Un testo teatrale sugli orrori della Shoah scuote il pubblico e lo constringe a uscire dal suo torpore

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Come si fa a sapere chi siamo senza scavare nella nostra memoria? Ce lo siamo chiesti tante volte, eppure siamo di nuovo qui a ricordare le vittime della Shoah. Forse perché senza conoscere davvero il nostro passato è impossibile anche solo immaginarlo un futuro. O forse perché sentiamo il bisogno di respingere questa ondata di antisemitismo, razzismo, violenza, discriminazione in cui noi siamo in mezzo, pietrificati ma inevitabilmente travolti. Come difendersi? Riprendendoci le parole, per esempio, mettendo il testo al centro di un palcoscenico
e scuotendo il pubblico costringendolo ad uscire dal suo torpore.

Molti teatri hanno preso spunto dal centenario della nascita di Primo Levi per dare avvio, con un po’ di anticipo, alle celebrazioni per il Giorno della memoria. La compagnia ravennate Fanny & Alexander ha ideato una maratona itinerante in tre tappe,

“Se questo è Levi”, che porta in scena in luoghi non teatrali pagine tratte da “Se questo è un uomo”, “Il sistema periodico”, “I sommersi e i salvati”, per restituirci l’uomo, il chimico, il testimone. In tutti e tre i casi è Andrea Argentieri (premio Ubu 2019 come miglior attore under 35 e Progetto speciale) ad interpretare con precisione “chimica” lo scrittore partigiano sopravvissuto ad Auschwitz. La sua è un’interpretazione iper-realistica, grazie alla tecnica dell’eterodirezione che la compagnia sperimenta da anni: durante lo spettacolo l’attore si lascia attraversare dalla voce registrata di Primo Levi che risuona nelle sue orecchie attraverso le cuffie e simultaneamente la trasmette in scena, incarnando gesti, postura, linguaggio e invitando ad una riflessione critica sul nostro presente. Perché i fascismi, ci dice Levi, possono ancora esistere (prossime repliche a Modena il 24 gennaio, a Reggio Emilia il 26, a Bologna il 27, dove tornerà anche il 16, il 23 febbraio e il 1° marzo).

Lo abbiamo visto nella stagione del Teatro di Roma, dove lo spettacolo di Fanny & Alexander è stato affiancato da altri due lavori dedicati a Levi, coprodotti dal Teatro di Roma, entrambi diretti da Valter Malosti: “Se questo è un uomo”, un inferno dantesco di cui Malosti è anche interprete, e “Il sistema periodico”, con Luigi Lo Cascio immerso nell’universo chimico-narrativo dello scrittore piemontese, ancora in scena il 24 e il 25 maggio al Teatro Franco Parenti di Milano. Entrambi gli spettacoli sono parte del più ampio progetto “Me, mi conoscete. Primo Levi a Teatro”, ideato da Valter Malosti per Tpe Teatro Piemonte Europa che ha portato in scena anche “I sommersi e i salvati” interpretato da Fabrizio Gifuni e i due “racconti minerali” Piombo con Nino D’Introna
e Mercurio con Richi Ferrero.

Primo Levi, dunque, continua a parlarci, forte e chiaro, ma senza urlare, né rinunciando a raccontare tutto ciò che i suoi occhi hanno visto (lo hanno messo al centro della scena anche Jacob Olesen in “Primo”, Sonia Bergamasco in “Ex chimico” e lo farà anche Gioele Dix il 27 gennaio al Politeama Garibaldi di Palermo).
Non ci fu però solo Auschwitz.

Anche l’Italia ha avuto i suoi campi di concentramento. Il primo spettacolo a parlarne è stato “I me ciamava per nome: 44.787- Risiera di San Sabba” di Renato Sarti, nato dalle testimonianze di ex deportati raccolte da Marco Coslovich e Silvia Bon per l’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea del Friuli Venezia Giulia sulla Risiera di San Sabba. «Quando andò in scena in forma di reading, all’interno della Risiera, era il 1995», ricorda Sarti: «Avevamo spazio per 1200 spettatori, ne arrivarono 4mila. A leggere c’erano Giorgio Strehler, Paolo Rossi, Moni Ovadia, Bebo Storti, Barbara Valmorin... Lo spettacolo debuttò due anni dopo al Teatro Portaromana e da allora ha continuato a girare».
Il prossimo 27 gennaio sarà a Milano, al Piccolo Teatro Grassi, e poi dal 28 gennaio al 2 febbraio al Teatro della Cooperativa.

Prima ancora, a parlare di Olocausto in teatro era stato “L’Istruttoria”, scritto da Peter Weiss nel 1965, con la regia di Gigi Dall’Aglio, che debuttò nel lontano 1984 al Teatro Due di Parma, dove ancora oggi, ogni anno, viene riproposto con lo stesso cast (replica dall’8 al 23 febbraio).

Chi fu tra i primi spettatori lo ricorda come uno spettacolo scioccante, un viaggio nell’orrore dei lager che attinge alle deposizioni processuali dei testimoni e dei sopravvissuti di Auschwitz.
«Quando fu pubblicata “L’Istruttoria” nei libri di storia quasi non veniva citata la Shoah e il testo di Weiss forniva notizie sconvolgenti, per questo aveva senso elencare quante persone erano state uccise in un modo e quante in un altro», dice Dall’Aglio. Ma da quando è stato istituito il Giorno della memoria, anche in teatro si è cominciato a parlare sempre di più di persecuzioni, stermini, leggi razziali, storie di sopravvissuti. Qualche esempio? Ascanio Celestini (che il 27 gennaio sarà all’Auditorium Parco della musica di Roma con “Radio clandestina”), Marco Paolini (“Ausmerzen”), Fabrizio Saccomanno (“Shoah, Frammenti di una ballata”), Andrea Satta (“La fisarmonica verde”), Dario Aggioli (“Gli ebrei sono matti”), Alessandro Albertin (“Giorgio Perlasca, il coraggio di dire no”), Elena Arvigo (“Il dolore”), Elena Sofia Ricci (“Vetri rotti”, dal 4 al 16 febbraio al Teatro Eliseo di Roma), Gianpiero Pumo e Filippo Panigazzi (“La belva Giudea”, dal 28 gennaio al 2 febbraio all’Off/off Theatre di Roma).