L’hashtag italiano, rilanciato anche da Gaypost.it e Pasionaria.it, ora è diventato il titolo di un libro: “#quellavoltache”, che Manifestolibri manda in libreria per un 8 marzo femminista e battagliero, con proventi devoluti alla Casa Internazionale delle donne, che a Roma rischia la chiusura. Il volume raccoglie una scelta dei messaggi ricevuti nelle due settimane in cui l’hashtag è stato attivo: storie poi riprese, verificate, a volte ampliate e sempre autorizzate dalle donne che avevano risposto all’appello.
Sono circa 250 voci sulle migliaia di risposte all’appello, donne che hanno autorizzatola pubblicazione, in forma esplicita o anonima, dei loro racconti. A volte sono racconti dettagliati, a volte frasi brevi, altre solo silenzio: «Io non ce la faccio a parlarne...», o «Non ho ancora voglia di raccontare #quellavoltache quarant’anni fa… Non so se mi verrà mai».
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E non importa se le molestie siano fisiche o solo verbali, se il capo ti si struscia sulla schiena o si limita a dirti «fin quando non me la dai io con te non parlo», se quello che ancora brucia nella memoria è un’avance di pessimo gusto subita da bambina o uno stupro del quale oggi la vittima più della violenza ricorda «le botte e le minacce di morte che non mi diedero il coraggio di parlarne con nessuno».
Sul banco degli imputati di questa galleria degli orrori c’è posto per tutti: il ginecologo e il dentista, il prete e il militare, il professore e l’istruttore di scuola guida, e poi l’amico, il parente, il padre della tua amica, il nonno dei bambini a cui fai da babysitter… Con approcci che a volte rasentano la follia: il «famoso e probo professionista che mi inviò in busta chiusa un’offerta per toccarmi il culo», o «il mio collega che portandomi a casa ha voluto guidare nudo perché “Non ci credo che non ti ecciti nemmeno così”».
Non potrebbe essere così diffusa, la piaga delle molestie, se non fosse accompagnata dal silenzio e della comprensione della società. Fa orrore, nel libro, la complicità che circonda questo mondo di molestie: le persone che ridono quando «a una cena elegante uomini stimati raccontavano le loro vacanze da turisti sessuali con bambine», la donna che commenta «Pensavo fossi lesbica, perché con quell’editore sei così restia agli abbracci», il fidanzato che se gli racconti delle molestie del capo ti risponde che «In qualche modo lo avrai provocato», i colleghi che alla polizia raccontano che tu «eri molto gentile, e forse il capo aveva frainteso», le colleghe che rispondono «con risatine imbarazzate alle battute sessiste del capo», l’agente che alla richiesta di denuncia risponde «è stata solamente una palpata». Persino la famiglia si schiera contro la vittima: «Molestata da un amico di mio padre, la mia famiglia mi lasciò sola dicendo: “Anche Clinton… ma è stato un buon presidente”».
È questo muro di gomma generale il “nemico” contro cui viene scagliato questo libro. «Quello che chiediamo», scrive il gruppo di curatori nella postfazione, «è che delle molestie e dei meccanismi che le rendono possibili si cominci a parlare in modo serio. Che si smetta di pensare al molestatore come a un mostro, e si accetti che il molestatore è ovunque, è nostro padre, fratello, cugino, zio. Che la diffusione dei comportamenti molesti non è un’inevitabilità o la normalità, ma qualcosa che va cambiato a livello culturale».
Non è solo un problema delle attrici, anche se in questo libro il mondo del cinema ha un capitolo a sé: tra le testimonianze ci sono quelle di "Asia A". e di "fdaloja", e di chi ricorda «quanto imbarazzo, frustrazione, consapevolezza di quello che stavo perdendo, delle porte che io stessa mi chiudevo sbattendole in faccia a produttori, registi vari e andando via, sempre con le stesse lacrime, rabbia, delusione, ma sempre con più forza, orgoglio…». Anche il mondo del giornalismo ha la sua parte di pessime figure («un caporedattore che avevo rimbalzato per anni scrisse un articolo diffamatorio a mio danno sul quotidiano. Senza firmarlo») e non va meglio all’editoria (dove l’aspirante scrittrice si sente proporre un contratto «sugellato con firma e con un bel 69»). Ma ogni ufficio, o fabbrica, o negozio ha la sua dose di molestie.
E le vittime non reagiscono mai? Si sorride davanti a un ceffone meritato («#quellavoltache un politico mi propose di andare a lavorare con lui e poi mi infilò una mano sotto la gonna. Ancora mi ricordo lo schifo che provai e il ceffone che si prese»), o alla ventisettenne che ricorda «quellavoltache# mi sono comprata una finta fede nuziale per smettere di ricevere avances in ufficio». Ma il più delle volte la reazione è stare zitte e andare via. Non parlare «perché tanto non mi avrebbe creduto nessuno». Rinunciare al lavoro, al contratto, al libro. Quello che è successo a tante attrici la cui carriera è stata rovinata dalle molestie di Weinstein è successo mille volte in ogni campo del mondo del lavoro. Le molestie alle donne rubano entusiasmo, talento e cervelli alla società intera. Anche per questo non è solo un problema da donne.