Per un perverso capriccio da palinsesto, aleggiano due prodotti dal titolo drammaticamente identico. “Scene da un matrimonio”, su Sky, è un remake, o sarebbe meglio dire un aggiornamento dell’inaudito lavoro di Bergman degli anni Settanta, in cui due sposi, usando la lingua come un coltello spietato, affondano nei rispettivi cuori, scavano, distruggono, riducono in briciole ogni cosa e tirano fuori una maratona di ordinario dolore familiare che ti porta a guardare, almeno per un attimo, chiunque stia seduto al tuo fianco sullo stesso divano, con puro disprezzo.
Poi c’è l’altro lato della medaglia, ovvero le “Scene da un matrimonio” di Canale 5, prodotto riesumato da quel che Gianni Ippoliti creò per i capelli rossi di Davide Mengacci proprio come italica risposta a Liv Ullmann e Erland Josephson. E che in questo giro contemporaneo, si fa sempre per dire, viene agevolato nientemeno che dalla ex ragazza di periferia Anna Tatangelo. Quindi sulla carta, ma solo su quella, in entrambi casi si prova a sviscerare un tema generale come il matrimonio, a partire dal particolare di una singola coppia, per una sorta di sineddoche televisiva in cui la parte si sposi, è il caso di dirlo, con il tutto.
Peccato che il tentativo Mediaset, presa da un’affannosa smania di ripulitura d’immagine post D’Urso, sia una sorta di appiccicosa galoppata verso l’inutile, dove a furia di cercare uno sprazzo di verità si finisce per cadere in una soporifera assenza di realtà. Tanto, come insegna Zenone, puoi anche correre più veloce del vento ma alla fine la tartaruga sarà sempre più veloce di Achille.
Così, mentre la fata madrina dichiara con sentimento quanto sia bello «mettersi in discussione mostrando il proprio lato personale, umano, perché poi il pubblico ti percepisce per come sei davvero», nel programma si muove al rallentatore, in senso letterale, giusto per dire che in quanto a tv verità cominciamo malino. Per non parlare delle coppie, che una volta dichiarato il reciproco amore esauriscono in un sol colpo di teatro il lato avvincente della loro storia. Rappresentativi solo del loro personale vissuto che, con rispetto parlando, interessa pochino, gli sposi ripercorrono con un tono fané il loro primo abito da carnevale, le storie dei nonni, il lavoro del padre, gli studi della madre.
E alla fine, del matrimonio di scena ne rimane soprattutto una, quella degli invitati che vogliono una foto con la Tatangelo. Perché un selfie con Bergman nella cornice d’argento non avrebbe fatto la stessa figura.