Parla Roberto Cingolani, direttore dell'Istituto italiano di Tecnologia di Milano. E dice: "Non ci sono abbastanza acqua né spazio per tutti per sempre"

Roberto Cingolani
E se vivessimo tutti 250 anni? La domanda se l’è posta Roberto Cingolani, 53 anni, fisico di formazione e direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Milano, fondazione di diritto privato con l’obiettivo di promuovere tecnologie avanzate applicabili a medicina, industria, informatica, robotica.
«Diciamolo brutalmente: l’ecosistema si regge ?sulla morte».

Perché?
«Tutto torna ossigeno, idrogeno, azoto e carbonio: questione di termodinamica. Non ci sono abbastanza acqua né spazio per tutti ?per sempre. Io, da scienziato e padre, penso ai miei figli. ?Ne ho tre, di 20, 16 e 6 anni. Quello di 20 crescerà ?in un mondo con 7 miliardi ?di abitanti, problemi ?energetici e disordine sociale, disoccupazione al 20%: ma ce la può fare. Quello di 6 vedrà una popolazione da 8 o 9 miliardi, stesse risorse, evidenti complicazioni del welfare e sanità insostenibile: a 50 anni avrà il problema ?di garantire terza, quarta ?età e pensione a un padre centenario. Ci saranno ?più guerre, per l’acqua, ?per l’energia. Chi è senza speranza cercherà di venire da noi. Non dimentichiamo che un miliardo di persone nei paesi ricchi consuma l’80 per cento dell’energia del pianeta, una situazione esplosiva. ?E una proiezione statistica».
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Effetti perversi della longevità estrema. Soluzioni?
«Trovare prima o poi un altro pianeta abitabile e, nel frattempo, riciclare l’acqua ?del mare in maniera meno costosa di oggi. Sperimentare nuove fonti di energia. Serve una strategia di lungo termine e può individuarla soltanto ?la scienza proiettandosi in avanti, due-tre vite dopo la nostra. I pensatori del futuro remoto (Nasa, Cern) hanno scelto strade diverse: ?la Nasa progetta esplorazioni extrasolari (nel 2010 si parlò di “100 Years Starship”, missione di sola andata nello spazio profondo finanziata dal Darpa, Defense Advanced Research Projects Agency); ?il Cern studia materia e antimateria e forse da lì arriveranno utili conoscenze sull’origine dell’Universo».

Quale parte della scienza ci offrirà risposte? La chimica? La fisica?
«Non basta il pensiero di un singolo. Servono gruppi di intellettuali misti (sociologi, psicologi, economisti, fisici, biologi) per prendere decisioni strategiche che i politici siano disposti ad ascoltare. Esempio: è ragionevole investire un milione di dollari al giorno per le guerre? Dimezzando questa spesa, sarebbe possibile recuperare acqua, cibo e istruzione. Ma siamo nel campo dell’etica sociale e le nostre società purtroppo non sono particolarmente etiche».

Esiste un modo per affrontare la sfida di questo futuro, ?i problemi e i costi della vecchiaia, le sue ricadute sulla società?
«L’intero sistema va ripensato, dall’assistenza medica alle pensioni, problema già catastrofico. ?Gli scienziati stanno già lavorando per migliorare ?la qualità di una lunga vita: per rendere possibile una diagnostica casalinga (compri un kit genetico a dieci dollari, metti saliva in una provetta, tutto fatto: così non vai in ospedale, è l’ospedale che viene da te); il robot umanoide (esiste già, è alto 1 metro e mezzo, consuma 1300 watt) assisterà gli anziani a costi accettabili; il nanodispositivo individuerà le cellule malate ?e rilascerà il medicinale; l’esoscheletro sostituirà una gamba o una mano. Ma la biodiversità esiste anche per noi umani: all’interno della stessa specie c’è l’individuo più forte e quello più debole. Pensare di livellarla e “regalare” 120 o 150 anni di vita a tutti è follia. Tra mezzo secolo avremo sconfitto il cancro e altre patologie, come è stata sconfitta la peste, ma già oggi abbiamo a che fare con nuovi batteri insensibili agli antibiotici. Noi abbiamo violato i protocolli della natura che tende a stabilire l’equilibrio termodinamico ?sul pianeta, e lei ci trova un altro nemico. Aver allungato la vita avrà conseguenze enormi, da qui a 300 anni e oltre».