La prima veneziana nella sconsacrata Chiesa di San Lorenzo, il 25 settembre 1984. Quattrocento spettatori di fronte a realtà sonore inaudite, protagonisti di un evento che coinvolse anche l'architetto Renzo Piano, che costruì per l'occasione l'ormai leggendaria struttura lignea a forma di nave

Verso il suono assoluto: quel 'Prometeo' che fu la nuova patria di Luigi Nono

«Non è da urlare che l’attuale organizzazione culturale, e musicale in specie, italiana abbia favorito, facilitato ?e permesso l’emigrazione di Luigi Dallapiccola?», scriveva indignato Luigi Nono al critico musicale Massimo Mila, l’11 ottobre 1956. «E proprio per andar ?a insegnar di composizione, data l’allegra situazione dei corsi di composizione esistente in Italia? Ma Dallapiccola è Dallapiccola, ostia! E un paese, prima d’esser “fiero” del contributo all’estero ?(o solo all’estero) della sua intelligenza, deve far in modo che questa intelligenza si sviluppi e sviluppi la cultura direttamente sul posto!».

Considerando che è dal 2000 che in Italia non si esegue un capolavoro come il suo “Prometeo”, vien da pensare che ?a buona parte dell’opera di Nono, diversamente da quanto avviene fuori ?dai nostri confini, sia capitata in sorte oblianza paragonabile a quella dell’autore dell’”Ulisse”, parzialmente riscattata dalla prossima ripresa ?del “Prometeo” a Parma, ove viene impiegata la nuova edizione della partitura curata da André Richard ?e Marco Mazzolini.

Il “Prometeo” fece un po’ da spartiacque nella produzione di Nono. A partire da quest’opera nella sua musica, fra le coordinate principali, non ci furono l’armonia e il contrappunto. La sua nuova patria fu il suono nella più pura, volubile essenza («coi suoi misteri, con la sua vita segreta», scriveva Mila). L’approccio, per l’ascoltatore, fu uno dei più complessi: provate a immaginarvi il disorientamento del neofita a quella prima veneziana nella sconsacrata Chiesa di San Lorenzo, fra ?i quattrocento spettatori della originaria versione dell’opera, il 25 settembre 1984. Costui fu come “gettato” dinanzi ?a quella ricerca di realtà sonore inaudite, tali da provocare non solo una differente maniera di vivere l’evento da parte di interpreti e fruitori, ma da richiedere diverse configurazioni degli spazi da concerto, circostanza che coinvolse l’architetto Renzo Piano, con la costruzione dell’ormai leggendaria struttura lignea in forma di nave.

Dunque nessun punto di riferimento tradizionale per chi si aspettava un’opera lirica; nessuna azione, nessuna scena. La musica e le pause di silenzio regnarono incontrastate per due ore e un quarto. Ascolto che divenne dunque cauta navigazione fra i miti, non facilitato dalla lettura dei titoli posti in partitura: un prologo, cinque isole, una doppia terna di voci, due antiche pause greche (stasimi) che precedevano e seguivano altrettanti interludi. E i nomi e i frammenti di Hölderlin e del “Prometeo incatenato” ?di Eschilo che comparivano, mentre restavano coperti quelli di Goethe, Nietzsche, Rilke e Benjamin. Lo spazio interno era una cassa di risonanza che inglobava il pubblico, due direttori d’orchestra (uno era Claudio Abbado) ?che guidavano gruppi di solisti vocali e strumentali, un coro e i tecnici di Friburgo e di Padova addetti all’elaborazione elettronica. Orchestrali e voci erano posti su differenti piani, rievocando le cantorie della Basilica di San Marco dove aleggiavano, come nell’ispirazione ?di Nono, gli spiriti di Willaert, Gabrieli ?e Monteverdi.

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