato due anni fa dall’imprenditore olandese Bas Lansdorp, 37 anni, ex ricercatore dell’University of technology di Delft, che finora ha finanziato quasi in toto l’operazione. A differenza dalle altre missioni di esplorazione umana che prevedono il ritorno sulla Terra, Mars One ha cominciato a selezionare donne e uomini pronti a trascorrere il resto della propria vita su Marte.

Sembra una follia, ma a sostenere il progetto c’è un comitato consultivo di esperti: tra gli altri, il fisico olandese e premio Nobel Gerard ’t Hooft, Mason Peck, docente di Ingegneria aerospaziale alla Cornell University e fino all’anno scorso chief technologist alla Nasa, scienziati e imprenditori.

I primi quattro “marsonauti” saranno i pionieri di una nuova civiltà: ogni 26 mesi, infatti, secondo i piani partiranno altri quattro volontari. «È una missione molto impegnativa, quasi fantascientifica, non pensavo che mi avrebbero scelto. Nei progetti organizzati dalle agenzie spaziali di solito bisogna avere competenze specifiche, saper pilotare in condizioni estreme», premette Davide Micheli, 46 anni, single, uno degli 11 italiani approdati alla seconda fase della selezione di Mars One. In tutto, gli aspiranti marsonauti ancora in lizza sono 1.058, scelti tra 200 mila candidati di ogni parte del mondo. Di recente, Micheli e gli altri hanno consegnato all’organizzazione il certificato medico che attesta il proprio stato di salute. Nel 2015 i primi 24 prescelti verranno assunti da Mars One, inizieranno l’addestramento e di anno in anno dovranno superare esami e test medici in vista del lancio, in programma tra dieci anni. In caso di imprevisti potranno venir rimpiazzati fino all’ultimo istante. Secondo il piano, saranno sei i gruppi (rigorosamente misti) da quattro astronauti in grado di partire: ma solo un team affronterà la prima missione. In fila ci sono studenti, impiegati, disoccupati e professori tra i 18 e i 50 anni, con storie molto diverse tra loro.

TRA COLOMBO E MARCO POLO.
Micheli è un ingegnere astronautico, elettronico e delle telecomunicazioni. Da dieci anni collabora con il professor Mario Marchetti del dipartimento di Ingegneria astronautica elettrica ed energetica dell’Università “La Sapienza” di Roma. E di recente ha ottenuto l’abilitazione per diventare docente universitario. Alla domanda «qual è l’aspetto di Mars One che la preoccupa di più?», la risposta è spiazzante. Non riguarda affetti e relazioni sociali, come ti aspetteresti. «Mi preoccupano le radiazioni. Sulla Terra siamo protetti dal campo magnetico e l’atmosfera terrestre, mille volte più densa di quella di Marte, contribuisce a schermarci. In questa missione, invece, per i sei mesi del viaggio e durante la permanenza si è completamente esposti. Finora il tema non è stato chiarito, ma sono sicuro che gli scienziati del team terranno conto di ogni dettaglio», spiega l’ingegnere in un’aula del Saslab, in via Salaria a Roma: è il laboratorio in cui si studiano i materiali compositi e le nanotecnologie per applicazioni aerospaziali. Malgrado i rischi, però, l’entusiasmo non manca. «È appassionante l’idea di far parte dell’avanguardia di una nuova civiltà. Un po’ come Cristoforo Colombo, che scoprì l’America aprendo la strada agli altri, oppure come Marco Polo lungo la Via della Seta, tra Oriente e Occidente», aggiunge l’ingegnere.
[[ge:rep-locali:espresso:285121279]]
SOGNI DA ESPLORATORE.
Ma perché è così importante raggiungere Marte?«Per lo stesso motivo per cui è stato importante uscire dall’Africa, imparare a viaggiare sul mare, a guardare sempre più lontano: perché è nella nostra natura esplorare il mondo. È questa voglia di andare che ci ha fatto essere quello che siamo, e che ci farà essere quello che saremo»: parole di Carlo Rovelli, uno dei fisici teorici più attenti alle implicazioni filosofiche dell’indagine scientifica, direttore del gruppo di ricerca in gravità quantistica dell’Università di Aix-Marsiglia e autore del libro “La realtà non è come ci appare - La struttura elementare delle cose” (Raffaello Cortina Editore). Rovelli era tra i 200 mila candidati del progetto finanziato da Lansdorp, poi lo hanno scartato per limiti di età. «Da bambino sognavo di visitare altri mondi, negli anni Sessanta e Settanta sembrava ovvio che ci saremmo arrivati presto. Mars One è ad alto rischio, ovviamente, ma non mi sembra impossibile. Bisogna ricordare che negli anni Sessanta con una tecnologia, per esempio informatica, infinitamente più rudimentale di quella attuale, gli uomini sono arrivati sulla Luna. Oggi siamo forse più stupidi di allora?».

