
«Perché è da una lettura di Eros che è iniziata la filosofia, con Platone», spiega il 54enne Trawny: «Oggi ci tocca ritornare lì, al primo amore. Cosa, del resto, ci colpisce più a fondo dell’inizio di quell’esperienza? La nascita di un figlio, il nostro primo incontro d’amore...Momenti indimenticabili, iniziatici. Tanto più che l’amore ha la forza di stupirci sino alla fine dei nostri giorni con nuovi, imprevedibili inizi. Ogni filosofia dell’amore parte dalla radicalità di Eros sin dall’inizio».
Platone coglieva in ogni amore il desiderio di crescere. E la speranza è che con Eros - si legge nel “Simposio” - ci vengano incontro il Bello e il Bene.
«Platone vede questi aspetti nell’Eros perché la sua filosofia prova ad addomesticare nel Logos la tragicità con cui l’amore si presenta ad Euripide e Sofocle. Per i tragici Eros è un tiranno. Nei suoi testi Platone ricorre a tutti i mezzi, poetici e mitici, pur di instillare l’idea dell’“amore filosofico“, l’interscambiabilità fra l’amore e la virtù. È da questo scambio che inizia la storia della filosofia occidentale».
Oggi sono le soap opera, o le star di Hollywood, a dirci cos’è Amore. Non si sente smarrito in mezzo a tanto kitsch?
«Persino nelle sue forme più banali o commerciali si intuisce la carica esistenziale, e filosofica, dell’amore nella vita. Una love story al cinema commuove perché ci ricorda una passione reale. E ogni amore è uno shock, qualcosa che ci rapisce ed espone nudi a un altro. In tv o al cinema le storie d’amore saranno kitsch e a lieto fine, ma ci attraggono perché rimettono il dito in una profonda ferita».
In “Frammenti di un discorso amoroso” Roland Barthes definisce “mostruosa” la pretesa dei filosofi di spiegarci l’amore...
«E ha ragione: ogni “ars amatoria” renderebbe oggi ridicolo il suo autore. Io restituirei la parola ai poeti: nei versi di Rilke o nelle pagine di Tolstoj apprendiamo di più sull’amore. E questo perché nell’Eros il filosofo si confronta con l’assoluta contingenza di ogni amore. Persino nell’era globale e digitale, l’arrivo di Eros abbatte il nostro Io e ne straccia le difese narcisistiche. Questo ha poco a che fare con la chiarezza gnoseologica a cui la filosofia aspira».
Tutti i filosofi del postmoderno decretano, per citare Byung-Chul Han, “L’agonia dell’amore”, annegato in Internet e nella pornografia.
«Il 21° secolo ci affoga in un surplus di autonomia, di pretese abnormi della soggettività. Da Alain Badiou a Byung-Chul Han, i filosofi diagnosticano l’agonia di Eros per sovraesposizione mediatica. Nell’era neoliberale ci crediamo ultra-autonomi, soggetti ipermobili e superconnessi a reti digitali. E, al tempo di Tinder, si scambia l’amore con la “fuckability” dell’altro».
Cosa accade quando Eros ci afferra? Lei parla di perdita di autonomia e di libertà, i due pilastri su cui si basa la moderna soggettività, da Cartesio a Kant ed Hegel.
«È la schizofrenia della soggettività occidentale. In ognuno di noi, insieme ad autonomia e libertà opera l’impulso opposto, la forza del desiderio e la capacità di perdersi in un Altro. Mai come oggi questa schizofrenia esplode sulle piattaforme digitali che offrono in cambio dell’amore, impegno troppo grave, la volatilità di contatti on line».
Il Werther di Goethe è il kamikaze che si uccide per l’amata. La frase shock di ogni amore è quella rivolta a Lotte: «Ich kann nicht ohne dich leben», non posso vivere senza di te.
«L’amante è pazzo d’amore. Eros è sempre un’offesa al nostro Io, una ferita e rischio mortale per la nostra autonomia. Ma è anche un Dio alato, capace di donarci il massimo dell’entusiasmo liberando energie represse. L’estasi amorosa è in questa dirompente ambiguità con cui Eros ci sconvolge».
Il personaggio più alieno all’amore è Bartleby, lo scrivano di Melville murato nell’Io. Non siamo tutti piccoli Bartleby?
«Il suo slogan, “Preferirei di no”, è una matrice negativa troppo radicale visto che, pur nella nostra precarietà, puntiamo sempre al successo e al riconoscimento. Ma nelle nostre riserve verso la violenza dell’amore siamo un po’ tutti, è vero, fratelli minori dell’autismo di Bartleby».
Per Hannah Arendt la politica moderna è creazione di spazi fra l’individuo, il pubblico, le istituzioni. L’amore esige invece intimità, un “welt-lose Bezug”, un rapporto senza mondo. C’è qualcosa di anarcoide nella passione?
«Quel filo dell’amore che la Arendt intreccia nella sua filosofia lo ritroviamo già come sottotraccia negativa nella “Repubblica” di Platone, dove si dice che l’amore è in sé “a-politico”. L’intimità su cui insiste Arendt spiega perché l’amore non può mai diventare fattore politico, dato che Eros tende a ritrarsi dal mondo e se entra in politica - come nel destino di Edipo - muta in tragedia. Il linguaggio dell’amore è poesia, anzi è fonte di poesia, e non esiste una poesia politica, se non in forma perversa».
Studia da sempre Heidegger. Trova affinità tra filosofia heideggeriana e potenza dell’amore?
«L’assoluta casualità con cui Eros ci afferra ha un’affinità con la finitezza della nostra esistenza su cui Heidegger insiste in “Essere e Tempo”. Col tempo gli amanti scoprono consonanze nei caratteri e gusti, ma non c’è nessuna predeterminazione o destino che li spinge a legare le loro vite».
Lei parla di “Demütigung” per indicare ciò che Eros fa di noi: l’umiliazione della libertà. In ogni afflato erotico c’è un po’ di masochismo?
«È un fatto che, se ami una persona, arrivi quasi sempre a renderti un perfetto idiota per lei e per il suo bene. Non c’è scritto da nessuna parte che l’amore vero è quello che strappa i capelli. Per lo più cerchiamo anzi di difenderci dall’Eros, ma l’umiliazione fa parte della sua dinamica».
È immaginabile una vita senza amore?
«Sarebbe un paradosso per ogni filosofo: filosofia è una forma d’amore e una vita senza amore sarebbe priva di filosofia. Persino a mostri come Hitler o Stalin non possiamo negare una qualche passione, per un figlio o per un cane».
La temporalità degli amanti è una strana utopia: «L’amore accade come se fosse sempre l’ultimo giorno», scrive. E la parola che gli amanti sospirano è “noch”: ancora una volta.
«L’amore è tante cose, ma non eterno, anzi è quasi sempre alla fine. Nella sua estrema intensità ogni amante sa che al fondo di tanta energia e passione ci sono contingenza e fragilità assolute. È l’ambiguità di questa debolissima Forza che porta gli amanti a sperare che domani il loro rapporto ci sia ancora, che ogni giorno il loro precario miracolo si ripeta».
Viviamo angosciati da apocalissi ambientali. E l’amore?
«L’apocalisse include una rivelazione, e da filosofo ogni annuncio apocalittico, anche a tinte ecologiche, mi trova scettico. Ma se ammettiamo che l’orizzonte che ci attende è la catastrofe ambientale, la risposta al Titanic planetario è solo l’amore. Quello con cui Lars von Trier chiude il film “Melancholia“: l’abbraccio di due donne e un fanciullo».