La nuova grammatica dell'amore secondo Catherine Dunne
In Italia per presentare l'ultimo libro 'Un terribile amore' la scrittrice irlandese parla di amori sbagliati, parità tra i sessi e dei matrimoni gay diventati una realtà nella sua Irlanda. Con una considerazione: "Le donne vivono ancora una condizione di disuaglianza: ma cambiare lo status quo riguarda l'intera società"
Una donna che parla alle donne, che sa raccontarle, esplorarle, sviscerarne i sentimenti senza facile indulgenza o stucchevole romanticismo, ma con verità e lucidità. Questa è Catherine Dunne, l’autrice irlandese a Bologna per presentare il suo ultimo libro “Un terribile amore”, edito da Guanda e per partecipare al Festival La Violenza Illustrata, in particolare a una lectio magistralis “Una nuova grammatica amorosa” ( il 14 novembre dalle 16.00 alle 18.00 nell’aula magna di Santa Cristina in piazzetta Morandi 2) organizzata da Biblioteca Italiana delle donne, Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture moderne dell’Università di Bologna, in collaborazione con Casa delle Donne.
Molti sono i libri della Dunne che negli anni sono arrivati in cima alle classifiche, tradotti in molti paesi e forti di riscontri positivi di pubblico e critica. In Italia la sua fama ebbe un picco quando Veronica Lario scrisse a Silvio Berlusconi una celebre lettera aperta, citando il titolo di uno dei suoi romanzi più famosi “La metà di niente” per descrivere lo stato della loro relazione coniugale.
“Un terribile amore” racconta di un rapporto sbagliato tra una ragazza irlandese di 17 anni e un cipriota con il doppio dei suoi anni. Il loro destino era scritto fin dall’inizio o è stata la vita di tutti i giorni a corromperli? Come è nata questa storia? Per raccontare Calista e Alexandros sono partita da un punto preciso, ovvero il mito di Agamennone e Clitemnestra, una storia che volevo trasferire nel presente, ma le cui tappe erano già scritte. Il mio compito come scrittrice è stato quello di riportare quel mito all’oggi, rendendolo efficace e credibile, fedele all’originale, ma allo stesso tempo vivo. Credo che i miti greci siano fonte inesauribile di saggezza, di storie, e siano quindi per uno scrittore una formidabile fonte di ispirazione, perché interpretano e vanno a indagare la natura umana. E la natura umana nel corso dei secoli non cambia, è sempre la stessa.
I suoi personaggi piacciono molto alle donne, come li crea, parte da persone reali? Solitamente no, e soprattutto non in questo caso, in cui i personaggi erano quelli del mito. Pilar, l’altra donna protagonista della storia, svolge il tradizionale ruolo del coro e non era prevista fin dall’inizio, ma è un personaggio nato lungo il percorso che si è saputo imporre nello svolgersi del romanzo. Io non descrivo fatti, ma attraverso la fiction racconto verità, per questo i miei personaggi piacciono, perché risultano universali e ogni donna un po’ ci si riconosce. Il mio messaggio non è mai quello di comportarsi in un certo modo per salvarsi o evitare situazioni pericolose, ma raccontare una storia da un particolare punto di vista. Non mi pongo al di sopra di chi legge, sono una di loro.
Il suo ultimo romanzo parla di un amore corrotto e di violenza domestica. Crede che queste storie “sbagliate” lo siano fin dall’inizio o sono le circostanze a degradarle fino a un punto di non ritorno? Per Calista e Alexandros l’amore era corrotto fin dall’inizio, ricalcando quello dell’antico mito, Calista ha un carattere distruttivo che non può cambiare e ne subisce le conseguenze. Secondo un detto cinese se uccidi qualcuno è un po’ come se uccidessi te stesso, non potrai più liberarti di quel gesto. Ma nella vita reale è diverso, il destino non è scritto nelle stelle o nelle carte, noi siamo padroni del nostro destino e ce lo costruiamo giorno per giorno. L’amore corrotto non si svela in un unico tragico epilogo, durante questo percorso di distruzione emergono segnali di avviso che spesso siamo portati a ignorare, perché siamo troppo innamorati o spesso per la troppa paura di affrontare la realtà.
Qual’è oggi la forma più pericolosa di sopraffazione a danno delle donne? Ne esistono molte e tutte partono da una considerazione di disuguaglianza, dall’essere considerate esseri inferiori agli uomini: in famiglia, al lavoro, nella comunità di appartenenza. Questo scatena i soprusi. La violenza parte spesso da forme di sopraffazione: la più comune un tempo era quella economica degli uomini nei confronti delle donne: “siccome ti mantengo io, di te posso fare quello che voglio”. E se una donna si ribella non viene presa sul serio, non viene considerata, le forme di abuso sono moltissime, spesso nascoste, e per questo più preoccupanti.
Esistono vie d’uscita a questo incubo? Si, ma sono comunque senza garanzia di salvezza, dolorose e spesso molto difficili da intraprendere per le donne. L’unica strada spesso è fuggire, ma prima di farlo bisogna acquisire una notevole consapevolezza e riuscire a non essere più preda del ricatto emotivo che gli psicologi chiamano “The hook of hope” (l’uncino della speranza), ovvero un ultimo appiglio con cui l’uomo violento trattiene la donna a sé, promettendole che non lo farà più, che sarà l’ultima volta e che è cambiato, ma ciò non succede mai. La salvezza delle donne non è solo affare delle donne, è una questione culturale, dell’intera società.
L’Irlanda, da paese ultra cattolico, ha fatto storia con la vittoria del sì al referendum sui matrimoni gay. Per l’Italia molta strada è ancora da fare in questo senso. Qual’è la sua posizione? Siamo stati molto felici del risultato del referendum, un passo che definirei necessario. Se sosteniamo l’uguaglianza tra gli esseri umani è giusto che a tutti siano garantiti gli stessi diritti e il matrimonio fa parte di questi. Ma ci sono questioni, come l’aborto, in cui il mio paese è ancora molto indietro e c’è ancora da fare tantissimo. Per un caso e per l’altro, per tutte queste battaglie, non basta parlare, far sentire la propria voce è un punto di partenza, ma serve una mobilitazione allargata della società. Crediamo che i nostri governanti ci guidino, ma spesso ci seguono e non possono ignorare una mobilitazione di tutta la comunità, in questo il caso del referendum irlandese sui matrimoni gay è stato un esempio da imitare”.