Pubblicità

Il Cern tra Dio e scienza

Cern
Cern

Un'immensa cattedrale della ricerca. Dove lavorano diecimila ?persone da ottanta Paesi. Per scoprire i misteri più profondi dell’universo. "L'Espresso" ci è entrato

Cern
È il più famoso laboratorio al mondo per lo studio della fisica delle particelle. Ma è anche un gigantesco esperimento di bricolage tecnologico. È il luogo in cui è stato inventato il World Wide Web e scoperto il bosone di Higgs, eppure quasi ogni tubo, ogni saldatura, ogni cavo, è a sua volta un esperimento, spesso costruito riciclando parti di altri esperimenti.

Il Cern di Ginevra è la Formula 1 della scienza, e il suo traguardo è correre nel cuore della materia. La macchina che usa per spingersi fin lì si trova cento metri sotto il pavimento, e si chiama Large Hadron Collider (Lhc): un acceleratore di particelle lungo 27 chilometri. Della scuderia però fanno parte anche altri sette acceleratori più piccoli, per un totale di quasi trenta esperimenti ideati per investigare particolari proprietà delle particelle subatomiche.

«Le questioni ancora aperte in fisica fondamentale sono numerose, cruciali e affascinanti, quindi l’entusiasmo per l’imminente riavvio dell’Lhc è grandissimo», dice Fabiola Gianotti, che dal 2016 assumerà il ruolo di direttore del Cern, «senza contare che la stessa particella di Higgs, quella di più recente scoperta e quindi la meno conosciuta, richiede misure accurate che sono appena iniziate. Il programma per arrivare a determinarne le caratteristiche e le proprietà è vasto e ci terrà occupati per diversi anni».
[[ge:rep-locali:espresso:285142777]]
Dopo uno stop tecnico di due anni, Lhc verrà riacceso in primavera e lavorerà a 13 mila miliardi di elettronvolt: un’energia enorme, quasi doppia rispetto a quella di partenza e mai raggiunta prima in un acceleratore. Nuovi livelli energetici grazie ai quali cercherà di spingere più in là la nostra conoscenza della materia. «Lhc è stato concepito e costruito per affrontare, e possibilmente risolvere, un certo numero di questioni aperte nel campo della fisica fondamentale. Fra queste, l’origine delle masse delle particelle elementari, problema in gran parte risolto con la scoperta del bosone di Higgs. Ci sono però molti altri quesiti che attendono risposte, come la composizione della misteriosa materia oscura, che costituisce circa il 25 per cento dell’universo, o l’origine dell’asimmetria tra materia e antimateria, a cui si deve l’esistenza di tanta materia nell’universo a fronte di pochissima antimateria».

I risultati conseguiti sono già molto incoraggianti, e forse era già tutto scritto nella storia della fondazione del Cern, datata 1954 e ispirata al sogno di dare corpo al nascente spirito europeo con un grande progetto di ricerca che superasse le divisioni tra i due grandi blocchi (si era in piena Guerra fredda) fermando la diaspora di menti scientifiche che aveva caratterizzato il precedente ventennio.

Quel che è certo è che oggi al Cern viene condotta oltre la metà della ricerca mondiale sulla fisica delle alte energie, in collaborazione con oltre cinquecento istituti di ricerca. «Quando fu concepito, l’Lhc poteva sembrare un progetto da folli, semplicemente delirante», dice Rosario Principe, da 21 anni al Cern e responsabile di un’unità che sviluppa e produce le alimentazioni sopraconduttrici dell’acceleratore. «Allora parte della tecnologia occorrente non era disponibile. Ad esempio, bisognava trovare delle soluzioni per trattare la gigantesca mole di informazioni che si sarebbe ottenuta. Eppure si pensò: le inventeremo, e anche tutto il resto. C’è voluta una grande fiducia nell’uomo, per immaginare che col tempo avremmo trovato quelle soluzioni, ed anche una schiera di fisici, ingegneri ed esperti in vari campi per concretizzarle».

