Festival, rassegne, spettacoli. Da Bologna a Matera, una nuova generazione di ventenni entra in scena. Entusiasta ma non velleitaria
Sembrava un laboratorio in piena attività: il festival “Dominio Pubblico - La città agli under 25”, negli spazi del Teatro India di Roma, è stato un brulicare di volti giovani e giovanissimi. Registra una tendenza in atto in Italia: c’è una nuova generazione che entra in scena. Lo fa a modo suo, fiutando l’aria circospetta, delusa ma non rassegnata, entusiasta ma non velleitaria. Non cerca scontri, né ribellioni, non vuole uccidere i “padri”, di cui sostanzialmente si disinteressa. Sensibile alle emergenze climatiche, critica verso le paludi politiche, attenta alle questioni economiche e occupazionali, militante rispetto alle dinamiche identitarie e di genere, alle prospettive europee, ai social come ai grandi classici. I giovani sfidano le categorie ufficiali degli “under 35” e le politiche già consunte dei “bandi”, per organizzare festival, rassegne, spettacoli. Con elementi innovativi, in linea con quanto accade nel resto d’Europa, che mescolano “audience development” e processi di “empowerment” artistico.
I ventenni, spesso nonostante i freni delle amministrazioni, locali e a livello nazionale, si assumono l’onere e l’onore del fare, lavorano attivamente sul campo, scelgono: si parla di «direzioni artistiche condivise e partecipate», formate da gruppi di ragazzi e ragazze che visionano spettacoli spesso di loro coetanei, ne discutono e poi selezionano, per dare vita a cartelloni in cui rari sono i nomi noti e pressoché assenti quei volti televisivi che tanto piacciono, invece, alla scena mainstream.
Non servono divi tv, perché il pubblico arriva ed è fatto prevalentemente da spettatori giovani, gli stessi inutilmente inseguiti dalle istituzioni teatrali maggiori. Sarà il passaparola, sarà la birretta, sarà l’immancabile dj set postspettacolo: magari ancora fragile dal punto di vista qualitativo e artistico, ma di fatto il fenomeno cresce e si diffonde.
“Dominio Pubblico”, il festival capitolino giunto alla sesta edizione, è solo uno dei tanti incubatori del nuovo teatro italiano. Il fondatore, Tiziano Panici, regista e instancabile animatore culturale, ha superato la soglia anagrafica e ha passato la mano a un manipolo di studenti che si occupa di tutto: tutti under 25, hanno scelto gli spettacoli, curato la comunicazione, l’ufficio stampa, la tecnica. «Il festival nasce come progetto di formazione per spettatori giovani, nel tentativo di renderli partecipi. Poi abbiamo avviato pratiche di coworking culturale tra realtà indipendenti, nel tentativo di fare rete e ora ci siamo: “Risonanze” è una nuova rete nazionale attiva. Abbiamo ritmi slow, ci vuole tempo ma da questo fermento può nascere una bella comunità» , spiega Panici.
Ecco l’elemento dirompente: la comunità. Di esperienze del genere, pur con le dovute differenze, ne fioriscono tante. Piccole, marginali ma coraggiose e vivacissime. A partire dal festival “20/30” di Bologna, organizzato dalla compagnia Kepler452 e sostenuto da Ert-Emilia Romagna Teatro (che ha appena realizzato anche il progetto “Radar” destinato ai giovani artisti della regione). Nicola Borghesi, regista e attore, tra i creatori del festival bolognese, ha appena compiuto 31 anni: «Lavoriamo in una ottica nuova: non siamo una riserva indiana, intendiamo essere riconosciuti all’interno di una comunità. C’è un periodo che va dai 19 ai 30, e forse più, in cui non sei ancora adulto e certo non sei più un ragazzino: sono gli “adultolescenti”? Forse tali per motivi economici, sociali, culturali: è una generazione non solo di “sdraiati”, o di “occhi bassi”, ma consapevole», dice. Aggiunge Enrico Baraldi, 25enne alla direzione del festival: «Sono diventato adolescente nel 2007, agli albori della famosa crisi. Quando ho cominciato a farmi delle domande sul futuro, mi han detto che era già tutto perduto. Invece abbiamo provato a superare quella chiusura: a immaginare un teatro che immagina futuro».
Sono d’accordo nello staff di “Dominio Pubblico”: Lorenzo Bitetti dice che «a 21 anni sei considerato ancora un “bambino”, non hai mai o quasi la possibilità di lavorare in teatro, in una direzione artistica o, come nel mio caso, nel settore tecnico all’interno di una struttura importante» e Maria Paola Massari, diciannovenne di Napoli, ribatte: «Cosa è un teatro under 25? Quello che permette a tutti di approcciarsi a una realtà altrimenti difficile da comprendere o poco accessibile».
Una prospettiva condivisa un po’ ovunque. A Gualtieri, nella bassa pianura padana, il giovanissimo gruppo che ha riaperto il Teatro Sociale ha inventato “Direction Under 30”, progetto per la valorizzazione delle compagnie emergenti e coinvolgimento del pubblico nei processi decisionali e artistici. A Matera, la compagnia Iac di Andrea Santantonio e Nadia Casamassima organizza il festival “Nessuno Resti Fuori”, coinvolgendo attivamente “minori non accompagnati”, ossia giovani immigrati, per sognare un futuro meno cupo. O ancora al Teatro dell’Argine di Bologna, realtà molto attiva, già segnalata per un’incredibile iniziativa, “Futuri Maestri”, insignita della medaglia del presidente della Repubblica: ora stanno avviando un “percorso cittadino fuori dal coro” chiamato “Poetico-Politico”, laboratorio di cittadinanza attiva proprio per adolescenti.
