Amos Gitai: «il Moro, re dei migranti»

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Il regista israeliano parla del suo esordio nel mondo della lirica. Dopo il docufilm del 2015 sulla morte di Rabin, dirigerà l'"Otello" di Rossini per l'inaugurazione della stagione del Teatro San Carlo. Nella trama, l'attualità dei pregiudizi e delle diffidenze nei confronti degli immigrati

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È la mia prima regia lirica, dopo una carriera cinematografica iniziata nel 1974, che vanta già più ?di cinquanta pellicole. Prima regia di un’opera ?che non conosco, l’“Otello” di Gioachino Rossini, un esperimento scelto per apprendere qualcosa di nuovo, un cammino di crescita e arricchimento interiore, come mi suggerì una volta Jeanne Moreau, quando girammo “The War of the Sons of Light Against the Sons of Darkness” (2009), dicendomi: «Amos, accetto un progetto che non conosco, per imparare qualcosa ?di nuovo». Questo “Otello” ha, grazie alle scene monumentali di Dante Ferretti, tutte realizzate dai laboratori del San Carlo, un’ambientazione tradizionale, fedele all’Ottocento e al racconto; su questa si innestano i costumi moderni di Gabriella Pescucci, ?e si stagliano elementi, tratti dalla mia esperienza cinematografica, che rendono lo svolgersi della vicenda più dinamico: ad esempio sequenze da me girate, proiettate in trasparenza su veli di tulle, a ricordare la devastazione dei conflitti, ?basti pensare a “Kippur”, pellicola presentata al Festival di Cannes nel 2000.

Sovente penso a molti grandi artisti come Andy Warhol, Paul Cézanne, James Joyce, Johann Sebastian Bach, tutti con un sigillo distintivo nella loro arte, un’ossessione che spesso si ripete nelle loro opere, un codice che ricorre infinite volte, in contesti ogni volta diversi. Così nel mio processo creativo vi sono sempre delle costanti, soprattutto quando si ripetono nei secoli situazioni storiche molto simili, ad esempio processi migratori innestati da guerre e devastazioni. Pensiamo all’attualità di “Otello”: un leader carismatico che viene da lontano, in una trama che ci dischiude il comportamento ?della società nei suoi confronti, ai tempi di Shakespeare, come nelle fonti che seguirono, cui Berio, il librettista, attinse, e così sarà poi in Verdi. Iago incarna un po’ il pregiudizio degli Europei, che ancora oggi accolgono con grande diffidenza gli immigrati. ?E così pure chi arriva a essere un leader fra loro.

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