Cremona attira liutai, scienziati, musicologi da tutto ?il mondo. Tivoli punta sull'archeologia e sull'arte contemporanea. La strada degli scrittori in Sicilia ?unisce la Racalmuto di Sciascia ?e la Porto Empedocle di Camilleri, ?i grandi romanzi e i luoghi di mafia. Così l'Italia minore punta sulla conoscenza come leva dell'economia

Tra gli esempi virtuosi spicca la città lombarda ricca di arte medievale e rinascimentale, rinomata per mostarde, salami e torroni ma tagliata fuori dall’alta velocità ferroviaria. Che conta sulla collaborazione economica tra pubblico e privato per lanciare il distretto della liuteria, patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. C’è poi il Comune alle porte di Roma con due siti protetti, Villa Adriana e Villa d’Este, che fa squadra con due località vicine - Palestrina e Subiaco - per creare un nuovo distretto culturale in un territorio meraviglioso ma sfiancato dalla crisi, giocando sulle relazioni pericolose tra archeologia e arte contemporanea. E ancora, la Sicilia della Valle dei Templi, gioiello Unesco assediato dall’abusivismo edilizio, che decide finalmente di puntare sulle giovani startup per rilanciare il turismo di qualità.

Non sono casi isolati, Cremona, Tivoli e Agrigento, ma l’avanguardia della provincia italiana che vuole reagire alla recessione senza complessi di inferiorità, affidandosi alla cultura come leva dell’economia. Marketing territoriale lo chiamano gli esperti, vuol dire costruire la propria identità. Un’identità forte, per distinguersi dagli altri e attirare visitatori.

Non singole città ma distretti, perché l’unione fa la forza anche nel paese con troppi campanili. Del resto la cultura è uno dei motori trainanti dell’economia tricolore: il sistema produttivo culturale e creativo, composto da imprese, pubblica amministrazione e no profit, produce quasi 90 miliardi di euro e attiva altri settori, arrivando a muovere 250 miliardi. E dà lavoro a un milione e mezzo di persone, secondo il Rapporto 2017 “Io sono cultura - l’Italia della qualità e della bellezza sfida la crisi” (Fondazione Symbola e Unioncamere). Da questo studio emerge un panorama variegato: se è vero che la provincia di Roma è al primo posto in Italia per incidenza del valore aggiunto nazionale, si distinguono città e territori meno scontati, concentrati nel Centro-Nord: Arezzo, Aosta, Ancona, Modena, Trieste. Mentre il Mezzogiorno, ricco di arte e storia, non riesce ancora a tradurre tutto ciò in ricchezza: solo il 4 per cento del valore aggiunto prodotto dal territorio è generato dalla cultura. Ma anche a Sud qualcosa si muove. «Pirandello scriveva che la sua Girgenti era una città di preti e avvocati. E per tantissimi anni è stato così. Il turismo e la cultura non interessavano a nessuno, solo a qualche imprenditore che decideva di diversificare gli investimenti. Ma comunque era un ripiego. Ora invece l’aria è cambiata», ragiona Calogero Firetto, sindaco di Agrigento, in prima linea per la conquista del titolo di capitale italiana della cultura nel 2020 - entro fine gennaio il verdetto - con buone probabilità di successo. Nel 2017 è toccato a Pistoia, quest’anno a Palermo.

RIVINCITA SLOW
È come se si fosse sbloccato qualcosa dopo la proclamazione di Matera capitale europea della cultura, nel 2014. Malgrado la cementificazione selvaggia, lo spopolamento delle zone interne, la chiusura delle fabbriche adesso è l’ora della rivincita slow della provincia sulle grandi città ingolfate di turisti. Mentre la politica, finalmente, sembra essersi accorta di questo patrimonio. Vanno in questa direzione la legge per i piccoli Comuni, varata dopo 15 anni di tentativi a vuoto - 100 milioni di euro per la riqualificazione dei borghi con meno di 5mila abitanti - e le iniziative del ministero dei Beni e delle Attività culturali (Mibact): nel 2016 l’Anno dei cammini, nel 2017 l’Anno dei borghi, nel 2018 l’Anno del cibo, mentre il prossimo sarà l’Anno nazionale del turismo lento.

