Il prolifico Michael Connelly - 28 romanzi in 22 anni - sforna best seller a tamburo battente. In Italia Piemme ha appena tradotto “Il dio della colpa”, con l’avvocato Mickey Haller, quello che ha lo studio in una macchina, la Lincoln. Negli Usa esce “The Crossing”, dove il suo eroe principale, il detective (ora in pensione) Harry Bosch, appare insieme all’avvocato Haller.
E intanto Amazon Prime ha appena postato sul suo nuovo canale tv online la nuova serie “Bosch”, tratta dalle storie di Connelly, che ne è produttore esecutivo. L’attore poco conosciuto Titus Welliver è stato scelto, dopo un’estenuante ricerca tra famosi o meno, a personificare il mitico, nonché duro, giusto, morale, sentimentale, Bosch.
Connelly non si fa alcun vanto del suo strepitoso successo (è tradotto in quasi tutte le lingue del mondo, quasi cento milioni di copie vendute): aveva iniziato come cronista di nera per il “Los Angeles Times”, per poi mettersi a scrivere a ragion veduta noir ambientati strettamente a Los Angeles, e passare alla professione di scrittore di lì a poco (1994), dopo 20 anni di giornalismo.
Il pragmatico Connelly, 58 anni, esprime anzi la sua ammirazione per il più umile mestiere del reporter. «Scrivere un poliziesco credo sia più semplice rispetto al lavoro di chi deve produrre un tot di pezzi al giorno, assillato dalle scadenze, senza il lusso del blocco creativo», dice Connelly nel nostro incontro a Los Angeles (dove vive alternandosi con una casa nella nativa Florida). E comunque lo scrittore riconosce di avere più di un debito con il proprio passato di cronista. «Un’esperienza fondamentale per la mia scrittura», dice. «Il giornalismo ha affinato il mio orecchio per i dialoghi e il modo in cui parlano piedipiatti e criminali. Mi ha insegnato poi che meno è più, che bisogna badare all’essenziale. Cento dettagli insignificanti diventano uno solo, importante».
Due i film di successo tratti dai suoi romanzi, “Debito di sangue” (diretto da e con Clint Eastwood), e “The Lincoln Lawyer”, con Matthew McConaughey. Ironia della sorte, un film con Bosch protagonista non si è mai realizzato, nonostante numerosi tentativi. Ma Connelly è felice che Bosch appaia serializzato. «Mi sembra giusto così», dice. «Le storie con Bosch sono troppe per essere infilate in un singolo film: meglio così, la serie dico, sono sicuro che i miei lettori e fan saranno molto felici. Siamo riusciti, credo e spero, a rimanere molto fedeli e aderenti allo stile, trame, tono, atmosfere e soprattutto i luoghi dei miei romanzi. C’è tutta Los Angeles, quella bella e quella brutta. Bosch è anche un omaggio a questa città dai mille volti».
In effetti attraverso le storie di Bosch si potrebbe disegnare l’intera mappa della metropoli, percorsa dal detective in lungo e in largo. «Come nei libri, la serie spazia da ovest a est, nord e sud per la città. Non solo le zone conosciute e le pietre miliari, ma quelle poco viste, che so, il Los Angeles River, i ponti déco sulla Pasadena Freeway, i canali di Venice... i camioncini dei tacos che Bosch adora. L’intersezione e incrocio tra ricchezza e povertà, senso di giustizia e corruzione, voglia di taco e voglia di Martini da Frank and Musso. Tutto si fonde nella Los Angeles di Bosch, come nella mia».
Conosciuto come Harry, Bosch porta per vero nome quello di Hieronymus, il celebre pittore fiammingo, scelta curiosa per un poliziotto nella California di oggi. «Mi capitò di vedere il famoso dipinto di Bosch “Il giardino delle delizie”, con quella ruota che gira a rappresentare l’impossibilita’ di sfuggire al destino: quello che va ritorna. Nessuno può sfuggire alle proprie colpe, in qualche modo verrai travolto dalla ruota. Bosch, il detective, crede fermamente in questo, da qui il suo nome evocativo. Crede anche nel fatto che “tutti contano, o nessuno conta”, come dice spesso. Poi Bosch, il pittore, viene considerato il precursore della psicoanalisi: Bosch, il detective, non fa che sondare negli strati scabrosi del suo io, e del suo passato».
Molti tra i protagonisti più famosi dei romanzi polizieschi, da Maigret a Philip Marlowe, hanno per sempre la stessa età. Bosch no. «Comincia a sentire il peso degli anni. Fin dall’inizio ho deciso di farlo invecchiare in tempo reale. Nel primo romanzo, “La memoria del topo”, aveva 42 anni, nell’ultimo, “The Crossing”, ne ha 63 ed è ormai in pensione, controvoglia. Viene riportato all’azione dal suo fratellastro Haller, l’avvocato, per indagare come investigatore privato su un caso di omicidio poco chiaro e un cliente dell’avvocato ingiustamente - sembra - incolpato. Bosch capisce che di mezzo ci sono due poliziotti corrotti, non dico altro».
Chiediamo a Connelly se anche nella serie tv Haller e Bosch possano lavorare insieme. «Ci stiamo pensando, ovvio. Credo sia inevitabile farlo entrare in scena in qualche punto, qui e là. Ma ci sono questioni contrattuali e legali legate al personaggio e al film interpretato da McConaughey, una sorta di copyright. Hollywood è complicatissima e piena di avvocati, ho scoperto! Insomma, vedremo se la matassa legale si sbroglierà. Sarà però difficile trovare un attore che non faccia rimpiangere McConaughey nei panni del Lincoln Lawyer. Haller, come vediamo nel romanzo “Il dio della colpa”, è molto lusingato che McConaughey lo interpreti in un film».
Il lavoro televisivo è una novità per Connelly, che passa parecchio tempo sul set della serie “Bosch”.«Per me è una strana esperienza. Sono abituato a sedere da solo in una stanza davanti al computer e bestemmiare a piacimento, senza nessuno intorno a testimoniare! [ride]. Quindi questo lavoro mi costringe a essere più cordiale. Mi ha migliorato come essere umano, non c’è dubbio, e mi sto divertendo. L’esperienza collaborativa non l’avevo mai sperimentata, nemmeno come reporter, e devo dire che è una salutare boccata d’aria».
Quando deve scrivere un romanzo, comunque, Connelly lavora sempre sul campo. «Penso a temi di attualità come sfondo, poi escogito il punto A e il punto Z. Nel mezzo non so mai bene come si svolgerà la trama. Scrivo e faccio ricerca al tempo stesso. Giro per Los Angeles e parlo coi miei amici detective e agenti dell’Fbi, con cui ho stretti rapporti da quando ero cronista. Ascolto jazz, come Bosch.Vorrei realizzare un film su Frank Morgan, il mio jazzista preferito. La musica di Morgan, morto nel 2007, ha ispirato praticamente ogni mio romanzo. Quando scrivo seguo il ritmo del suo sax».