Nei Paesi in guerra l’opposizione non si chiama più nemmeno opposizione. Si chiama “quinta colonna”, l’estremo dell’accezione negativa che prefigura un nemico interno colluso col nemico esterno. L’Italia non è in guerra in senso militare ma in una situazione comunque emergenziale, tra un debito pubblico irrefrenabile, una crisi sociale sull’orlo di esplodere e la catastrofe di una classe politica inetta, incapace di produrre ciò per cui sarebbe deputata: un governo.
Così si affida a un comandante in capo, a un deus ex machina in grado di riparare le debolezze e le inefficienze di un sistema imploso. E Berlusconi si accoda, Salvini bela dopo avere per anni ruggito, persino la Meloni rifugge da un incomprensibile splendido isolamento se sì, farà l’opposizione, ma si affretta, per edulcorare, ad aggiungere “patriottica”. Dove il patriottismo è la faccia presentabile del nazionalismo. È un addio generalizzato alle armi, alle interminabili baruffe del politichese, una resipiscenza che ha il sapore di una delega in bianco, fai tu, SuperMario, ché noi non se siamo capaci.
L’opposizione svanisce in una maggioranza bulgara indistinta. Avanti, c’è posto sul tram che ci guiderà, si spera, fuori dalla palude. Poi liberi tutti. Arrivederci opposizione, ci mancherai, in fondo sei il sale della democrazia. Torna, dunque. A patto che tu sia diversa, però. A patto che tu sia “responsabile” non solo quando ti devi salvare i voti e l’anima.