Di origine ghanese e trapiantata in Scozia, dirige a Johannesburg la prima scuola post-graduate di architettura di tutta l'Africa. Dei suoi romanzi dice: «Scrivere storie in cui erano ammessi termini come sensualità, seduzione, piacere, mi consentiva una libertà di espressione che non avrei trovato nel mio lavoro di architetto»

Lesley Lokko è un personaggio intrigante, figlia di un tempo in cui ogni idea di specializzazione è saltata per fare posto all’indagine sulle linee di confine, sul futuro che verrà. Di origine ghanese e trapiantata in Scozia, architetto e professore universitario, chiamata nel 2014 a dirigere a Johannesburg la prima scuola post-graduate di Architettura di tutta l’Africa, vero laboratorio per un continente che vuole costruire modelli alternativi. Ma anche nota scrittrice di romanzi rosa, in Italia pubblicati da anni da Mondadori, il cui più recente “La debuttante”, è in uscita in questi giorni e verrà presentato alla prima edizione di “Tempo di Libri” a Milano.

Cosa vuole dire costruire una nuova Scuola di architettura per l’Africa?
«Stiamo vivendo un momento molto critico in Sudafrica. Ci confrontiamo con la rabbia degli studenti, che contestano il governo a causa dell’innalzamento delle tasse scolastiche, ma soprattutto a causa della diffusa ineguaglianza sociale, rimasta irrisolta dopo la fine dell’apartheid. La segregazione sociale è ancora molto forte ed è alla base della rabbia espressa dalle proteste di questi ultimi mesi. Quando sono arrivata a Johannesburg per dirigere la facoltà di Architettura, nel 2014, ho capito che gli strumenti didattici erano vecchi, figli di una cultura post-coloniale ancora troppo legata all’Europa. Si mirava a formare dei bravi professionisti ma senza alcun investimento nel loro pensiero critico. Abbiamo deciso di cambiare, puntando a una formazione di tipo “verticale”, competitiva e collaborativa insieme, che generasse nuovi modi di pensare. L’idea è costruire strumenti con cui formare una figura diversa di architetto africano. Il cambio di prospettiva punta alla costruzione di un’agenda politica ed educativa originale che allarghi la visuale».
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Quale visione è necessaria oggi per questo continente così ricco e problematico?
«È difficile proporre una soluzione valida e diffusa. Ci confrontiamo con una debolezza culturale e sociale enorme e disparità sociali irrisolte. Dobbiamo guardare a una doppia strategia: un’agenda a lungo termine per l’educazione delle prossime generazioni e al tempo stesso lavorare duramente sul principio di eguaglianza, che oggi manca e genera così tanto scontento».

Perché ha intrapreso questa avventura di scrittrice di romanzi rosa?
«La mia scelta di scrivere romanzi nasce da due condizioni interdipendenti tra di loro: la prima è una scelta pragmatica dettata dal mio sostentamento: negli anni Novanta il genere letterario che aveva i maggiori margini di crescita economica era quello romantico. La seconda è più profonda: scrivere storie in cui erano ammessi termini come sensualità, gioia, seduzione, piacere, mi consentiva una libertà d’espressione che mai avrei potuto ritrovare nel mio lavoro di ricerca sull’architettura. Questo genere letterario mi ha consentito una libertà d’azione e di ricerca sulle emozioni che per me era importantissima. Ha nutrito il mio sguardo sul mondo».