Un’antologia sugli autori italiani e la conquista dello spazio. E diverse novità narrative. Il cielo attrae gli scrittori. Revival di un fenomeno antico, da Italo Calvino al Solarpunk

Quando Italo Calvino accettò, nel 1984, l’invito dell’università di Harvard a tenere un ciclo di sei conferenze divenuto poi leggendario, c’è chi giura (Giorgio Manganelli tra questi) che avesse subito pensato a un manifesto per il futuro da lasciare alla posterità. La morte dello scrittore, che non poté neppure terminare la revisione di quei testi per la pubblicazione, ne accentuò ulteriormente il carattere di “profezia”. «La letteratura esiste solo se si pone obiettivi smisurati», disse tra l’altro Calvino, citando Ovidio, le cui “Metamorfosi”, precisò in altra occasione, sono un poema “attivo” da duemila anni. In un saggio del 1979, ad introduzione dell’opera del poeta latino, lo stesso Calvino aveva scritto: «Il cielo vi appare come spazio assoluto, geometria astratta, e insieme come teatro d’una avventura umana». Lo scrittore stava puntando la prua della letteratura verso il cosmo, preparandone l’ultima metamorfosi.

Aveva ancora senso, dopo di allora, distinguere tra letteratura “seria” e letteratura “fantastica”, tra narrative realistiche e prospettive fantascientifiche? Non era già in corso, nella realtà vera, e non solo nella mente di un Barone di Münchhausen, la conquista dello spazio? Eppure, i tempi non erano maturi.
Nella primavera del 2012 sulla piattaforma di microblogging Tumblr venne pubblicato il primo post che faceva riferimento al misterioso fenomeno del Solarpunk. Il futuro dello spazio celeste e della Terra vi stavano riuniti in unico destino, secondo la mitologia ovidiana delle corrispondenze, e la prospettiva adottata era proprio quella della “leggerezza” di Calvino: basta catastrofismi e distopie (allora era il Cyberpunk alla “Blade runner” a dominare la scena), «sottraiamo peso alla realtà» e ricostruiamo un futuro a somiglianza delle calviniane “città invisibili”: urbanistica leggera, cristalli ad energia solare, fotosintesi clorofilliana indotta dall’uomo per ridurre l’agonia climatica.

 

Strano destino, quello del Solarpunk. Si tratta del primo movimento letterario che, prima di sfornare qualche opera, nacque sui social network come visione del mondo e movimento di opinione, con una estetica che si rifaceva ai film di Hayao Miyazaki, all’Art Nouveau e alla creatività primitiva. Solo dopo arriveranno i libri. Wikipedia genererà una pagina dedicata al fenomeno nel 2017, poi subito la abolirà, ritenendolo un “fake”, infine la ripristinerà definitivamente nel 2019, quando questa corrente (ora anche letteraria) sarà sorprendentemente presente in ogni angolo del mondo. Oggi non mancano - come vedremo - i libri che indagano queste e altre nuove prospettive, divisi tra la fuga da una Terra ormai ritenuta irredimibile fino a una nuova dedizione alla cura del pianeta.

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Ma cosa era accaduto, da quelle profetiche lezioni di Calvino dell’84 fino a oggi? Perché è passato tanto tempo, per raccoglierne il testimone? Ci voleva, spiega Alessandra Grandelis nel suo “Il telescopio della letteratura” (Bompiani), l’avvento della “New Space Economy”, a smuovere di nuovo le acque. L’autrice parla dell’avvento di “nuovi visionari”. Il 30 maggio 2020 due astronauti diretti alla Stazione spaziale che orbita intorno alla Luna hanno viaggiato per la prima volta su un mezzo privato, il Crew Dragon di Elon Musk, che dice di ispirarsi allo scrittore Isaac Asimov. Intanto, il fondatore di Amazon Jeff Bezos ha promesso le prime navicelle lunari per turisti. Gli emirati arabi, i cinesi e gli americani hanno inviato manufatti per simulare le condizioni di vita su Marte e, infine, la Nasa prepara sul nostro satellite una base di lancio per missioni di colonizzazione interstellare. Come per gli antichi viaggi di Colombo e Magellano, non ci si vergogna affatto che si tratti anche di affari.

 

L’avventura è ripartita. «Stiamo vivendo un Rinascimento spaziale», afferma Alessandra Grandelis. La ricercatrice dell’ateneo di Padova ha un merito: il suo libro è la prima antologia su «gli scrittori italiani e la conquista dello spazio», utile se non altro a stabilire i precedenti di questa nuova era. E ci si ricorda così quale mutazione radicale rappresentò - anche per le belle lettere nostrane - l’arrivo sulla Luna del ’69. Grandelis ha raccolto gli interventi ai margini della lunga maratona televisiva di allora, che videro protagonisti da Moravia a Pasolini, da Piovene a Parise, da Ungaretti a Montale, da Fallaci a Maraini. E poi, come aprisse un vaso di Pandora, ha passato al setaccio gli scritti di Landolfi, Buzzati, Calvino, Levi, Solmi, Consolo, Volponi, Morselli, Ortese, riscoprendone le pagine “spaziali” di diretta filiazione leopardiana. Per l’autrice, è proprio Giacomo Leopardi, autore nel 1813 di una “Storia dell’astronomia”, e poi nelle “Operette morali” del celebre “Dialogo della Terra e della Luna”, il padre di questa prospettiva «visionaria e cosmica» tutta italiana, che infine verrà sposata anche dal tardo Calvino.

