Mentre la guida polacca racconta la storia del ghetto di Podgórze, dove dopo l'occupazione nazista di Cracovia fu stipata la popolazione ebraica della città, tra le sessantacinquemila e le ottantamila persone, i ragazzi del gruppo del Treno della Memoria che sto seguendo restano in silenzio.
Una ragazza ha gli occhi lucidi, un altro accarezza con la mano una delle grandi seggiole-scultura in metallo che sono sparse per la piazza, un monumento alla memoria di uomini, donne, vecchi e bambini di cui non rimase nulla, se non qualche vecchio mobile.
All'angolo della piazza c'è uno dei simboli della resistenza di Cracovia al nazismo, la farmacia del dottor Pankiewicz, l'unico non ebreo che restò a vivere nel ghetto, tenendo aperta la sua bottega e aiutando la popolazione.
Qualche strada più in là, l'asilo ebraico che le SS 'svuotarono' mentre i genitori dei bambini che lo frequentavano erano al lavoro. Più in là ancora, il luogo di un'altra strage.

Mentre camminiamo, la guida fa vedere ai ragazzi i lavori in corso per rinnovare il quartiere: “Tra dieci, vent'anni questo posto che è rimasto quasi uguale a com'era durante la guerra sarà irriconoscibile. Un pezzo di memoria di Cracovia scomparirà”.
Attraversiamo la Vistola verso Kazimierz, dove per seicento anni, fino al trasferimento forzato a Podgórze, è vissuta la comunità ebraica di Cracovia. “Da qui sono passati dotti e rabbini provenienti da tutta l'Europa Orientale. C'erano sette grandi sinagoghe, oltre cento luoghi di culto” spiega raccontando ai ragazzi tradizioni, leggende, usi alimentari della vita della comunità.
Costeggiamo il cimitero ebraico, l'antica sinagoga con la cancellata punteggiata di stelle di Davide. E ancora i ristoranti ebraici per turisti, il Jewish Community Center, punto focale della piccolissima comunità di ebrei che oggi vivono qui. Da Kazimierz riattraversiamo la Vistola verso la Fabbrica di Schindler. Da cinque anni, la fabbrica vicino alla Vistola resa celebre in tutto il mondo è diventata un museo.
La città di Cracovia, mi racconta uno dei curatori, Tomasz Owoc, ha acquisito l'edificio quando la ditta di materiale elettrico che l'aveva occupata dopo la guerra è fallita. “Abbiamo voluto fare un museo che non raccontasse solo la storia di Schindler, ma l'intera storia di Cracovia durante l'occupazione nazista. Tutta la popolazione di Cracovia ci ha aiutato, portando documenti, fotografie, manifesti dell'epoca”. Il risultato è abbastanza straordinario, visivamente immediato e commovente. Qui passano trecentomila visitatori l'anno, molti stranieri. In due piani, attraverso una serie di piccole stanze a tema, si torna indietro fino al 1939 e poi avanti, in una spirale di violenza e terrore, fino al 1945. Quando Cracovia viene 'liberata' dai russi e cade, insieme al resto della Polonia, sotto l'ala sovietica.

In piccoli gruppi, i ragazzi sfilano nelle sale. Fotografano tutto con i cellulari ma non si disperdono, non chiacchierano tra loro. Hanno all'improvviso, nello sguardo, qualcosa di più adulto. Vedono, appesi ai muri, i documenti di arresto dei professori e intellettuali polacchi stilati dai tedeschi appena presero possesso della città perché, commenta la guida polacca, “se vuoi togliere a un popolo la dignità e la libertà cominci subito annientando la sua èlite culturale”.
Vedono le fotografie originali dei soldati del Reich che tagliano le barbe agli ebrei ridendo e mettendosi in posa. Vedono la foto di Amon Göth, il famigerato comandante di P?aszów che in 'Schindler's List' ha il voto di Ralph Fiennes, mentre imbraccia il fucile con cui sparava, a distanza, ai prigionieri del campo.
Poco prima di cominciare il tour del museo, una delle guide italiane che aiutano Roberto Forte e Oliviero Alotto, presidente di Terra del Fuoco, ha tenuto loro una breve introduzione nell'auditorium della fabbrica. “Di quello che avete visto oggi, e di quello che vedrete ad Auschwitz non dovete mai pensare che è stata opera di un pazzo. Fu opera di una massa di persone che era stata convinta che quella fosse la cosa giusta da fare. E l'unica arma per difendersi dalla legge della grande massa è la cultura”. I ragazzi applaudono.
Twitter @LaraCrino