Nel frattempo è stato creato l’Atlante digitale dei cammini (camminiditalia.it), la mappa online di 6.600 chilometri e 147 snodi: percorsi dedicati ai santi, cammini francescani, lauretani e benedettini, le vie dei briganti attraverso l’Aspromonte. E poi il cammino di Dante nei luoghi dove scrisse la Divina Commedia, il sentiero della pace che ripercorre le memorie della Grande Guerra. «Gli investimenti in cultura e turismo hanno permesso di superare la depressione economica e l’impoverimento che ha travolto molte realtà di provincia per via di deindustrializzazione e delocalizzazione», afferma Severino Salvemini, professore alla Bocconi e esperto di gestione delle istituzioni culturali e di economia dei settori creativi. Le iniziative previste dal Piano del turismo 2017-2022 del Mibact, sostiene il docente, si possono considerare la presa d’atto di una situazione che va avanti già da qualche anno: festival e manifestazioni culturali sempre più spesso affiancano sagre e feste tradizionali, riscuotendo grande successo. Per un semplice motivo: «Sono proposte e organizzate dal basso, da associazioni e cittadini, che partecipano e fanno partecipare. E questa è una grande differenza con le manifestazioni culturali nelle grandi città, calate dall’alto», aggiunge Salvemini. E pensare che gli investimenti in cultura, per le cittadine di provincia, nascevano come esperimento per rilanciare l’economia. Una scommessa che si è rivelata decisiva, creando nuovi redditi e professionalità. «Un mutamento estetico e cognitivo, una crescita diffusa di sensibilità per l’arte e la cultura», sintetizza il professore.

È il momento di tirare le somme, ora che la legislatura si è conclusa e tra due mesi si andrà a votare. Cosa resterà ad esempio dell’Anno dei borghi, la task force che nel 2017 ha visto impegnate 18 Regioni insieme al Mibact, mille borghi italiani, tante associazioni e personaggi del mondo della cultura? «L’obiettivo è presentare l’Italia come museo diffuso, valorizzare l’intero Paese, non solo le grandi città d’arte. Del resto il brand dei borghi, che abbiamo creato, è unico in Europa», riflette Ottavia Ricci, consigliere per la Sostenibilità nel turismo, al fianco del ministro Dario Franceschini: «In futuro cresceranno gli arrivi dalla Cina e dagli altri Paesi asiatici, soprattutto a Roma, Firenze e Venezia. Ma esiste anche un patrimonio considerato minore, che minore non è, ancora da valorizzare». Spesso però l’Italia più bella resta inaccessibile, servita da una rete stradale e ferroviaria inadeguata, vedi il caso Matera. Ma secondo Ricci occorre rovesciare il punto di vista: «Non si tratta di portare carovane di turisti nelle zone interne per una visita mordi e fuggi, ma parlare di turismo come esperienza autentica, da condividere. Le infrastrutture, strade e ferrovie, vanno migliorate anzitutto per i residenti, ma non è sufficiente. Prima di aprirsi al turismo gli abitanti del posto devono lavorare sulla propria identità culturale, conoscere il territorio fin dall’età scolastica».

PATTY PRAVO E IL MITO DI NIOBE
L’accessibilità non è tutto, certo, ma raggiungere Villa Adriana e Villa d’Este non è facile. Da Roma bisogna prendere il bus del Cotral, un breve viaggio che rischia di diventare un’impresa. Per questo Andrea Bruciati, uno dei trenta direttori-manager dei musei italiani selezionati in base alla riforma Franceschini, lancerà a marzo un nuovo servizio di navetta dalla stazione Termini. Ma per promuovere i due siti patrimonio dell’umanità Unesco la logistica non basta. Bruciati ha un programma ambizioso, che mette insieme archeologia, arte rinascimentale e arte contemporanea. Un corto circuito temporale già a partire dal titolo, provocatorio, di una delle mostre in calendario, preso in prestito da una canzone di Patty Pravo: “E dimmi che non vuoi morire - Il mito di Niobe”. In realtà la musica non c’entra, si tratta dell’esposizione che sarà inaugurata a maggio nel Santuario di Ercole Vincitore, uno dei maggiori complessi sacri dell’architettura romana in epoca repubblicana (II secolo a.C.).
Villa Adriana

