Comincia la prova pratico-percettiva per l'accesso alla scuola dell'Istituto superiore del restauro. Solo dieci i posti disponibili nella sede di Roma. La presidente della commissione d'esame: «Questo mestiere è la mia vita, ma i ragazzi sappiano che ci vogliono i muscoli»

Inizia oggi la seconda prova – quella pratico-percettiva, che dura tre giorni – del concorso per l'accesso alla scuola di alta formazione dell'Iscr, l'Istituto superiore per la conservazione e il restauro. Sono più di cento i ragazzi che sono stati ammessi alla prima prova di disegno della scorsa settimana, ma solo dieci alla fine riusciranno a guadagnarsi un posto nella sede centrale di Roma, mentre altri dieci entreranno nella sede distaccata di Matera. Cinque anni di studio nel più antico istituto di restauro del paese, eccellenza riconosciuta a livello internazionale, fondato nel 1939 da Cesare Brandi e diretto oggi da Gisella Capponi.

La prova pratica che si svolge in questi giorni è forse quella più caratteristica e complessa: gli aspiranti studenti ricevono una tavoletta su cui sono incollate due piccole strisce colorate di cartone parallele, separate da uno spazio vuoto. Quello che devono riuscire a fare, nel corso di tre giorni, è riempire la lacuna in mezzo, riproducendo esattamente il colore con il sistema del tratteggio, cioè scomponendolo in tante minuscole linee parallele di colori puri, in modo che da lontano l'occhio lo percepisca come un'unica tinta.

«Il primo giorno bisogna solo applicare lo stucco e aspettare e che si asciughi – spiega Francesca Capanna, vicedirettrice della scuola e presidente della commissione d'esame – il secondo giorno lo stucco deve essere livellato con la carta abrasiva, proprio come si farebbe su un dipinto vero. E si può cominciare a mettere i colori. Il terzo giorno il lavoro deve essere completato e non ci deve essere differenza tra il colore sui cartoncini e quello tratteggiato». Ovviamente è essenziale riuscire ad “azzeccare” il colore, ma ci sono altri errori da evitare assolutamente: «Per noi sono importanti il nitore, la pulizia. Le linee devono essere ordinate e ben visibili, parallele. Non ci deve essere un effetto pasticciato. I ragazzi devono avere rigore metodologico. È una prova che ha una valenza attitudinale fondamentale».

Dimostrare maturità e capacità di organizzare il lavoro è decisivo come avere abilità tecnica. «Si vede da subito chi sarà un buon restauratore – sussurra Francesca Capanna affacciandosi nella stanza dove si stanno svolgendo le prove – basta guardare la postazione di lavoro. Chi sporca, fa cadere gocce di colore a terra o lascia il cavalletto in disordine, non è fatto per questo mestiere». Scegliere i ragazzi più adatti non è una questione irrilevante: chi passa l'esame ha davanti a sé un lungo percorso, «sono cinque anni intensi ma anche molto duri, tra tutte le scuole d'Italia siamo quella che offre il maggior numero di ore di pratica, spesso su opere d'arte importantissime. Facciamo un grande investimento su questi ragazzi e non possiamo permetterci che abbandonino a metà, perché non potremmo sostituirli».

Chiara Di Marco, 33 anni, è entrata all'Istituto cinque anni fa e oggi, mentre si prepara alla laurea, dà lezioni private ai ragazzi che vogliono tentare il concorso: «Oggi gli studenti pensano di finire la scuola a luglio e di tentare l'esame a settembre, ma è assolutamente impossibile! Il tempo minimo per prepararsi al concorso è un anno. E non parlo di una lezione a settimana, ma di almeno tre, se non una al giorno. Altrimenti non ci sono chances di entrare». Ma sulla scelta di frequentare l'Iscr non ha dubbi: «È ancora la scuola in assoluto migliore, nonostante negli ultimi anni se ne siano aperte più di venti in giro per l'Italia che rilasciano la stessa qualifica. La preparazione che offre non ha eguali, se non forse nell'Opificio delle pietre dure di Firenze. Ma c'è una cosa che voglio dire ai ragazzi che sono affascinati dal restauro: ricordatevi che questo lavoro con l'arte c'entra poco. E' la tecnica che conta. E le conoscenze scientifiche: la chimica, la fisica, sono queste le materie di tutti giorni del restauratore».

Osservando i giovani aspiranti restauratori seduti al cavalletto nelle sale secentesche del complesso di San Michele, la sede dell'Istituto, un elemento salta subito all'occhio: l'assoluta prevalenza femminile. Su trenta persone ammesse alla prova di tratteggio per la sede di Roma, infatti, c'è un solo maschio. Un mestiere che evidentemente attira più le ragazze dei ragazzi. «Non me lo spiego molto – confessa Francesca Capanna – forse all'origine c'è una malintesa idea del restauro, un po' troppo romantica. Nella realtà è un mestiere duro, ci vogliono i muscoli e tante competenze tecniche e scientifiche. Chi fa il restauratore passa ore e ore carponi sul pavimento o in piedi con il collo rivolto verso l'alto. Al cavalletto ci si sta poco». E poi c'è la nota dolente del guadagno. Chi esce dalla scuola dell'Iscr ha automaticamente l'abilitazione professionale di restauratore e può immediatamente entrare nel mondo del lavoro. Ma può essere quasi matematicamente certo che con il proprio mestiere non si arricchirà: «Penso che esistano due categorie di persone - chiosa la vicedirettrice della scuola - c'è chi lavora per guadagnare e fare ciò che gli piace e c'è chi lavora per fare ciò che gli piace. Ecco, il restauro è per le persone del secondo tipo. Per quanto mi riguarda, se mi togliessero questo lavoro sarei perduta».