CERVELLI SU MARTE.
In futuro, a viaggiare nello spazio saranno sempre più spesso migranti interplanetari, non solo turisti miliardari. Mars One assomiglia a un racconto di Ray Bradbury, e anche la coincidenza (o quasi) di date è suggestiva: è ambientato nel 2026 il capitolo finale del celebre “Cronache marziane”, intitolato “Una gita d’un milione di anni”, che narra la scampagnata in barca di una famigliola in fuga dalla Terra.«È un libro che mi affascina e che tengo sempre a portata di mano», racconta Ester Bonomi, 20 anni, iscritta alla facoltà di Matematica all’Università degli Studi Milano-Bicocca e candidata a diventare un’astronauta di Mars One. «Quando ho detto ai miei genitori di aver superato la prima selezione, mi hanno preso in giro, dandomi della credulona. “Sarà solo una trovata per fare soldi”, ha tagliato corto mio padre», aggiunge la studentessa di Stezzano, vicino Bergamo, che nel tempo libero scrive brevi racconti e conosce a memoria “Guida galattica per gli autostoppisti” di Douglas Adams: «Negli ultimi tempi però mia madre si è informata meglio e ora appoggia il mio desiderio di proseguire. Sa bene che non prenderò alla leggera una scelta così importante, ha fiducia in me. Il mio ragazzo, invece, si era proposto insieme a me. È entusiasta dell’idea e spera di poter ritentare l’anno prossimo». Nell’Italia della fuga dei cervelli, l’esplorazione spaziale paradossalmente potrebbe offrire un’opportunità a chi punta sulla scienza. «Nel nostro Paese non c’è spazio per la ricerca. Dopo l’università io sarei disposta ad andare all’estero ma a malincuore, sono molto legata al luogo in cui vivo. Per assurdo, partirei più volentieri per Marte», aggiunge la studentessa.

DOLLARI E RADIAZIONI COSMICHE.
Fin dall’inizio, Mars One è stato bersagliato dalle critiche. Anzitutto per il modello di business: come trovare i sei miliardi di dollari necessari per l’operazione? Il meccanismo, a quanto pare, è simile a quello delle Olimpiadi di Londra 2012: otto miliardi di dollari raccolti tra sponsorizzazioni e pubblicità. Le prossime selezioni, infatti, cui parteciperanno gruppi di 20-40 candidati, diventeranno un reality show trasmesso in tv (realizzato dalla casa di produzione nordamericana Lionsgate) e via internet in tutto il mondo. Per dimostrare che fa sul serio, Bas Lansdorp ha firmato un accordo con il gigante americano dell’ingegneria aerospaziale Lockheed Martin e con Surrey Satellite Technology per costruire un satellite da spedire in orbita intorno al pianeta rosso nel 2018. E ha lanciato una campagna di crowdfunding su Indiegogo, raccogliendo oltre 313 mila dollari.