Per la prima volta si potranno ammirare le sette statue di età augustea che raccontano il mito di Niobe, rinvenute nel 2012 a Ciampino, insieme alle opere degli artisti che nell’arco di duemila anni di storia si sono ispirati a questa figura femminile della mitologia greca, fino a “La morte di Niobe”, la tragedia mimica composta da Alberto Savinio negli anni Venti del Novecento. «Intendiamo creare delle piattaforme diacroniche, perché è nel Dna di questa struttura», dice mentre attraversiamo la villa il direttore dell’Istituto autonomo che comprende i due siti Unesco, 600mila visitatori all’anno. Qualche settimana fa c’era anche Bruciati intorno al tavolo, a Villa d’Este, insieme ai sindaci di Tivoli, Subiaco e Palestrina, alla firma del protocollo per creare un nuovo distretto culturale. Se nel terzetto Tivoli fa la parte del leone, Subiaco vanta alcuni splendidi monasteri benedettini di epoca medievale, in lizza per diventare patrimonio Unesco, mentre Palestrina il Museo archeologico nazionale, all’interno di Palazzo Barberini, il santuario della Fortuna Primigenia e altri monumenti. «Le nostre tre città fanno parte di una comunità antropica millenaria, che precede la fondazione di Roma», dice con orgoglio Giuseppe Proietti, sindaco di Tivoli sostenuto da alcune liste civiche: «Negli ultimi anni il nostro territorio ha subito una forte deindustrializzazione, hanno chiuso fabbriche e cartiere. Ora tutti insieme dobbiamo cercare nuove strade, puntando sulla cultura».

Belle parole, a cui però bisogna far seguire i fatti. Nel 2012 l’attore Urbano Barberini, che oggi da assessore alla Cultura del comune di Tivoli ha rivitalizzato la zona, riuscì a sventare il progetto di discarica a 500 metri dal sito archeologico, dopo la dura battaglia con il comitato “Salviamo Villa Adriana”, di cui è fondatore e coordinatore. Risultato importante, ma nel Lazio resta ancora molto da fare. La Regione, infatti, non ha ancora elaborato con il Mibact un Piano del paesaggio. È in fase di preparazione come in Liguria e Lombardia, mentre solo cinque Regioni lo hanno approvato: Puglia, Toscana, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Sardegna. Per recuperare il ritardo il governo ha promosso diverse iniziative: gli Stati generali del paesaggio, una Giornata nazionale che ne promuova il rispetto, la scrittura di una Carta che vincoli gli enti locali alla sua protezione. Nell’attesa, alcune città hanno capito che la tutela del territorio può essere anche una risorsa per crescere.

OBIETTIVO AGRIGENTO 2020
È il caso di Agrigento, che ha vinto il Premio del Paesaggio 2017 indetto dal Mibact e ricevuto la menzione speciale «per lo sviluppo sostenibile e la reintegrazione sociale» al Landscape Award del Consiglio d’Europa. «Una rivincita per una città che negli anni Ottanta era descritta come capitale dell’abusivismo, dove si faceva a gara per costruire il palazzo più alto della valle», dice il sindaco Firetto, sostenuto da una coalizione bipartisan.

A questi due riconoscimenti Agrigento vuole aggiungerne un terzo: la nomina a capitale italiana della Cultura 2020. «Sarebbe fantastico festeggiare così i 2.600 anni dalla fondazione», prosegue il sindaco, che ha avviato il piano di riqualificazione urbana. «Mentre altri hanno deciso di puntare sul recupero delle periferie, noi siamo partiti dal centro storico, tornato a chiamarsi Girgenti».

