"Café Society", un piccolo grande Gatsby firmato Woody Allen
Tra New York e Los Angeles, accese dalla luce color arancio di Vittorio Storaro, il film in costume con Kristen Stewart è una vera sospresa
di Emiliano Morreale
7 ottobre 2016
L'appuntamento annuale col film di Woody Allen è ormai accolto dagli appassionati sempre con devozione, ma forse senza grandi attese. Eppure, a sorpresa, può capitare che spunti fuori un capolavoro come “Blue Jasmine”, o un titolo da non sottovalutare come questo “Café Society”, che appartiene al filone dei suoi film in costume un po’ nostalgici.
Siamo a Hollywood, a fine anni Trenta, dove giunge Bobby (Jesse Eisenberg), giovane ebreo del Bronx che si mette a lavorare con lo zio, agente di divi, e si innamora della sua segretaria Vinnie (Kristen Stewart). La quale però è l’amante proprio dello zio. Bobby torna disilluso a New York e diventa uomo di successo gestendo col fratello mezzo gangster un locale di lusso.
Singolare l’uso della luce, affidata a Vittorio Storaro (è la prima collaborazione tra i due, ma anche, per entrambi, il primo film in digitale). Un eterno tramonto arancio a Los Angeles, una luce più fredda a New York. Una fotografia tutt’altro che naturale, che sembra accentuare parodisticamente dei tratti da “nostalgia movie” (in fondo gli anni Trenta rétro se li è inventati anche Storaro, illuminando “Il conformista” di Bertolucci).
[[ge:rep-locali:espresso:285233593]] Il film all’inizio ha una serie di gag riuscite (la famiglia ebrea di origine di Bobby) e che però a volte rimangono in asso (il suo incontro con una prostituta). Ma si solleva dalla media degli ultimi film di Allen perché è meno preoccupato di far quadrare i conti, di fornire dei teoremi impeccabili e un po’ prevedibili: ad esempio, il protagonista Eisenberg non è all’altezza del Joaquin Phoenix di “Irrational Man”, ma quest’ultimo film è più sorprendente. La sua minor rifinitura è il sintomo di una maggior apertura e sincerità, e affascinano la sua aria d’altri tempi, la maniera adorante che Allen ha di filmare Kristen Stewart nei costumi d’epoca.
Man mano che dilaga la malinconia, poi, si scopre forse l’ispiratore segreto dell’operazione: Francis Scott Fitzgerald. Partito in una Hollywood che ricorda quella degli Ultimi fuochi, “Café Society” finisce tra le illusioni perdute nel mondo dorato della East Coast, con il protagonista che diventa un piccolo grande Gatsby.