Firenze chiama Medio Oriente, al via il festival "Middle East Now"

Artisti di Gaza. Registi iracheni. L'hip hopper Yassin Alsalman. Si inaugura l'8 aprile la sesta edizione della rassegna che porta il meglio della cultura contemporanea mediorientale in Italia. Ecco gli appuntamenti da non perdere, selezionati da "l'Espresso"

I “gemelli terribili” made in Gaza. La grande signora del cinema iraniano nei suoi film di culto. I conti con il fallimento della primavera siriana, indagato dall'interno del milieu intellettuale che pensava di guidarla. L'autocoscienza di Israele in un lavoro del '67 di Amos Oz allora censurato. E Kurdistan, Iraq, Algeria nello specchio della memoria, Turchia fra est e ovest, Yemen, Egitto, Giulietta e Romeo afghani in esilio: 45 film, incontro-dibattito ogni sera alle 19.30 sui temi e i disastri dell'attualità, persino il corso di cucina palestinese e una mappa della Firenze mediorientale ignorata o rimossa, sketchbook dell'artista del Bahrein Nasser Alzayani.
EVERY DAY / Hipster photo session, downtown Istanbul / Photo by Samuel Aranda

È il Middle East Now, sesta edizione a Firenze dall'8 al 13 aprile. Fil rouge il viaggio, così dicono Lisa Chiari e Roberto Ruta, associazione Map of Creation, inventori e anima del Festival: «Viaggio nel cinema di questa fetta di mondo, nel suo immaginario come nella sua realtà restituita nei documentari. Ma anche vagabondaggio nel quotidiano contemporaneo con la mostra Everyday Middle East, progetto nato su Instagram e alimentato da 25 firme della fotografia. Nonché esplorazione delle nuove sonorità, la sera di venerdì 10 aprile, con il concerto-performance di The Narcicyst, alias Yassin Alsalman, guadagni all'ong Oxfam Italia».
The Narcisyst

Iracheno d'origine, vita fra gli Emirati e il Canada, Yassin è la star del nuovo hip hop arabo. Stile da dandy, si definisce “artista politico”: Phatwa, il suo videoclip più famoso, lo ritrae meticolosamente perquisito in un aeroporto americano, addosso la t-shirt “Iraqi is the new black”, messaggio: la complicazione di vivere da musulmano e da occidentale insieme dopo l'11 settembre, alba del terrorismo islamico.

Ecco cosa non perdere nella rassegna fiorentina.

I due gemelli Tarzan e Arab

GAZA, I GEMELLI TERRIBILI
Identici a parte l'aspetto più scompigliato uno e più composto l'altro, 27 anni, tutti e due belli robusti, Tarzan e Arab (pseudonimi di Ahmed e Mohamed Abu Nasser) sono la novità e lo scandalo della nuova arte palestinese. Presenti al Middle East Now con un documentario su di loro del regista americano Paul Fisher, con i loro due ultimi corti, With Premeditation e Apartment 10/14, nonché in carne e ossa.

Innamorati del cinema fin da adolescenti senza aver mai visto un film sul grande schermo, loro che non erano mai usciti da Gaza dove, salvo un tentativo subito abortito anni appresso, non c'è più un cinema dal 1980. Studenti di finanza e fotografia, poi artisti concettuali, cominciano a disegnare poster di film che non ci sono, «con l'idea che uno vede il manifesto e s'immagina il film».

Finché s'azzardano davvero a girare un corto di 7 minuti, Colorful journey, spacciato ovviamente come trailer di un film che in realtà non c'è: per denunciare la guerra fratricida e senza senso che da anni insanguina la Striscia. E si scontrano con un'infinità di guai: le armi le ha tutte Hamas, niente permesso di usarle per una cosa inutile come un film. E poi che film? Per dire cosa? Dov'è il nemico, Israele? Perché quei due che si puntano addosso un fucile sembrano arabi tutti e due? Che diavolo volete raccontare e a chi?

Stanno finendo il loro primo lungometraggio, pare destinato al prossimo Festival di Cannes. È girato a Gaza in un negozio di parrucchiere, fuori si spara e ci si ammazza, dentro dodici donne bloccate a causa degli scontri restituiscono, attraverso le dinamiche che si instaurano e le storie che svelano, il senso di cosa vuol dire vivere oggi nella disastrata realtà della Striscia.
The Wanted

Palestina anche in The Wanted 18, del giovane regista Amer Shomali in coppia con il veterano canadese Paul Cowan. Con interviste, disegni e animazioni ricostruisce la paradossale vicenda delle diciotto mucche che, epoca della Prima Intifada a cavallo del '90, diventano “eroine in clandestinità” per i palestinesi e “minaccia alla sicurezza” per l'esercito israeliano.
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L'AUTOCOSCIENZA D'ISRAELE
1967, Tsahal ha appena sconfitto tutti gli stati arabi confinanti con la sua folgorante Guerra dei sei giorni, ha conquistato le alture del Golan, Gerusalemme, la Cisgiordania, Gaza e l'intero Sinai, la benda sull'occhio di Moshe Dayan è il simbolo di una vittoria senza ombre né dubbi. Ma cosa si agita sotto quel clamoroso successo? Come cambia la percezione di sé di un paese, dei suoi abitanti, dei suoi stessi vittoriosi soldati? È allora che gli scrittori Amos Oz e Avraham Shapira, insieme a un gruppo di giovani kibbutzim, vanno a incontrare i soldati di ritorno dal campo di battaglia, registrano le conversazioni, vorrebbero diffonderle. Ma l'esercito lo vieta. Censura quasi tutto. Sepolte per 45 anni, oggi quelle Censored Voices, titolo del film, diventano pubbliche grazie al lavoro della giovane regista Mor Loushy. E mostrano come in quella vittoria già allignassero i germi di una sorta di disorientamento di cui Israele pagherà il prezzo nei decenni a seguire. Queste testimonianze rappresentano, con Amos Oz, la coraggiosa autocoscienza di un popolo e di una classe dirigente.
Tales

