Una monumentale mostra al British Museum e la riapertura dell’ala est della Domus Aurea raccontano l’altra storia dell’imperatore

A distanza di duemila anni ci si continua a interrogare sulla figura di Nerone. Esecrato dagli storici latini e greci, che hanno scritto decenni o secoli dopo, torna sulla scena per ristabilire il suo vero ruolo.
Il British Museum di Londra ha infatti da poco inaugurato la mostra “Nerone: l’uomo dietro il mito”, con oltre duecento reperti conservati nello stesso museo e provenienti da varie istituzioni europee, divisi in dieci sezioni. Affreschi da Pompei, statue della famiglia e dei componenti della dinastia, gioielli, monete, rilievi, le fiamme virtuali e i suoni dell’incendio: dall’ascesa al trono fino alla morte (54-68 d.C.) raccontano Nerone all’interno di una visione politica, culturale e sociale, che restituisce verità diverse dalla vulgata storica e dai luoghi comuni.


A rileggere la figura dell’ultimo imperatore giulio-claudio si era già impegnata Roma, giusto dieci anni fa, nella rassegna allestita tra Colosseo, Palatino e Foro romano. Nei luoghi dove Nerone aveva vissuto, si riconoscevano la sua complessa figura, distorta dagli storici posteriori, e le sue valenze nell’urbanistica, nell’innovazione dei linguaggi formali, nell’introduzione di strutture architettoniche private e civili, rimaste riferimento per costruzioni fino al Rinascimento.
Nerone, contrastato dall’oligarchia senatoria, amato dal popolo, non fece guerre per nuove conquiste. Inviò, con successo, i suoi esperti generali a sedare sommosse e ristabilire supremazie, e proprio in Inghilterra – nel 60 d.C. - le legioni al comando di Svetonio Paolino sconfissero l’indomita Boudicca, regina degli Iceni, che lo storico greco Cassio Dione definiva «terribile d’aspetto».


A quel periodo risale un tesoretto ritrovato a Colchester (Camulodunum), presente nella mostra di Londra: monete, bracciali, anelli e orecchini d’oro, medaglie militari d’argento che i proprietari romani avevano nascosto, in un sacco, sotto il pavimento della loro casa. Come tanti altri, si erano stabiliti in Britannia dopo le conquiste dell’imperatore Claudio e Camulodonum era diventata una colonia; ma non sopravvissero agli aspri combattimenti, e la stessa Boudicca si tolse la vita per il disonore.
Gli inglesi l’hanno celebrata, insieme alle due figlie, con una statua equestre a Londra, nell’estremità occidentale del ponte di Westminster, così come i francesi hanno fatto con Vercingetorige, erigendogli sculture in varie località: entrambi considerati eroi e alfieri della libertà nazionale. Ma nelle sale del British non troneggia l’antica regina, bensì un imperatore amante della bellezza, del grandioso, della spettacolarità.


Si può seguire la sua vita iniziando da una statua che lo ritrae ragazzino: viso già paffutello, i capelli pettinati secondo la moda, la «bulla» - amuleto dei giovanissimi romani - che gli pende dal collo, un rotolo scritto in una mano (dal Louvre). La madre Agrippina Minore, artefice della sua salita al trono dopo l’adozione da parte dell’imperatore Claudio, appare nella mostra in una statua a figura intera (arriva dalla Centrale Montemartini di Roma) che fa trasparire la sua avvenenza e la forte personalità. Accusata di ansia di potere, è stata vittima del figlio che aveva contribuito a far salire sul trono; ma, all’epoca, chi osteggiava il monarca o minacciava di destituirlo non trovava clemenza (il cristiano Costantino non sarà da meno).


L’accusa di incendiario, tra le altre che vengono attribuite a questo imperatore, è rimessa in discussione, anzi rigettata a Londra. Nerone - ne conviene la maggior parte degli storici moderni - è colui che «approfittò» delle fiamme per realizzare la sua reggia, ma pure il primo piano urbanistico della capitale con materiali ignifughi, strade più larghe, altezza ridotta degli edifici, portici di protezione agli isolati, maggiori punti di approvvigionamento idrico.
Lo stesso Tacito, nettamente ostile alla figura di Nerone, non è sicuro che il grande incendio sia scoppiato dolosamente nel giugno del 64 d.C.; le fiamme si sviluppavano facilmente e continuamente a Roma per l’ossatura lignea di tanti quartieri e il fuoco che alimentava illuminazione, riscaldamento e cottura dei cibi. L’imperatore, che già aveva pensato a ingrandire il palazzo sul Palatino, lo fece incrementare? Sicuramente non era nella capitale quando si propagarono le fiamme e, arrivato di corsa, aprì i suoi giardini per accogliere i sinistrati. Comunque, sempre al dire di Tacito, i suoi provvedimenti «graditi per la loro utilità, portarono anche ornamento e decoro alla nuova città».
La Domus Aurea fu realizzata su quelle macerie, inglobando proprietà imperiali e case preesistenti, su un’area di decine di ettari (circa 80), che comprendeva Esquilino e Oppio, parte del Celio, Palatino e la valle centrale, dove si scavò un lago artificiale (prosciugato da Vespasiano, vi erigerà il Colosseo).

