Colloquio col fondatore e amministratore delegato del gruppo che da oggi sbarca nel nostro Paese. "Grazie a noi la pirateria e lo streaming illegale sono in crisi"
Reed Hastings somiglia ad Hannibal Smith e ha il sorriso ampio, bianco e largo che viene agli americani che ce l’hanno fatta e al colonnello dell’A-Team quando diceva “Adoro i piani ben riusciti”.
Il piano che è riuscito a lui e lo ha reso miliardario e, in qualche modo, rivoluzionario, è partito da un servizio di consegne a domicilio di dvd. Poi la cosa gli ha preso la mano e oggi, Hastings è il numero uno di un gruppo che non solo fattura
4 miliardi di dollari l’anno e ha 69 milioni di abbonati nel mondo, ma che si prepara a espandersi in Africa e Medio Oriente e fa tremare le vene ai polsi ai grandi colossi della televisione ‘lineare’, quella con cui tutti noi siamo cresciuti e che ci è sembra andata bene.
Mi aiuti a ricostruire la vostra storia: perché un bel giorno lei si è svegliato e ha deciso di sostituire il business nel quale eravate specializzati, la consegna di dvd, con lo streaming?In realtà non c’è stato nessun bel giorno e nessun risveglio: anche quando consegnavamo dvd sapevamo che la strada maestra era un altra. per questo nel nostro nome abbiamo inserito la parola ‘Net’, perché sapevamo che era la rete, il posto giusto dove stare. Il problema era che, quando siamo partiti, nel 1997, la strada non era ancora pronta. All’epoca internet girava con i modem a 56k, e fare streaming era impensabile. Poi le cose sono cambiate.
Come?Nel 2005 è stato trasmesso il primo video di YouTube: si trattava, almeno all’inizio , di breve video poco pesanti, ma che ci hanno permesso di vedere che sì, si poteva fare davvero. Poi, nel 2007 la banda ha raggiunto caratteristiche tali da supportare, più o meno ovunque, il traffico di file pesanti. La tecnologia era pronta. Potevamo partire.
Il passaggio dalla distribuzione dei contenuti su supporto fisico allo streaming è stata la vostra prima trasformazione. Poi ne è arrivata un’altra: avete iniziato a produrre contenuti vostri.In realtà io non volevo. Volevo continuare con la sola distribuzione. Ma il mio socio Ted Sarandos ha insistito e io mi sono lasciato convincere. Siamo partiti con “House of Cards”, e il successo è stato imponente. Poi sono arrivati “Orange is the New Black” e “Lillehammer” e poi tutto il resto, incluso cinema, documentari e programmi per bambini.
Oggi producete 27 serie, l’anno prossimo saranno 30, a cui sia aggiungono film e documentari: non sarà troppo?Quando abbiamo cominciato a produrre, la televisore americana produceva in tutto 270 serie all’anno. Oggi sono più di 400. Credo sia un bene per tutti.
In cosa le vostre produzioni sono diverse dalle altre?In primo luogo nella totale ed enorme libertà creativa che garantiamo ai nostri autori: non abbiamo vincoli né di sponsor, né di orari, né di pubblico, perché ognuno da noi guarda quello che vuole: l’unica cosa che vogliamo garantire un prodotto di qualità.
Oggi, le serie, sono la forma di narrazione che sembra avere più efficacia e successo. Il cinema, dunque, non ci basta più? Il mondo di oggi è troppo complesso per stare strizzato in un film di due ore?Non credo che sia una valutazione giusta. Io credo che il confronto tra serie e film sia giusto: sarebbe come confrontare pittura e scultura. Non ha senso. Infatti noi produciamo entrambi i generi.
Sì, però, la produzione di film è minoritaria rispetto a quella di serie, che è il vostro settore di punta.Non è del tutto vero: il cinema è un settore sul quale puntiamo moltissimo, tanto che stiamo mettendo in lavorazione un film con Brad Pitt con un budget di 100 milioni di dollari. I nostri film sono film a tutti gli effetti che escono contemporaneamente in sala e on line, raggiungendo un pubblico molto più ampio di quanto è stato possibile fare sino ad ora. Le nostra serie, d’altra parte, hanno una complessità narrativa che le fa somigliare a dei film molto lunghi, e infatti il pubblico in gran parte le guarda così, un episodio dopo altro in un weekend o poco più. Il confine è sottile.
Quando si parla di voi, inevitabilmente si parla anche di pirateria. Pensate che Netflix farà con il cinema e le serie quello che iTunes e Spotify hanno fatto con la musica, rendendo obsoleto il download illegale?I risultati ci dicono di sì. In ogni paese in cui Netflix arriva, c’è una diminuzione verticale dello streaming illegale: in Australia, per esempio, siamo presenti da solo 7 mesi e si stima che la pirateria sia diminuita del 27%.
L’idea è quella di fare in modo che, da un certo punto in poi, risulti scomodo e macchinoso rubare invece che comprare a poco.
Cosa vi aspettate dal mercato italiano?Un terzo degli utenti, da qui al 2022.
E da qui al 2016?Niente: che le persone si godano Netflix e lo provino, anche gratis. Poi vediamo. Richiedetemelo fra un anno.