Girato tra Cinecittà e Matera. Con due maestri italiani per gli effetti speciali. ?La vicenda di amicizia e tradimento, agonismo e vendetta più famosa della storia del cinema torna in una nuova versione che vi raccontiamo
Cosa spinge un regista di talento come Timur Bekmambetov a tentare una nuova versione di “Ben Hur”? Lo spiega lui stesso in un’intervista: «Mi ricorda Romeo e Giulietta, Amleto ma anche qualsiasi storia scritta da Cechov. Volevo mettere in risalto i temi del perdono e dell’amore rispetto a quello della vendetta. Ma anche rimarcare come i valori di orgoglio, rivalità, forza, potere e narcisismo, così evidenti nell’Impero Romano, abbiano drammatiche analogie con quelli del mondo odierno. Penso che l’umanità debba imparare come amare e perdonare. È l’unica soluzione».
Russo di origine kazaka, ex soldato nell’esercito sovietico, scenografo, pubblicitario, produttore, Bekmambetov arriva alla notorietà internazionale tra il 2004 e il 2006 con le saghe “I Guardiani della Notte” e “I Guardiani del Giorno”, un’epica lisergica fanta-horror in salsa vampiresca realizzata con pochi soldi ma tanta inventiva. Apprezzato persino da Putin (impedì che i diritti de “I Guardiani della Notte” fossero acquisiti dai fratelli Weinstein per paura delle loro note simpatie liberal), Timur viene adocchiato da Hollywood che gli affida “Wanted”, un corrosivo sberleffo pop liberamente ispirato al fumetto di Mark Millar. Ma dalle stelle, complice un bollito Tim Burton, Bekmambetov scivola rovinosamente nelle stalle con “La leggenda del cacciatore di vampiri”, un pasticciato mash-up di generi passato senza lasciare traccia.
E ora eccolo alla prova del remake, un genere sempre più amato da Hollywood. In realtà, più che un rifacimento del classico con Charlton Heston diretto da William Wyler nel 1959, vincitore di 11 premi Oscar, il suo “Ben Hur” è un nuovo adattamento più aderente del precedente al romanzo omonimo di Lew Wallace, bestseller di fine Ottocento da cinquanta milioni di copie. Ed è la quarta trasposizione cinematografica del libro.
Tra i protagonisti di questo primo “Ben Hur” degli anni Duemila non ci sono star di grande richiamo ma attori di buon curriculum e bella presenza: Ben Hur è
Jack Huston (“Broadwalk Empire”), Messala è l’inglese
Toby Kebbel (“Apes Revolution. Il pianeta delle scimmie”). La nuova versione è firmata dallo sceneggiatore/documentarista Keith Clarke con revisioni di John Ridley, che ha vinto l’Oscar per “12 anni schiavo”.
Girato quasi interamente a Roma negli studi di Cinecittà, con una puntatina a Matera, e prodotto con larghezza di mezzi da Mgm e Paramount, è uno dei titoli più attesi dell’agosto cinematografico (uscirà in molti Paesi tra il 10 e il 18 agosto), ma sarà distribuito in Italia dalla Universal l’8 settembre. E sarà interessante verificare se Bekmambetov riuscirà a tenere testa alla spettacolare corsa delle quadrighe che fece la storia del cinema.
Proprio sugli effetti speciali si giocherà infatti la partita tra il vecchio “Ben Hur” e la versione 2.0. Fin dalla prima scena. Se il film del ’59 partiva dal viaggio dei Magi verso la capanna di Betlemme, Bekmambetov inizia nel 19 dopo Cristo, quando Messala annuncia all’amico d’infanzia la sua decisione: andrà a Roma per far carriera nell’esercito. «Temo che Roma ti cambierà», commenta Ben Hur. Fino a quel momento l’amicizia tra il giudeo Ben Hur, principe di una delle più ricche famiglie di Gerusalemme, e il romano Messala, figlio di un modesto esattore delle tasse, ha superato ogni ostacolo. Tanto che Ben Hur non esita ad affrontare e uccidere una iena che ha aggredito l’amico. «Ti devo la vita», dice Messala. Ma Ben Hur è dubbioso: «Tu diventerai un soldato romano, e io sono un ebreo. Rimarremo amici? E come, se i nostri popoli continuano ad uccidersi tra loro?».
Nella scena seguente siamo ancora in Giudea, ma sono passati sette anni. E le cose tra i due amici precipitano, proprio come temeva Ben Hur. Messala torna al comando di 800 uomini per l’arrivo del procuratore Valerio Grato, inviato personalmente da Tiberio Cesare per sedare le rivolte in corso. Durante la parata in onore di Grato dal tetto del palazzo di Ben Hur cadono delle tegole che feriscono il procuratore. Messala, pur sapendo dell’innocenza dell’amico fraterno, fa arrestare non solo lui ma anche la madre e la sorella. Trascinato in catene nel deserto insieme agli altri schiavi, Ben Hur è dissetato dal Messia in persona, Gesù di Nazareth. Lo interpreta il brasiliano Rodrigo Santoro: bello e barbuto, era Raul Castro nei due film di Steven Soderbergh su Che Guevara.
Anni di schiavitù non fiaccano lo spirito e il fisico dell’ex principe, che anzi si distingue come rematore nella flotta di galee capitanata dal console Quinto Arrio. Durante una battaglia, lo schiavo salva la vita del console, che per riconoscenza lo adotta come figlio. E nella nuova veste di figlio di un console, Ben Hur arrivato a Roma inizia una carriera di gladiatore e auriga che gli fa conquistare persino la stima incondizionata di Ponzio Pilato. Ben Hur torna così a Gerusalemme deciso a vendicarsi di chi ha rovinato la vita sua e della sua famiglia.
Riprende possesso del palazzo, ormai ridotto a un cumulo di rovine fatiscenti. Poi si rivela all’ex governatore, Grato, e lo uccide a sangue freddo. Infine accetta la proposta dello sceicco arabo Ilderim (che è il nome più noto del cast, Morgan Freeman, nel solito, scontatissimo ruolo di mentore) di gareggiare con i suoi magnifici stalloni contro Messala, nella corsa di quadrighe organizzata per celebrare l’arrivo a Gerusalemme del nuovo Procuratore, Pilato.
Inizia la gara, i primi cinque giri sono brutali e caotici tra spettacolari collisioni, incidenti sanguinosi e morti istantanee. Al sesto giro, Messala e Judah sono testa a testa. Ben Hur ha volutamente trattenuto i cavalli per poterli scatenare all’ultimo giro. Il tribuno frusta a sangue il rivale e amico di un tempo, ma viene sbalzato fuori dal carro e calpestato dai cavalli di un altro fantino. Ben Hur è incoronato vincitore da Pilato. Poco dopo, ritrova insperatamente sua madre e sua sorella: sono vive, ma confinate in una torre perché malate di lebbra. Tornando a casa, Ben Hur si imbatte nella via crucis di Gesù. Lo riconosce e gli ricambia il favore di un tempo, porgendogli dell’acqua. Colpito dalle parole di perdono di Gesù morente, Ben Hur decide di perdonare Messala, ormai paralizzato a vita, e viene premiato non solo con la pace interiore, ma con un miracolo: rientrato nel suo palazzo trova la madre e la sorella guarite dalla lebbra.
E anche se questa versione non si chiude, come la precedente, con l’inquadratura delle tre croci vuote sul Golgota, anche Bekmambetov rimane fedele al titolo originale del romanzo di Wallace. Che non si intitola in realtà “Ben Hur”, ma “Ben Hur: storia di Cristo”.