Di esempi se ne potrebbero fare ancora mille. Al Teatro Libero di Palermo c’è il Festival “PresenteFuturo” per gli under 30 di tutta Europa, mentre a Padova ci sono le “Universerie”, “serie” teatrali per universitari promosse da gruppo AmorVacui con lo Stabile del Veneto, e il teatro Verdi stracolmo di studenti che accorrono a ogni “puntata”. C’è il festival Strabismi a Cannara di Perugia, o Castellinaria di Alvito (Frosinone), il Crowd Fest di Arezzo o il gruppo Gais (Giovani Ambasciatori in Scena) del Teatro Nazionale di Genova. C’è il Premio Giovani Realtà di Udine organizzato dall’Accademia “Nico Pepe” e il Festival Trasparenze di Modena, che ha al suo interno una “Konsulta” (rigorosamente con il K) fatta da studenti universitari di tutta Italia. E a Valdagno, nel vicentino, l’associazione Livello 4 di Alessandro Sanmartin ha creato il festival “CrashTest”. In giuria, quest’anno, ci sarà un maestro ultraottantenne e giovanissimo come Giuliano Scabia. Anna Peretto, 21 anni, si occupa della comunicazione e racconta: «Possiamo cambiare il nostro futuro oppure assecondare quello che già ci si prospetta. Tocca prendere posizione. È il momento di proposte positive, idee nuove e buone pratiche, sia nel fare teatro che nell’essere cittadini».
Come è accaduto al Festival “Kilowatt” di San Sepolcro, con “BeSpectactive”, progetto preso a modello dall’Unione europea e basato sui “Visionari”, ossia spettatori che contribuiscono alla scelta del cartellone. Quest’anno ce ne sono 25 con meno di diciotto anni. Spiega Luca Ricci, con Lucia Franchi fondatore della rassegna: «Pensiamo che le scelte culturali abbiano la capacità di creare l’immaginario di un’epoca, proprio per questo coinvolgere ragazzi in questo obiettivo è pericoloso, ma necessario e premiante. I ventenni possono compiere qualsiasi tipo di scelta importante: economica, artistica, ambientale, politica. È bene trasmettere loro gli strumenti e l’entusiasmo per farlo, nonché la fiducia nelle proprie possibilità».
Insomma, il “fenomeno”, se così vogliamo chiamarlo, è realtà, e più ampia di quel che si creda. Diventerà un nuovo sistema teatrale? Luisella Carnelli, ricercatrice esperta della Fondazione Fitzcarraldo di Torino, allarga lo sguardo alla prospettiva socioeconomica: «Sia che nascano da iniziative dall’alto verso il basso, sia che nascano come forme autogestite e organizzate secondo il modello opposto, i progetti guidati dai giovani sono non solo espressione di nuove urgenze creative e desiderio di protagonismo attivo, ma anche spazi di libertà securizzata all’interno dei quali avviare nuove forme di produzione e creazione artistica». Secondo la ricercatrice, si tratta di spazi reali e “metafisici” in cui la consapevolezza dei propri mezzi si nutre di modalità di apprendimento informali e creative capaci di alimentare pensiero critico e laterale. «Arene in cui nuovi linguaggi, nuovi temi scottanti sono non solo pensati per le nuove generazioni ma da queste trasformati in linee progettuali, artistiche, organizzative». E ovviamente anche le istituzioni si attrezzano. Vale la pena segnalare almeno due iniziative: al Teatro Metastasio di Prato Fiammetta Perugi, 26enne neodiplomata alla Scuola “Paolo Grassi” di Milano, è stata chiamata a dirigere il suo primo spettacolo. Alla Biennale Teatro di Venezia, il direttore Antonio Latella ha creato un bando per sostenere giovani registi sotto i trent’anni (per il 2019 sono Carmelo Alù, Alessandro Anglani, Martina Badiluzzi, Ian Bertolini, Alessandro Businaro, Paolo Costantini, Irene Di Lelio, Francesco Meloni, Laura Nardinocchi, Gianpaolo Pasqualino, Elena Rivoltini e Federica Rosellini).
Era il 1976 quando Giorgio Barberio Corsetti diresse “La rivolta degli oggetti” con la compagnia Gaia Scienza, in uno spazio ormai mitico come il Beat 72. Aveva 25 anni. Adesso ne ha 68, dirige il Teatro di Roma, e non ha perso curiosità e entusiasmo: «Non so cosa sia oggi il teatro under 25, è tutto da scoprire», riflette: «Quando facemmo “La rivolta degli oggetti” nasceva una nuova era. Ma non farei discorsi nostalgici: si tratta di capire come, nel mondo di oggi, si determina e si disegna la rivolta, l’alternativa al sistema di pensiero e al sistema espressivo come si è delineato. Capire quali sono le tensioni, le forze: c’è molta energia in giro, le occasioni sono diverse. A sedici o a venti anni si è nel pieno della propria creatività e si può benissimo elaborare un linguaggio artistico. Quel che possiamo fare noi è aprire possibilità, spiragli, offrire occasioni. Poi sarà una sorpresa vedere come quegli spazi saranno occupati».
La comunità, insomma, si prende spazio, si muove. Adesso è ora dipensare alla qualità della proposta artistica: vediamo se da qui uscirà davvero il nuovo teatro italiano.