Matthias Martelli riporta in scena l'opera più famosa di Dario Fo. Una satira politica e sociale che compie mezzo secolo ma è più attuale che mai
Immaginate un’aula magna universitaria di fine anni Sessanta gremita di studenti. Lì Dario Fo inizia a raccontare in maniera stupefacente del primo miracolo di Gesù bambino e delle nozze di Cana, di Lazzaro e del contadino Zanni, utilizzando una lingua tutta inventata, il grammelot, impastata con i dialetti. Quel 30 maggio del 1969 presentava in anteprima assoluta il suo Mistero Buffo alla Statale di Milano. Non scelse un teatro, quindi, dove invece debuttò ufficialmente il primo ottobre dello stesso anno, all’Ariston di Sestri Levante. Poi andò ovunque, dalle fabbriche agli stadi.
Quel testo sovversivo e irriverente, che affonda le sue radici nel teatro popolare, è diventato presto un modello di satira politica capace di trascinare le platee. «Fu una rivoluzione, qualcosa di incredibile. C’erano duemila studenti quel giorno alla Statale ed erano seduti dappertutto, rimasero scioccati. Io avevo 14 anni, ed ero in mezzo a loro», ricorda Jacopo Fo (che a quei genitori un po’ svitati ma geniali ha dedicato un libro, “Com’è essere figlio di Dario Fo e Franca Rame”, edito da Guanda, da cui è stato tratto anche uno spettacolo). Una rivoluzione capace di travolgere intere generazioni.
Quel lavoro conquistò anche il piccolo Matthias Martelli, oggi straordinario giullare trentatreenne, nato lo stesso giorno di Dario, il 24 marzo di 60 anni dopo. Da bambino vide Mistero Buffo in videocassetta e se ne innamorò. Così, anni dopo, mandò un’appassionata email al futuro Premio Nobel, che un giorno lo chiamò e gli disse: «Pronto, sono Dario...», e lo invitò per un incontro. A settembre del 2016, quando gli inviò 12 minuti registrati del pezzo su Bonifacio VIII, l’approvazione arrivò quasi subito, poco tempo prima della scomparsa del Premio Nobel, il 13 ottobre. Ma è stata la spinta per affrontare la sfida: “Mistero Buffo – edizione dei 50 anni”, con la regia di Eugenio Allegri, allievo di Jacques Lecoq e già attore al fianco dello stesso Fo (una produzione del Teatro Stabile torinese in collaborazione con Art Quarium, in scena al Gobetti di Torino fino al 27 ottobre e poi a Bruxelles il 5 novembre, al Teatro Eliseo di Roma il 9, a Monaco l’11 novembre).
Lui, Matthias Martelli, si presenta sul palco con il suo fisico tonico e dinamico vestito di nero. E in un batter d’occhio dà il via ad una performance pirotecnica: strabuzza gli occhi, cuce suoni e onomatopee, diventa un vulcano di giullarate sacre e profane, si addentra nelle storie bibliche e nei vangeli apocrifi senza rinunciare ai giochi di parole su Zingaretti e Conte o ai racconti di un Gesù bambino immigrato e bullizzato. E pensi: eccolo, l’erede di Dario Fo. «Giullari si nasce, bisogna solo scoprire di esserlo», dice Matthias : «Quello spirito critico che ti spinge ad informarti e a trovare il coraggio di dire la verità davanti ad un pubblico è qualcosa che ti porti dentro da sempre. Ma poi ci vuole lo studio, certo. Durante l’infanzia ad Urbino imitavo tutti. Ma senza l’aiuto di Eugenio Allegri, capace di modificare gesti e guardi, non sarei mai riuscito nell’impresa».
Intanto, altri allestimenti di “Mistero buffo”, come quelli proposti da Ugo Dighero o da Mario Pirovano, girano l’Italia. Per ricordarci che Dario Fo vive in mezzo a noi.