Al progetto il Consiglio dei ministri ha appena destinato 15 milioni e 800mila euro, ma la vera novità sono le iniziative promosse da cittadini e associazioni: centinaia di piccole imprese collegate al turismo, il recupero del giardino della Kolymbethra nella Valle dei Templi. Nell’agrigentino, dunque, si respira un’aria nuova. La Strada degli Scrittori, fortemente voluta dal giornalista Felice Cavallaro, nasce nel 2013 sul percorso della SS640 che unisce Porto Empedocle all’autostrada Palermo-Catania, passando per Palma di Montechiaro, Favara, Agrigento, Racalmuto e Caltanissetta. L’itinerario ripercorre i luoghi dei grandi scrittori siciliani: Camilleri e Tomasi di Lampedusa, Russello e Pirandello, Sciascia e Rosso di San Secondo.

«Vogliamo che il turista entri in contatto con la nostra cultura e la nostra identità. Per questo lo portiamo per mano nei luoghi dei grandi romanzi siciliani, ma non solo» spiega Cavallaro. E così, nei percorsi proposti ai visitatori, accanto a Porto Empedocle del Montalbano di Camilleri o a Racalmuto del “Giorno della civetta” di Sciascia, ci sono i luoghi degli omicidi mafiosi dei giudici Rosario Livatino e Antonino Saetta, del maresciallo Giuliano Guazzelli. «Perché la Sicilia è bella e tragica al tempo stesso. È importante ricordarlo», sottolinea Cavallaro.

Sulla Strada degli Scrittori, inoltre, c’è un’uscita che porta a Favara, la cittadina in cui un privato, Andrea Bartoli, ha favorito un processo di rigenerazione urbana senza pari in Europa. Sette anni fa Bartoli fondò il Farm Cultural Park, centro cultural e indipendente che ha consentito il recupero del centro storico e dato nuova linfa alla zona con mostre e installazioni, una scuola di architettura per i più piccoli, spazi espositivi e residenze per artisti. Oggi Favara è la meta turistica più visitata della provincia di Agrigento dopo la Valle dei Templi, e nel giro di pochi anni alcuni imprenditori hanno investito sul territorio circa 20 milioni di euro in turismo e cultura, creando 150 nuovi posti di lavoro. Una piccola boccata di ossigeno in un territorio flagellato dalla disoccupazione.

IL SUONO DI STRADIVARI
Se le risorse degli enti pubblici scarseggiano, la strada del cofinanziamento dei privati diventa obbligata. Alcune idee stentano a decollare, altre invece diventano casi di successo. La Fondazione Cariplo ha investito quasi 20 milioni di euro nel progetto Distretti culturali (distretticulturali.it), promuovendo nell’arco di dieci anni interventi di recupero, riqualificazione, restauro in una cinquantina di Comuni della Lombardia: Valle Camonica, Oltrepò mantovano, Brianza, Valtellina, Regge dei Gonzaga e soprattutto Cremona.
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Qui si è concretizzata l’idea più riuscita, il Distretto culturale della liuteria, avviato con i soldi della fondazione, poi trasformato in progetto urbano. «Cremona vive della propria storia e della fama dei grandi nomi della liuteria classica: Stradivari, Amati, Guarneri e altri, i maestri cremonesi del Sei-Settecento tuttora protagonisti di aste straordinarie», dice Chiara Bondioni, responsabile del distretto culturale della liuteria del Comune di Cremona: «La città ha il merito di aver recuperato, custodito e protetto le testimonianze di quella storia, ora raccolte nel Museo del violino».

Negli ultimi anni la città lombarda, mentre la crisi costringeva a chiudere tanti negozi e ristoranti, ha ricostruito la propria identità intorno all’antica tradizione liutaria, dichiarata patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. È nato così il primo corso di Laurea in Restauro di strumenti musicali e scientifici che attira studenti da tutto il mondo, cofinanziato da Fondazione Cariplo con 350mila euro; sono stati incentivati centri di ricerca sui materiali e sul suono, a servizio del patrimonio conservato nel Museo del violino e della liuteria contemporanea. Inoltre è stato creato un laboratorio diffuso che coinvolge istituzioni, liutai e musicisti, un circolo virtuoso che non ha precedenti, aprendosi al pubblico e al mondo. «Per far fronte alla competizione internazionale, la città ha scelto di distinguersi puntando sulla propria unicità», conclude la responsabile del distretto culturale: «E così attira scienziati, storici dell’arte, ingegneri acustici, restauratori, liutai e musicologi. Oggi è proprio questa la sua forza».