Anche gli aspetti tecnologici, però, suscitano perplessità: come ridurre l’esposizione degli astronauti alle radiazioni cosmiche e gararantire l’atterraggio morbido della navicella?«Almeno due membri dell’equipaggio dovranno essere in grado di riparare strumenti e risolvere problemi tecnici», spiega all’Espresso Norbert Kraft, il responsabile medico (CMO) di Mars One con esperienza di preparatore di crew alla Nasa e all’Agenzia spaziale giapponese (Jaxa). «Almeno due astronauti riceveranno una formazione medica intensiva per essere in grado di affrontare situazioni leggermente critiche, almeno uno farà studi di geologia marziana, un altro si specializzerà in esobiologia, la biologia della vita aliena». Ma come si affronterà il problema delle radiazioni? «Durante il viaggio, della durata di 210 giorni, l’esposizione dell’equipaggio sarà di 386 millisievert. Sulla superficie di Marte saranno esposti a circa 11 millisievert all’anno durante le escursioni. Ciò vuol dire che gli astronauti potranno trascorrere circa 60 anni su Marte prima di raggiungere il limite della carriera, secondo gli standard dell’Agenzia spaziale europea», conclude il medico.

VITA DA MARSONAUTI.
«Come studente di medicina conosco la pericolosità delle radiazioni, ma sono convinto che la schermatura sia tra le priorità di Mars One. E poi l’alimentazione e lo stile di vita semplici e sani di cui si godrà su Marte dovrebbero contribuire a ridurre gli eventuali danni», è sicuro Pietro Aliprandi. Studente 24enne dell’università di Trieste, è talmente entusiasta del progetto che da quando ha saputo di aver passato la prima selezione, a fine dicembre, ha intensificato jogging e sedute in palestra per essere sempre in forma. Per la tesi di laurea in Psichiatria, che discuterà a fine anno, ha scelto un argomento in tema: lo studio delle reazioni che la visione di un volto sconosciuto induce nell’individuo, dal punto di vista ormonale e del comportamento. «Ma, devo ammetterlo, se un giorno riuscirò a partire sarà un trauma lasciare sulla Terra tutte le persone che conosco», prosegue Aliprandi. Che fin da piccolo sognava di fare l’astronauta: «Terminati gli studi, ho intenzione di viaggiare e trasferirmi all’estero, dunque metto già in conto la separazione. Poi chissà, magari tra venti o trent’anni il tragitto Terra-Marte diventerà fattibile. Allora qualcuno potrebbe venire a trovarmi».

FIGLI SPAZIALI.
L’altro sentimento diffuso tra gli astronauti, il timore della solitudine, non affligge tutti alla stessa misura. Silvia Favaro, ad esempio, ama trascorrere lunghi periodi lontana dagli altri. Geologa, 29 anni, dottoranda alla Freie Universität di Berlino, sta per partire per l’Australia, chiamata dal servizio geologico nazionale.«Sarà una missione di due mesi, in cui dovrò guidare la jeep e, se serve, tirarla fuori dal fango. Non vedo l’ora», scherza. Ma quando si parla di Marte diventa seria. «È il paradiso dei geologi: ci sono solo rocce, niente esseri umani né animali. L’habitat ideale per un ricercatore». I film sullo spazio, la geologa ammette di averli visti tutti, da “2001: Odissea nello spazio” a “Gravity”, passando per quelli con gli alieni. «Ma il mio preferito, fin da bambina, resta e resterà sempre “Star Wars”, gli episodi 4-5 e 6, anche se “Gravity” è bellissimo e tutti dovrebbero vederlo. Ad avermi aperto la mente, però, è stato il film “Into the wild” di Sean Penn: per capire chi si è veramente, bisogna confrontarsi da soli con la natura almeno una volta nella vita». La famiglia, invece, rimane uno dei suoi grandi punti interrogativi. «Bambini? Non sono la mia priorità nell’immediato», chiarisce l’aspirante “marsonauta”, che al momento è single: «Per fare un figlio bisogna sentirselo, non farlo perché si è detto che su Marte si “deve”. Poi sono tanti i rischi di cui bisogna tener conto. Come si sviluppa un feto a quelle condizioni di pressione? I semi delle piante per esempio non germogliano a bassa pressione: bisogna metterli in incubatrice finché non germogliano e diventano grandicelli. L’essere umano è un meccanismo molto più complicato. Comunque, io vivo la mia vita giorno per giorno. Se capiterà, bene, ma non è questo l’obiettivo su cui voglio costruire il futuro». n

LEGGI ANCHE

L'edicola

25 aprile ora e sempre - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 18 aprile, è disponibile in edicola e in app