Scienza e cultura
La distorsione del tempo e dello spazio. Il caso. E altre dimensioni che non riusciamo a cogliere. L’autore del bestseller “L’anomalia” riflette su immaginazione e sapere matematico. «Siamo a un punto in cui la civiltà deve scegliere fra serotonina e dopamina. Dopamina è la felicità, serotonina è il piacere»
di Wlodek Goldkorn
Il guaio è che abbiamo confuso la scienza: un metodo alla cui base c’è il dubbio e l’incertezza, con la tecnica che invece dovrebbe risolvere i problemi pratici. E così cresce la sfiducia nel sapere, nella razionalità, nella nostra capacità di conoscere il mondo e magari di salvarlo dalla catastrofe. Hervé Le Tellier ha 64 anni, di formazione è matematico, di mestiere ha fatto il giornalista ed è uno degli scrittori più in vista in Francia. L’anno scorso ha vinto il Premio Goncourt con “L’anomalia”, un romanzo che ha venduto oltre un milione di copie, in Italia pubblicato da La nave di Teseo. Racconta uno strano caso di un aereo che parte da Parigi per New York e atterra due volte: lo stesso volo, con gli stessi passeggeri e gli stessi piloti, ma a tre mesi di distanza. Tutto nel libro si sdoppia e le stesse persone si trovano al contempo in due luoghi diversi. Con lui parliamo di come raccontare la scienza, non solo ai tempi di novax e superstizioni varie, ma anche in un’epoca in cui grazie alla fisica quantistica sappiamo che l’universo è governato dalla casualità, ha un’ architettura simile a un romanzo (e questa non è un’idea rassicurante) e che il Tempo e lo Spazio - come nel suo libro, appunto – sono un’altra cosa rispetto alla nostra percezione.
Le Tellier è un signore gioviale e simpatico, ride spesso, intuisce le intenzioni dell’interlocutore prima che siano formulate in parole. E così, alla non ancora espressa domanda su cosa sia la realtà del mondo sensibile alza il braccio, chiude la mano come se tenesse un oggetto, poi la apre e dice: «Se prendo un libro e lo mollo, il libro cade per terra». Ride: «Questa è la realtà, è la forza della gravitazione. Nel mio libro invece la realtà può essere simulazione». Spiegazione: nel romanzo “L’anomalia” di fronte alla distorsione del Tempo e dello Spazio i politici nel panico chiedono agli scienziati una spiegazione e una soluzione. L’ipotesi di uno di questi è che viviamo in una simulazione di un altro universo, identico e parallelo. Prosegue Le Tellier: «Il mio non è un testo scientifico, perché non c’è modo di confutare la tesi che esprimo (è questa la definizione che della scienza dava il filosofo Karl Popper). È invece un libro probabilistico. Probabilmente il nostro mondo non è una simulazione, ma forse lo è». Chiarisce: «Nel mio romanzo c’è molta matematica. Per questo posso raccontare qualcosa di anomalo come se fosse accaduto davvero».
Proviamo ad allargare il discorso. La matematica è un linguaggio, in questo caso un linguaggio usato da un romanziere, per dare razionalità e quindi credibilità a un racconto. Ma oggi la frammentazione del sapere non aiuta a chi propaga la razionalità e di conseguenza la fiducia (non la fede) nella scienza. Le Tellier risponde impaziente: «Non è una novità. L’ultimo uomo in grado di abbracciare tutto il sapere - dalla pittura, all’architettura, all’ingegneria e perfino filosofia - è stato Leonardo da Vinci. Certo, il processo di frammentazione del sapere si è radicalizzato in questi ultimi decenni. Gli scienziati conoscono un solo specifico aspetto della loro disciplina. Però, la specializzazione estrema costringe a lavorare con gli altri». Oggi quindi la scienza è condivisione e sforzo collettivo? La risposta è velocissima: «Tutto il nostro sapere è costruito come un sistema. Gli elementi singoli esistono solo in quanto connessi e funzionali ad altri elementi. E così si lavora in team. I Nobel per la Medicina sono ormai assegnati a gruppi di lavoro. Solo gli scrittori restano solitari», ride.
Sarà vero che si lavora in team. Ma “L’anomalia” è stato accolto molto bene, non a caso, negli ambienti di psicanalisti, perché parla del doppio. Ora, il doppio riporta a Freud, al concetto del perturbante e del narcisismo. Le Tellier interrompe: «Si tratta di uno dei problemi più grandi della nostra epoca. Siamo a un punto in cui la civiltà deve scegliere fra serotonina e dopamina. Dopamina è la felicità, serotonina è il piacere. Credo che l’edonismo, la serotonina cioè, sia il peggior nemico dell’umanità, assieme a un altro concetto: la speranza». Obiezione: non c’è progresso e neanche scienza e neppure la probabilistica e tutto il sapere iper-razionale, senza la speranza. Risposta: «La speranza è legata al piacere narcisistico». E qui Le Tellier ci tiene a rimarcare un altro fatto. «La scienza è un continuo confronto, ma oggi, con la diffusione dei social media, siamo in una situazione in cui è lecito essere così innamorati di se stessi da non confrontarci con le opinioni opposte alle nostre. E così pure non siamo più esposti al racconto dei fatti. Possiamo evitarlo per conservare i nostri pregiudizi. Ognuno nella sua bolla: perfino i razionalisti».
