In una tv piena di bollettini medici di guerra, Luca Argentero in camice fa il pieno d'ascolti. Come se lo spettatore non volesse più confini tra cronaca e finzione
Quarantena, sintomi, camici, eroi, mascherine, terapia intensiva, pronto soccorso, corsia, emergenza, dottori, infermieri, caposala. È questo il brusio condiviso, nelle eterne giornate in cui, in un universo ribaltato, la tv sempre accesa guarda il mondo malato fuori dalla porta. Ci sono i numeri della conferenza delle 18, malati, contagiati, guariti, morti. Gli speciali, dentro le strutture sanitarie. Le opinioni, di medici e virologi. Le inchieste, sui tagli in corsia perpetuati nei decenni. I tutorial improvvisati su come togliersi i guanti senza rovinare lo smalto. E le tempeste di cervelli, come l’attacco di Vittorio Feltri a “Fuori dal coro” ai «medici che stanno sempre in televisione invece di lavorare».
Per cui è difficile trovare una finestra aperta di evasione pura.
Eppure bisognerebbe provare a respirare un’altra aria, cercare una distrazione di qualsivoglia fatta in questi palinsesti ridotti gioco forza al lumicino. Invece arriva lui, il dottor Fanti, protagonista brizzolato di “Doc - Nelle tue mani” (Rai Uno). Vita e opere in camice bianco liberamente tratte dalla vera storia di un medico oggi in forze a Codogno che ha perso la memoria e ricomincia dalla corsia zero. Praticamente un play within the play di ispirazione shakespeariana.
Seguito con attenzione da svariati milioni di persone, che passano così senza colpo ferire dalla cronaca alla finzione, in un microcosmo da salotto obbligato, in cui esistono solo e unicamente gli ospedali. Un po’ come se ai carcerati durante l’ora d’aria si proponessero le storie variegate dietro le sbarre di “Orange is the new Black”.
Ora. Che la fiction sia di piacevole fattura, comprese le tre espressioni di Luca Argentero, è un fatto. E nonostante le lentezze endemiche la combinazione sentimento, diagnosi a sorpresa e vita spezzata di certo funziona. Pazienza che la tradizione seriale d’Oltreoceano sia stata saccheggiata con dovizia e che il doc uscito dal coma targato Lux Vide e Rai Fiction sia misantropo come il dottor House, genialoide con Shawn Murphy e piacione come Derek Shepard (da cui prende pari pari la scena dello sparo iniziale). Perché, come rispose Woody Allen a chi gli chiedeva “Ma chi ti credi di essere, Dio?”, a qualcuno bisogna pure ispirarsi.
Insomma, come si dice, camice più camice meno, ben venga un medical drama tricolore che spazzi via il ricordo dell’inarrivabile dottoressa Giò.
Ma che l’apprezzamento diffuso sia di tale portata va ben al di là delle doti della produzione. E ci inchioda, spettatori al tempo del coronavirus, a un’inedita, quanto spietata realtà. Scandita al ritmo della defibrillazione: uno, due, tre, libera.