Servizi scadenti, incuria, crescita culturale e creatività urbana ridotte a zero: la “città eterna” non regge più il confronto
Roma è davvero (come diceva Cavour) «necessaria all’Italia»? E se invece ci decidessimo a portare la capitale a Milano? Il tema è antico, e non sempre sono state le menti più scelte a sollevarlo. Ma da qualche tempo è impossibile eluderlo. La catastrofe dell’amministrazione di Virginia Raggi, la voragine del debito e l’indegno abbandono in cui la Capitale versa da anni rendono inevitabile quella domanda.
Del resto, gli indicatori della Capitale sono ormai tutti in picchiata. Qualche settimana fa una ricerca ItaliaOggi-La Sapienza sulla qualità della vita nelle grandi città italiane ha declassato Roma all’ottantottesimo posto, dal già poco onorevole 69esimo dell’anno scorso. Pochi giorni dopo un’indagine analoga del Sole24Ore ha rincarato la dose: la prima città in Italia è Aosta, Roma la tredicesima, anche stavolta con una perdita di diverse posizioni. Non stiamo a chiederci come e perché le due classifiche siano così diverse. Quel che conta è che in quella del Sole la seconda della lista è… Milano.
Beffardo e feroce, il Corriere della sera ha girato il coltello nella piaga pescando un’icona ancora più bruciante: ha confrontato, con tanto di foto, le decorazioni natalizie della capitale con quelle di Milano. Che Roma a Natale fosse buia e dimessa fino allo squallore lo sapevamo da sempre, ma il confronto è umiliante: fantasia di disegno e di colori, vivacità di luci contro mestizia, banalità e micragna.
Classifiche o non classifiche, però, sta di fatto che Roma stride in modo cocente non solo con una quantità di capoluoghi italiani, ma con tutte le capitali dell’Europa occidentale, e anche centrale. E stride per quella che, col gergo dei meteorologi, si direbbe la sua “vivibilità percepita”, che se ne infischia di indicatori numerici e dice solo come si sente il cittadino che vive qui. Basta una visita mordi-e-fuggi a Praga e a Varsavia, e a Lisbona, per non parlare di Parigi, Berlino, Stoccolma, Madrid o Ginevra, per tornare increduli e frastornati dal vertiginoso crepaccio.
Non parlo solo di quel che salta agli occhi: pulizia (a Roma nulla da anni), polizia urbana (poca, inefficiente e villana), cura del verde (zero), trasporti pubblici (catastrofici), traffico (indisciplinato fino alla malvagità: il maggior numero di pedoni ammazzati all’anno), commercio abusivo (senza freno), finitura generale dell’habitat (pessima a Roma: buche, marciapiedi rotti, scritte sui muri, segnaletica scarsa, strutture in abbandono, orologi fermi, erbacce ovunque), intelligenza commerciale (scarsissima a Roma: decine di negozi uguali l’uno accanto all’altro), rispetto degli anziani e dei bambini (bassissimo) e così via. Da qualche tempo cresce anche la varietà di tipi inquietanti (ingrediente non riducibile in percentuali, ma cruciale per la vivibilità), di accattoni organizzati, di mariuoli in trasferta: da una giratina alla stazione Termini o, ancora meglio, alla Metro Flaminio o alla Stazione Anagnina si può tornare a casa coi brividi addosso.
È ancora peggio se guardiamo alle cose meno appariscenti. Ad esempio, Roma è una delle poche capitali al mondo senza impianti sportivi comunali. Esiste un assessorato allo sport, ma non si capisce cosa faccia. I ragazzi giocano a pallone per strada; chi vuole una piscina, una palestra, un corso di sport, deve cercare tra i privati. Chi vuole musica, può trovarla in due o tre teatri al massimo, tutti raccolti nella zona centrale, uno solo dei quali (quello di Renzo Piano) davvero presentabile.
C’è poi un altro livello: la creatività urbana, le invenzioni escogitate per rendere ai cittadini la vita più facile e magari anche un po’ più divertente. Qui le città francesi, inglesi, spagnole, tedesche non vincono, ma stravincono. È in Francia che hanno inventato le biciclette a noleggio, le automobili elettriche, le spiagge sul fiume, le piscine pubbliche di design (a Parigi ce n’è perfino una che flotta sulla Senna), la metropolitana senza pilota, i mototaxi, il decoro urbano sempre reinventato. Roma, da anni gemellata senza merito con Parigi, ha copiato qualcosina, ma mestamente: le biciclette a nolo, riprese dalla ville-lumière, sono state tutte rubate, senza dire che usarle in città era quasi impossibile (piste riservate poche e malmesse, rispetto per i ciclisti nullo). A Roma il comune ha inventato un car sharing complicato, raro e antipatico, a cui è perfino laborioso iscriversi. È stato battuto in un batter d’occhio da due delle poche invenzioni che in questa città rendano il cittadino più felice, Enjoy e Car2Go, ovviamente private. E quanto alle architetture pubbliche, la discussa Nuvola dell’Eur non basta a reggere il confronto con la magnifica Fondazione Feltrinelli a Milano.
Ma dove si sente davvero pianto e stridor di denti è il Mondo Tre (come lo chiamava Popper), quello della cultura, dell’entertainment, o come altro volete chiamarlo. Si tratta, ovviamente, di business, non di opere benefiche; quindi di cose che, se ben fatte, potrebbero rendere ricco chi le promuove. Le invenzioni comunali a Milano si moltiplicano, a Roma sono prossime allo zero. La nuova giunta ha ribattezzato l’assessorato alla cultura, intitolandolo (chissà perché) alla “Crescita culturale”, ma in città non cresce niente. Non si può mettere il deserto Macro, le tristi Case del jazz, della traduzione e del cinema a petto del milanese Museo del Novecento, la romana Galleria Civica di arte moderna (ignota ai più) a confronto con la milanese Fondazione Prada; tra i musei comunali solo i Capitolini (fondati però nel 1734!) sono frequentabili. Ci sono anche indecifrabili crisi di personale: il Maxxi, la (mesta) Festa del Cinema, l’Auditorium Parco della Musica sono diretti da stranieri, che della città non sanno nulla. Roma non è dunque in grado di esprimere dirigenti culturali? Allo stesso modo, non è in grado di esprimere dirigenti politici: i capi delle municipalizzate e gli assessori della scombiccherata giunta Cinque Stelle sono stati raccattati qua e là: in Veneto, Campania, Lombardia…
Che cosa è successo nella Capitale? I ricchi di Milano contribuiscono allo sviluppo della città (vedi Fondazioni Feltrinelli e Prada), quelli di Roma alla speculazione edilizia. Perché a Roma non c’è una Fondazione Caltagirone? Dov’è finita la borghesia colta? Dove sono i giovani creativi? Insomma, di cosa è capitale la Capitale? Della Grande Bellezza? Macché. Ormai, si direbbe, della politica e della burocrazia, del commercio indisciplinato e abusivo, dei palazzinari e soprattutto dell’incuria.
Se è così, che si aspetta? Coraggio: a Milano, a Milano!