Altra obiezione. Non è solo il meccanismo dei social media, il colpevole. È istintivo aspettarsi dalla scienza la verità assoluta. Ma dal momento che gli scienziati stessi dicono che la verità assoluta non esiste, molte persone arrivano alla seguente conclusione: se perfino loro non credono nella verità, perché ci devo credere io? Risposta: «Insisto. Il problema è la mancanza di rispetto per il sapere degli esperti. C’è gente che dice: non sono un medico, ma… Ma se non sei medico, sta’ zitto. Abbi l’umiltà di metterti in ascolto. Mi rendo conto che è difficile, specie quando le cose ci toccano direttamente, come ad esempio la pandemia. Visto che tutti ne abbiamo fatto esperienza, tutti abbiamo un’opinione sull’efficacia dei vaccini o l’utilità delle mascherine». Ed ecco: «Si fa confusione fra scienza e tecnica, fra teorie falsificabili, e soluzioni concrete che riguardano ognuno di noi. Se vogliamo salvarci come specie - perché questa è oggi la posta in gioco - e non solo per la pandemia, quanto per il cambiamento climatico in atto, se insomma vogliamo far fronte alla catastrofe dobbiamo cominciare dall’istruzione, dallo spiegare i principi scientifici. E bisogna farlo molto velocemente. Siamo in emergenza».
Facile dire istruzione. Si è detto: fisica quantistica. C’è un boom di libri di divulgazione su questo tema, affascinanti e in grado di attirare l’attenzione dei lettori non meno della più immaginifica letteratura. E non possiamo certo rinunciarci. «Certo che no», ride Le Tellier. E poi dice una cosa fondamentale: «La fisica quantistica è affascinante, in particolare per uno scrittore, perché dimostra quanto sia difficile rappresentare la realtà. Il principio di causa effetto che è il principio guida delle nostre vite viene messo in questione. Se io faccio, come ho fatto all’inizio della nostra conversazione (simulando), cadere un libro, quel libro si muoverà dall’alto in basso. Però la fisica quantistica spiega che può accadere il contrario». Ride: «Il mondo sensibile come lo percepiamo non ubbidisce alla fisica quantistica ma alla nostra esperienza». E allora, che fare? Risposta secca: «Capire che il mondo che conosciamo è solo una parte del vasto Universo, così come le leggi che percepiamo sono solo una parte sempre delle leggi dell’Universo». Accenna alla complicatissima teoria delle stringhe, che mette insieme e cerca di conciliare le varie teorie della fisica, cita i buchi neri di Hawking, i buchi bianchi che è un’altra nozione di Spaziotempo, dice che forse l’Universo è troppo giovane per notare certi fenomeni, e riflette: «Sentir dire che ci sono undici dimensioni, ma noi ne percepiamo solo tre, è una cosa scioccante. Ecco perché non è possibile dare un’immagine del mondo». Come invece la davano i nostri antenati nei loro per quanto ingenui disegni e mappe dove rappresentavano il Cosmo, aggiungiamo. Le Tellier commenta: «Ma noi romanzieri continuiamo a rappresentare il mondo. Lavorando però più con immaginazione che con la matematica, anche se in questo mio romanzo la matematica è centrale».
Visto che ha citato il suo libro, ecco, fra le pagine c’è anche la storia di una multinazionale che lavora per rendere gli umani, alcuni umani, i più ricchi e potenti, immortali. Ora, la religione e la filosofia sono nate in larga misura, a causa dell’angoscia della morte. «Oggi invece c’è l’illusione che la tecnica sia in grado di impedire l’invecchiamento e manipolando un cromosoma escludere la morte dal nostro orizzonte. Per questo le grandi aziende di tecnologie all’avanguardia investono in tre cose: medicina, big data, e soprattutto intelligenza artificiale». Precisa: «Le prossime invenzioni e scoperte non saranno fatte dagli umani». E per questo che uno dei protagonisti del libro dice: «Cartesio è obsoleto»? Risposta: «Sì. La frase “Penso dunque sono” è debole, oggi. Quando la macchina diventa pensante che differenza c’è fra lei e la persona? Le intelligenze artificiali presto avranno coscienza di sé e quindi soggettività e neanche loro vorranno morire». Sta dicendo che il giorno in cui le intelligenze artificiali decideranno che noi umani siamo inutili se non dannosi, ci uccideranno, ci elimineranno come specie? O, per citare una filosofa del Mit di Boston, Alexandra Przegalinska: non siamo stati così bravi da meritare a sopravvivere? Risposta: «Forse non lo meritiamo ma vorrei che i miei discendenti sopravvivessero. È illogico, irrazionale, non scientifico. Una volta morti, siamo morti. Però crediamo di essere parte di una catena di antenati e discendenti e vogliamo che la catena non si spezzi. È la nostra chance, irrazionale, per iniziare a pensare razionalmente su come salvarci».
E la scienza? Come può aiutarci? «Intanto tutti noi viviamo in un mondo magico. Abbiamo i nostri riti per respingere le angosce, anch’io ne ho diversi. E siamo convinti di idee, come per esempio quella per cui gli uccelli volano perché hanno le ali, mentre in verità è il contrario: gli uccelli hanno le ali perché debbono volare. Ci piace l’inversione di causa ed effetto. Ciò detto, dobbiamo ricordarci che la razionalità è indissolubilmente legata al dubbio. La certezza è invece caratteristica dell’irrazionalità. Ed è confortante e comoda: resti con i tuoi pregiudizi. La scienza richiede coraggio. Più sai, più sai di non sapere». A questo punto si potrebbero citare le parole che Bertolt Brecht attribuisce a Galileo: «Scopo della scienza non è tanto quello di aprire una porta all’infinito sapere, quanto di porre una barriera all’infinita ignoranza». Le Tellier preferisce fare un altro esempio: «Per me è Greta Thunberg l’immagine del futuro che auspico. Quello che dice è scientifico ed è vero. Non si limita alla tecnica né diffonde false speranze».