TEHRAN MON AMOUR
Ricco e affatto scontato è, come già nelle precedenti edizioni del Middle East Now, lo sguardo sull'Iran. Intanto una minirassegna dedicata a Fatemeh Motamed-Arya, “Simin” per gli appassionati, una delle grandi attrici del cinema persiano, amata per i ruoli che interpreta e pluripremiata in patria e all'estero. Ma anche finita nella lista nera per il suo appoggio al riformista Mir-Hossein Moussavi nelle contestate elezioni presidenziali del 2009 e nei gravi disordini che ne seguirono. Di lei come protagonista vengono proiettati Tales (Ghesse-ha) della regista Rakhsan Bani Etemad, l'anno scorso alla Mostra del cinema di Venezia; The blue veiled (Rusari Abi) del '95, pellicola di culto della stessa regista, storia di un amore che non conosce barriere tra un anziano vedovo e una giovane (ovviamente i due hanno contratto un “matrimonio temporaneo” come impone la legge),
The blue veiled

E infine Once upon a time, cinema, pietra miliare del cinema di Mohsen Makhmalbaf, che nel '92 racconta di un'eroina dello schermo anni Venti scivolata per magia nel mondo reale dell'harem dello Shah a fine Ottocento, con quanto di terribile e fantastico ne discende.

Da vedere anche il documentario Fest of duty, 2014, della regista Firouzeh Khosrovani, al centro una donna e l'obbligo del velo, vincitore dell' Oxfam Global Justice Award all'ultimo Idfa, International Documentary Film Festival Amsterdam.
Our terrible country

SIRIA, IL FALLIMENTO DEI LAICI
Cos'è andato storto? Perché in Siria la rivolta contro la dittatura di Assad ha generato il Califfato dei tagliagole anziché una democrazia laica? E' l'interrogativo al quale prova a rispondere Our terrible country, docufilm di Mohammad Ali Atassi, anamnesi di una disfatta della ragione esplorata attraverso la figura di Yassin al-Haj Saleh, scrittore di sinistra, 53 anni, 16 passati in galera, che vediamo nella prima scena col berretto alla Lenin e poi al suo tavolo da lavoro. La voglia di libertà e la paura della distruzione anche in From the Syrian Room, dell'artista e regista Hazem Alhamwi.
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NELLO SPECCHIO DELLA MEMORIA: KURDISTAN, IRAQ, ALGERIA
Il Kurdistan oggi, dopo la caduta di Saddam Hussein, raccontato attraverso le peripezie di una troupe che gira un film sul Kurdistan 1988, operazione Anfal, lo sterminio di un popolo (anche con i gas) a opera di Saddam. Storia rivissuta in Memories of Stone (Biraninem li ser keviri) di Shawkat Amin Korki, premiato come miglior film del mondo arabo, sezione narrativa, all'Abu Dhabi Film Festival 2014.
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Nel gioco di specchi della memoria, il personaggio del regista che tenta di girare nel Kurdistan di oggi era un bambino quando suo padre, di mestiere proiezionista, veniva arrestato per aver mandato sullo schermo un film proibito. Quel film era Yol, del curdo-turco Yilmaz Güney, girato da Serif Gören sulle sue indicazioni perché lui stava in carcere, Palma d'oro a Cannes nell'82, tuttora un cult: e oggetto di una proiezione speciale al Middle East Now.
Finding Middle East Florence Nasser Alzayani Sketchbook


Stesso premio come miglior film arabo al festival di Abu Dhabi, ma nel 2013, In the sands of Babylon di Mohammad Al Daradji: l'Iraq del '91, la spietata repressione di Saddam contro le rivolte scoppiate nel sud del paese dopo la sconfitta nella prima Guerra del Golfo, raccontati attraverso la storia di Ibrahim, perso nel deserto dopo la sconfitta e catturato dai soldati del raìs.

Una lotta di liberazione ormai lontana, quella d'Algeria fine anni Cinquanta, è invece ripercorsa in 10949 Women: incontro fra la giovane documentarista Nassima Guessoum e la protagonista Nassima Hablal, eroina oggi dimenticata, ironica, allegra, affascinante nel suo racconto di donna in guerra.
EVERY DAY MIDDLE EAST / I told Gaith that I'm jealous, Tunis / Photo by Laura Boushnak

LE NUOVE SPOSE TURCHE
La moglie di un immigrato deve conoscere il tedesco, è un obbligo di legge, in Germania. Ich Liebe Dich, della giovane e talentuosa regista turca Emine Emel Balci, segue per mesi un gruppo di donne alle prese con un corso di lingua nella scuola del loro sperduto villaggio della Turchia orientale, per poter raggiungere i mariti. Storie d'amore e d'attesa, incrocio e confusione di identità non solo linguistiche: fra quella curda della loro etnia, turca della nazione, tedesca del paese dove andranno. Della stessa Balci, anteprima italiana di Until I lose my breath, suo primo lungometraggio di fiction presentato al Festival di Berlino, storia padre-figlia ventenne a Istanbul, in stile Dardenne.

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