Preservativi nella spazzatura. Ormoni nelle acque. Cerotti o anelli inquinanti. Anche il controllo delle nascite ha un impatto ambientale, dicono gli esperti. Ma togliere di mezzo il preservativo espone alle malattie sessualmente trasmissibili

Questa sera fatelo eco. Se volete evitare gravidanze indesiderate e contemporaneamente siete preoccupati dal futuro del vostro pianeta, c’è per voi un nuovo must: il “green score”, il punteggio che identifica i sistemi contraccettivi più amici dell’ambiente. Potreste ragionevolmente decidere di abbandonare il tradizionale profilattico (altamente inquinante) e preferire la spirale, assai più ecofriendly.

O magari buttare il diaframma, con tanto di crema spermicida (punteggio scarso), e farvi prescrivere un impianto ormonale sottocutaneo, quel bastoncino da inserire nella parte interna del braccio che rilascia gradualmente il progesterone per almeno tre anni, e che occupa il quinto posto nella classifica degli anticoncezionali “verdi”.

Cosa significhi esattamente “green contraception” lo ha spiegato Diana Blithe, dell’Eunice Kennedy Shriver National Institute of Child Health and Human Development di Bethesda, negli Usa all’ultimo Congresso della Società Europea della Contraccezione e della Salute riproduttiva. «Con una popolazione mondiale che toccherà i dieci miliardi per la fine del secolo, è importante che la ricerca sui contraccettivi sia indirizzata non soltanto a salvaguardare la salute delle donne, prevenendo le gravidanze indesiderate, ma si preoccupi anche di proteggere l’ambiente», dice Blithe.

Per questo i rappresentanti del Reproductive Health Technologies Project (l’associazione no profit per la libertà riproduttiva) e dell’istituto di ricerca Population Council si sono seduti intorno a un tavolo per stilare i criteri che individuano i metodi contraccettivi più ecosostenibili. Per intenderci: i materiali di cui sono composti, la possibilità di smaltirli, la quantità di sostanze rilasciate nell’ambiente dopo l’uso... Il tutto, però, unito alla loro efficacia.

Demografia
Solo il condom ci salverà 
29/12/2014
Perché ci sono metodi molto ecofriendly ma poco efficaci (come il Billings che monitora la fertilità femminile a partire dall’osservazione del muco cervicale, che nei giorni che precedono l’ovulazione è più fluido e filante) o la misurazione della temperatura basale, che varia a seconda della fase del ciclo. E altri che sono efficaci ma pesano sull’ambiente. «Il preservativo presenta un elevato livello di protezione, anche nei confronti delle malattie sessualmente trasmesse. Tuttavia deve essere utilizzato ogni volta che si ha un rapporto», spiega Emilio Arisi, ginecologo e presidente della Società Medica Italiana per la Contraccezione: «E questo lo rende altamente inquinante». Senza contare che il lattice di cui è costituito può scatenare reazioni allergiche in svariati milioni di persone, il che significa un aumento nel consumo di antistaminici, e un maggior impatto sull’ecosistema.

«Stanno arrivando sul mercato condom biodegradabili in poliuretano, estremamente resistenti e sottili e che non danno allergia. Anche i profilattici femminili, quelli da inserire direttamente in vagina prima del rapporto, sono in poliuretano», aggiunge Arisi. E qualcuno ha già pensato a come ridurre l’impatto ambientale dei preservativi: l’americana L condoms ha messo in commercio un profilattico certificato da Green America per le sue caratteristiche di sostenibilità. I prodotti sono in lattice naturale, senza additivi dannosi, senza parabeni o glicerina, e le eccedenze vengono utilizzate per fare ciabattine infradito. La confezione è priva di plastiche e riciclabile al 100 per cento, mentre le istruzioni sono stampate con inchiostro vegetale sulla parete interna del contenitore, così da evitare sprechi di carta.

Eppure non basta. Chi vuole compiere un altro passo in avanti verso la sostenibilità dovrà scegliere sistemi che durano più che il tempo strettamente necessario all’amplesso. Da questo punto di vista è la contraccezione ormonale a rappresentare un’opzione più ecologica: che si tratti di pillola, di cerotto transdermico, di iniezione, di impianto sottocutaneo o di anello vaginale, l’importante è scegliere un metodo di lunga durata, così da ottimizzare i tempi e massimizzarne l’uso. Ma attenzione: «Estrogeni e progestinici rilasciati nell’organismo femminile vengono poi escreti con le urine», spiega ancora Arisi. E inquinano fiumi e laghi.

Da questo punto di vista il più pericoloso è l’etinilestradiolo (EE), un estrogeno sintetico contenuto, per esempio, negli anelli vaginali. «Uno studio canadese pubblicato su “Pnas” ha messo in evidenza i rischi del rilascio nell’ambiente di etinilestradiolo», ricorda Diana Blithe. Nello studio, l’esposizione di una popolazione di pesci aveva portato alla femminilizzazione dei maschi e all’alterazione nella produzione di uova nelle femmine. Il problema è anche europeo: un articolo pubblicato su “Environmental Science & Technology” mostra come il 12 per cento dei fiumi del vecchio continente superi i livelli di etinilestradiolo stabiliti dalla Ue. In alcuni paesi, addirittura, i corsi inquinati oltre i livelli consentiti sarebbero il 25-33 per cento del totale.
Così, chi vuole davvero ridurre la propria impronta ecologica sul pianeta farà bene a rivolgersi ai sistemi intrauterini, che si tratti della spirale al rame o di quella medicata, a base di levonorgestrel. Nel primo caso il rischio di gravidanza indesiderata si attesta entro il 2 per cento, le materie plastiche sono presenti in quantità minime (poco meno di due grammi), ma il dispositivo può aumentare il sanguinamento mensile fino al 50 per cento, dunque moltiplicare l’uso di assorbenti femminili, con un forte impatto sull’ambiente. Il sistema intrauterino a rilascio di ormoni è più sicuro (il rischio è ridotto allo 0,2 per cento) ma resta il problema delle urine inquinanti.

Com’è evidente, dunque, il contraccettivo perfetto ancora non esiste. Dunque? Blithe spiega che i ricercatori devono progettare contraccettivi destinati a durare più a lungo, per massimizzare l’efficacia e minimizzare la necessità di sostituirli. Per esempio aumentando la biodisponibilità degli ormoni, oppure usarne un dosaggio più basso. Anche i produttori devono fare la loro parte: riducendo le dimensioni e la complessità degli imballaggi, usando materiali riciclati, riducendo la produzione di materiali di scarto. Poi è il turno delle istituzioni, che dovrebbero incentivare le aziende a sviluppare sistemi più “green”.