Oltre che per fare fronte ai numerosi stop tecnici e agli incidenti che si sono succeduti negli anni. «Il cammino della ricerca è lungo e faticoso ed è costellato di momenti difficili che vanno affrontati con coraggio, umiltà e determinazione», continua Gianotti. «Non siamo arrivati al bosone di Higgs in cinque minuti: questo traguardo è il risultato di vent’anni di sforzi della comunità scientifica internazionale per costruire strumenti, come l’acceleratore Lhc e i rivelatori Atlas e Cms, senza precedenti per complessità, prestazioni e tecnologia. Cms contiene più ferro che la Torre Eiffel, Atlas usa 3.000 chilometri di cavi per trasportare i segnali provenienti dal rivelatore alle sale di controllo. Quando si lavora al limite di quello che la tecnologia permette, si devono affrontare grandi difficoltà quasi quotidianamente, e problemi inattesi che richiedono contromisure immediate. Le soluzioni innovatrici sorgono da un momento all’altro. Solo per fare un esempio, una delle industrie che producevano componenti per il rivelatore Atlas ha cambiato da un giorno all’altro un componente di una colla, e ciò è stato sufficiente a creare grossi problemi meccanici. Per fortuna ce ne siamo accorti in tempo e abbiamo rimediato».

È un posto incredibile Lhc, quell’anello sigillato nella pancia della Terra in cui si trovano anche il punto più freddo e il punto più caldo dell’universo conosciuto. Nei mesi scorsi la macchina è stata progressivamente raffreddata con elio superfluido per raggiungere una temperatura di circa -271 gradi centigradi: una temperatura vicinissima allo zero assoluto (-273 gradi) che è la temperatura più bassa dell’universo. Eppure, nel centro dei rilevatori di particelle, dove queste si scontrano dopo essere state accelerate quasi alla velocità della luce, la temperatura a dimensioni infinitesime è circa un miliardo di volte quella del centro del Sole.

Trovare materiali e apparecchiature che sopportino condizioni tanto estreme e le incredibili sollecitazioni cui queste macchine sono sottoposte, è una sfida continua. Per questo, accanto a fisici e ingegneri, al Cern lavora un nutrito plotone di tecnici, che costruiscono i “pezzi” di cui necessitano gli esperimenti, in genere introvabili in commercio. Ogni esperimento è una prima assoluta: niente del genere è mai stato realizzato prima. E deve essere immaginato e realizzato in ogni singola parte. «Il personale tecnico che lavora su questi progetti ha sviluppato una grandissima esperienza: saldature, brasature, trattamento di materiali esotici. Da anni giochiamo insieme ad inventare nuove soluzioni ai problemi che si presentano», continua Principe. «Lo scambio è continuo: i tecnici sono le levatrici che permettono alle nostre idee di venire al mondo».

Oggi al Cern lavorano oltre diecimila persone provenienti da ottanta paesi: iraniani e americani, palestinesi e israeliani, pachistani e indiani lavorano fianco a fianco per sondare la materia subatomica. E in questa gigantesca impresa l’Italia gioca un ruolo di primissimo piano. Non solo per i prestigiosi ruoli ricoperti dai circa1.700 ricercatori che lavorano lì, ma per le 1.106 imprese nazionali iscritte all’albo fornitori del Cern. «Le nostre industrie hanno prodotto componenti di altissima tecnologia e spesso si tratta di piccole e medie imprese che hanno investito in progetti innovativi e nello sviluppo di tecnologie d’avanguardia», spiega Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto nazionale di fisica nucleare. «Investire nella progettazione e nello sviluppo di tecnologie di frontiera è un processo che spesso apre la strada a nuove specializzazioni e nuovi mercati, anche esteri. L’opportunità per il sistema produttivo nazionale quindi non si esaurisce con le commesse, che pure sono state importanti. Per Lhc l’Italia è stata infatti il secondo fornitore del Cern (18,6 per cento) e il ritorno economico al sistema produttivo è stato notevole, vicino ai 340 milioni di euro nella fase di costruzione dell’acceleratore e degli esperimenti».

Inventare. Sembra questa la parola più usata al Cern. Ideare gli esperimenti, e poi inventare come costruirli. Inventare persino come ripararli. «Lhc è la fiera dell’artigianato della tecnologia», dice Lucio Rossi, responsabile del sistema dei magneti superconduttori, da 14 anni al Cern. «È fatto tutto di pezzi unici. In alcuni casi pezzi d’artista, e comunque di bravissimi artigiani. Alta tecnologia che non può fare a meno dell’uomo: un po’ come il Duomo di Milano: un’opera collettiva, firmata dal popolo che l’ha edificato pietra su pietra. Lhc è un’opera del popolo tecnologico. E il Cern è il Duomo dell’innovazione».

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità