Morale: parlare con serenità del film, senza processare sul campo il suo autore, è diventato impossibile. Eppure “L’ufficiale e la spia” è magnifico. Purché lo si guardi per ciò che è: un thriller storico ispirato al romanzo omonimo di Robert Harris (Mondadori) che rievoca con sguardo impassibile, ritmo incalzante e varie licenze (come quasi tutti i film storici) la storia del capitano Dreyfus e della sua lunga persecuzione attraverso gli occhi del colonnello Picquart (un ammirevole Jean Dujardin). Il militare che per primo intuì la macchinazione in atto e vi si oppose con tutte le sue forze sfidando politici e generali. Non per solidarietà con Dreyfus, essendo pure lui un convinto antisemita, ma per l’onore dell’esercito.
Anche qui: vero? Falso? Gli specialisti lamentano semplificazioni e manipolazioni. Da un lato Polanski e Harris fanno di Picquart un eroe quasi hollywoodiano che addirittura collabora con i dreyfusardi, in testa Émile Zola. Dall’altro tacciono e minimizzano il ruolo della famiglia Dreyfus, l’eroica (quella sì) resistenza del capitano prigioniero sull’Isola del Diavolo, la fiera corrispondenza con sua moglie Lucie e soprattutto le indagini di suo fratello Mathieu.
Si può ribattere che la storia la fanno gli storici, il cinema lo fanno i cineasti. E ricordare che se l’epilogo a sorpresa getta una luce non proprio edificante sul rapporto Picquart-Dreyfus, Polanski non smette di accumulare dettagli materiali e rivelatori, in particolare per ciò che riguarda lo spionaggio e la fabbricazione di false prove. Qui forse, più che nei supposti e perversi intrecci tra caso Polanski e caso Dreyfus, batte il cuore di questo grande film che sarebbe un peccato perdere.
“L’ufficiale e la spia”
di Roman Polanski
Francia-Italia, 132’