Si può avere un’idea del fasto ornamentale e della concezione architettonica della Domus neroniana nel cosiddetto Padiglione del Colle Oppio (in origine su due piani): la parte cospicua, e meglio conservata, della dimora arrivata fino a noi. Di giardini, fontane, terme, portici e materiali preziosi, di cui parla il biografo Svetonio, si sono perse le tracce; ma quanto è rimasto intatto delle strutture murarie, fa intuire la grandiosità del progetto e la ricchezza degli apparati decorativi.
In concomitanza con la mostra dedicata alle grottesche e a Raffaello (vedi: “Metti Raffaello a casa di Nerone”), dal 23 giugno l’ala est del complesso, la sola percorribile nella sua interezza, si riaprirà alle visite. Con molte novità.
Eliminati i ponteggi che riempivano gli ambienti, rispristinati molti affreschi, chi entrerà nel palazzo di Nerone ora potrà apprezzarne meglio il progetto e l’esecuzione. Sappiamo che tutto questo edificio, prima che l’imperatore Traiano lo chiudesse per farne il basamento delle sue terme, era inondato di luce: i raggi del sole si riflettevano sulle dorature di stucchi e affreschi, facendo risaltare i colori accesi. Per rievocare la luminosità originaria, si è appena installato un sistema di accensione a tempo, che seguirà lo spostamento dei visitatori.


«Il sole sembra entrare finalmente nella Domus Aurea», dichiara Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico del Colosseo. «La nuova illuminazione simula la luce naturale in alcuni ambienti, come il grande Criptoportico, evidenziando murature dipinte e prospettive. Qui, la sistemazione dei punti-luce ci ha fatto scoprire anche un escamotage degli antichi architetti: le alte finestre a bocca di lupo erano di fronte ad altre poste più in basso, in modo da far filtrare il chiarore solare in vani retrostanti bui».
Il primo vano che si incontra entrando dal consueto ingresso, è denominato di Polifemo. Al centro della volta a cupola, rivestita di pomici e conchiglie per simulare una grotta, compare infatti un mosaico dove Ulisse offre al ciclope una coppa di vino. Era destinato ai ricevimenti e l’acqua scendeva dall’apertura ancora visibile nella parete per raccogliersi in una vasca (evocata dal colore azzurro). Il muro dalla parte opposta non esisteva ai tempi di Nerone: come illustra un pannello, davanti agli ospiti si apriva un porticato a colonne e un giardino.

STORIE_DOMUS_AUREA_PANETTA_26_AGF_EDITORIAL_GFD2200142

Proseguendo, anche se mancano i rivestimenti marmorei, si resta colpiti dalla maestosità dell’impianto: coperture a volta alte fino a tredici metri, sale su sale, e le pitture che si stendono su soffitti, corridoi, e pareti. Tra quelli ripristinati si trova un quadretto con l’insolito soggetto di pane e carne (sembra prosciutto); ma sono le “grottesche” che hanno sbrigliato la fantasia dei decoratori, ad attirare sempre l’attenzione.
«L’attività dei restauratori ha evidenziato la raffinatezza di questi affreschi», fa notare Francesca Guarneri, l’archeologa responsabile del monumento. «Grande è infatti la cura dei dettagli, non solo negli ambienti principali, ma anche nei corridoi e nei locali di passaggio, come dimostra la resa dei fiori in un vano vicino la Sala della Volta Dorata». Nel nuovo allestimento del percorso compaiono delle statue: si trovavano nei magazzini, ma provengono da questi ambienti. Nerone amava l’arte, la danza, la musica, il teatro, predilezioni che facevano inorridire l’establishment tradizionalista e nella sua reggia non poteva mancare il ciclo statuario delle Muse. Potremo così vederne alcune: Tersicore quasi integra, e un busto mutilo di Talia: accanto ad altri capolavori, rendevano le sale in successione una galleria di opere d’arte. Nei depositi è apparso pure un altro busto, che sarà esposto, riconoscibile come amazzone (un seno è nudo, l’altro è coperto). Era un soggetto caro a Nerone. Racconta Plinio il Vecchio che si portava sempre dietro il bronzetto di un’amazzone «dalle belle gambe».