Ricorda Stanley Tucci (attore e regista, nonché figlio d’arte e di artista) la noia infinita delle sedute davanti al cavalletto quando suo padre pittore decideva di fargli un ritratto. Ore fermo, scrutato dagli occhi attenti dell’artista, con lo sguardo bloccato sul retro della tela, ignaro di come il suo viso stesse prendendo forma dall’altra parte.
Si capisce, allora, come mai fin dalla giovinezza, uno dei suoi libri d’affezione fosse “A Giacometti Portrait” di James Lord, eccentrico storico e amatore d’arte che nel raccontare in forma di diario la genesi del suo ritratto dipinto nel 1964 da Alberto Giacometti, ci regala un immersione nelle ossessioni dell’artista, nel rapporto di potere che stabilisce con il suo modello, nella morbosa curiosità del critico di entrare nel processo creativo e come nasce una amicizia che produce un vero capolavoro: uno degli ultimi ritratti di uno dei più grandi artisti dello scorso secolo.
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E dalla storia del piccolo Stanley modello per forza, si capisce anche da dove nasce “Final Portrait” questo suo bellissimo e raro film che grazie alla sublime interpretazione e incredibile somiglianza di Geoffrey Rush, e alla forte ed elegante presenza di Armie Hammer nei panni di James Lord, racconta un Giacometti negli ultimi anni di vita ancora teso verso una ricerca che non può dargli pace.
Delicata e precisa ricostruzione arricchita da una Parigi ancora Bohème, dal mestiere d’artista ancora sporco di creta e colori ad olio, dal vecchio, grigio fascinoso atelier di Montmartre restituito tale e quale. Tra il fascino del racconto e la precisione di un documentario “Final Portrait” non è un film sull’arte ma dentro l’arte.
Da non perdere: in sala da giovedì 8 febbraio.
Cultura
2 febbraio, 2018Grazie anche alla sublime interpretazione Geoffrey Rush, la pellicola di Stanley Tucci si pone tra il fascino del racconto e la precisione del documentario
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