 

Non basta. Il 10 aprile del 2019 arriva dallo spazio profondo un nuovo tsunami culturale. Una elaborazione dei dati raccolti da otto diversi telescopi terrestri consente la ricostruzione dell’immagine di un buco nero, al centro della galassia Messier 87. Mai prima d’allora se ne era visto uno. La foto fa il giro del mondo e ci farà constatare l’esistenza di “qualcosa” che piega lo spazio-tempo e inghiotte la realtà. Improvvisamente su media e social - racconta ancora Grandelis - tornano d’attualità la teoria della relatività di Einstein, le scoperte seicentesche di Galileo, i dialoghi scientifici di Keplero, persino “Il volto della Luna” di Plutarco e i racconti fantastici di Luciano di Samosata, in un clima di stupore somigliante a quello del lancio dello Sputnik sovietico del 1957. Si riapre anche la riflessione - annota l’autrice - su quei «semi di uno scrivere nuovo» già cercati da Primo Levi, per rispecchiare le trasformazioni del mondo. Soprattutto, rifà capolino una visione quasi darwiniana dei viaggi nello spazio, di qualsiasi epoca siano: è lo stesso impulso - scrive Levi - che «spinge i semi dei pioppi ad avvolgersi di bambagia per volare lontani nel vento, e le rane dopo l’ultima metamorfosi a migrare ostinate di stagno in stagno, a rischio della vita».

 

Una spinta naturale, dunque. Ma c’è un altro studioso italiano, Ernesto De Martino, che sembra quasi anticipare il Solarpunk, nel ricordarci che andare nello spazio non significherà mai girare le spalle alla Terra: «Anche gli astronauti possono patire di angoscia quando viaggiano nel silenzio e nella solitudine degli spazi cosmici... Parlano e parlano senza interruzione con i terricoli, non soltanto per informarli del viaggio, ma anche per aiutarsi a non perdere la loro terra».

 

Non perdere la Terra è proprio uno dei comandamenti del Solarpunk. Un messaggio che, tra pandemia e riscaldamento globale, si è diffuso a macchia d’olio. A testimoniare le attitudini di questo movimento ci sono oggi le due antologie italiane, edite dalla romana Future Fiction, curate da Francesco Verso e Fabio Fernandes. “Come ho imparato ad amare il futuro” e “Dalla disperazione alla strategia” (questi i titoli) raccolgono ventisette racconti provenienti da Italia, Stati Uniti, Brasile, Cina, Argentina, Spagna, Francia, Australia, Canada, Regno Unito. Ci sono vincitori di premi Hugo e Nebula accanto a semplici esordienti. Tutti accomunati da una convinzione: non serve più parlare per slogan, ci vogliono le storie. Narrazioni potenti come quelle di Fruttero e Lucentini, che nel fatidico 1969 dell’allunaggio dirigevano la collana “Urania” e che ipotizzarono la fine del genere fantastico alla Verne, ormai soppiantato dalla realtà, in favore di una letteratura che aprisse le vele e si spingesse oltre.

 

I Solarpunk si definiscono “punk” perché restano “ribelli”. Ma sono anche “solar” perché «ora basta con il pessimismo». Non ci facciamo illusioni, sottolineano, ma vogliamo fabbricare speranze. Uscire dall’Antropocene è il loro motto, grazie a economie circolari, sostenibilità ambientale, impianti fotovoltaici, risorse rinnovabili. «Quanto ancora dovremo disperare prima di capire che il futuro non ci verrà da nessuno? In quante altre distopie dovremo vivere prima di rimboccarci le maniche?», scrivono Verso e Fernandes. Del nuovo fenomeno si è occupata anche la attuale collana di fantascienza Urania, erede di quella degli anni d’oro di Fruttero e Lucentini, la cui resistenza nelle edicole dal 1952 è già un dato significativo.

 

Siamo di fronte ad un nuovo rimescolamento della cultura “alta” con quella “bassa”, simile a quello intercettato da Umberto Eco e Oreste Del Buono negli anni Sessanta, a proposito del fumetto? Oggi un nuovo “ibridismo” vede mischiarsi spesso anche letteratura e scienza. Un cattedratico di Scienze planetarie come l’americano Erik Asphaug ha licenziato per Adelphi un libro dal suggestivo titolo “Quando la Terra aveva due lune”; e una scrittrice come Emma Donoghue sente il bisogno di titolare una realistica storia irlandese, edita da Sem, “L’influenza delle stelle”. La stessa rotta di Ovidio, duemila anni dopo.