Ballano, cantano, bevono, «e tutte, chi qua chi là, si fanno il letto in terra e vi si adagiano coi maschi: le donne han lasciato le case per i baccanali e vagando all’ombra dei boschi onorano con danze un dio nuovo, Dioniso», scrive Euripide, tra il 407 e il 406 avanti Cristo, e per sempre. Morirà qualche mese dopo il più grande dei tragediografi classici, senza avere il tempo di vedere la sua opera recitata al teatro di Dioniso, sull’Acropoli di Atene.
Sarà l’immaginifica e trasgressiva Fura dels Baus, la compagnia catalana che ha sottratto il pubblico dal ruolo di composto spettatore, come “quarta parete del teatro”, per farlo invece irrompere sulla scena, a riportarla in palcoscenico, e sul più suggestivo di tutti: il Teatro greco di Siracusa. Che riparte, da dove si era fermato nel 2020 a causa della pandemia, con la 56° stagione di rappresentazioni classiche.
Un re-start simbolicamente reso ancora più suggestivo da un anniversario: un secolo esatto da quel 1921 quando, con “Le Coefore” di Eschilo, ripartivano gli spettacoli interrotti per sette anni per colpa della terribile epidemia di Spagnola. E una mostra multimediale allestita dalla Fondazione Istituto nazionale del dramma antico rispolvererà dagli archivi foto in bianco e nero di quella ripartenza (“Orestea atto secondo”, dal primo luglio al 30 settembre 2022, per poi viaggiare in altre città - al Palazzo Greco nell’isola di Ortigia, a cura di Marina Valensise con la supervisione di Davide Livermore) per immergere gli appassionati di oggi nell’atmosfera del teatro di cento anni fa.
Con un anno di ritardo, dopo la riprogrammazione del 2020 intitolata “Per voci sole” che aveva comunque proposto due piccoli gioielli, l’omaggio ad Apollo del maestro Nicola Piovani su libretto di Vincenzo Cerami, e la prima di Mircea Cantor “The Sound of my Body is the Memory of my Presence”, ciò che era in programma arriva finalmente in scena, a partire da “Le Baccanti”, con la regia energica e vibrante di Carlus Padrissa, incaricato di rappresentare quel sabba femminile così divino, così terreno.
«Altro che Dioniso! Uno straniero, giunto dalla terra di Lidia, un uomo esperto d’arti magiche e incantatore, coi lampi scuri del vino e le grazie languide d’Afrodite si è impossessato delle donne»: eccolo il sospetto di Penteo, su cui poggia l’intera opera: dimostrare che quel Dioniso è tutto fuorché un dio, ma un demone che adesca le ragazze.
Il fondatore della Fura sospenderà il suo coro nel vuoto, grazie a originali coreografie aeree. Dioniso, colui che intende indicare agli uomini un’altra strada di conoscenza, e rivendicare la sua natura di dio e non di mortale, sarà interpretato dall’attrice Lucia Lavia. Il carro del dio sarà sormontato da un gigantesco androide. Le tebane - le Baccanti - fuggite sul monte Citerone ed evidentemente preda della follia, che prima fanno sgorgare vino, latte e miele dalle rocce, salvo avventarsi poi, in preda al furore, su una mandria di mucche squartandole vive, saranno donne di oggi: libere, ostinate, ribelli alle leggi degli uomini, rivoluzionarie. Non a caso, in shorts e in sneaker, evocheranno attiviste e parleranno da femministe, con la musica in un ruolo centrale: ritmi da trance, suoni e lamenti, lacrime e imprecazioni, espressioni di piacere.
Tra esequie funebri e inni di lode, ogni gesto servirà a evocare la comunicazione tra vivi e morti: «Il mondo dei morti o della memoria, che ci costringe a rivedere continuamente la nostra condizione di umani. Leve, gru, funi e carrucole andranno a comporre un Deus ex machina estetico, mettendo in risalto soprattutto i corpi», spiega il regista Padrissa, tra i fondatori della compagnia Fura dels Baus. Corpi che, insieme agli elementi naturali del sacro Colle Temenite, torneranno a raffigurare una nuova sintesi di antico e modernissimo. Che è la magia del teatro in sé, e degli spettacoli classici in particolare: immergere nel presente storie antichissime. Coniugare invenzioni tecnologiche con parole e azioni ancestrali.
Per assistere agli spettacoli quest’anno ci sarà più tempo a disposizione: se “Le Baccanti” faranno il loro esordio il 4 luglio (fino al 20 agosto), in programma ci sono altre due attesissimi spettacoli: dal 3 al 31 luglio “Coefore Eumenidi” di Eschilo, con la regia di Davide Livermore (che nel 2019 aveva messo in scena “Elena” e che l’anno prossimo completerà la sua Orestea con “Agamennone”), coprodotto con il Teatro nazionale di Genova che dirige e con Laura Marinoni nel ruolo di Clitennestra. Il sacrificio di una figlia, Ifigenia, compiuto da Agamennone per propiziarsi gli dei, placare l’ostilità di Artemide e partire per Troia con venti favorevoli è collegato alla mancata restituzione, e alla morte, della figlia di Vittorio Emanuele III, Mafalda di Savoia, dal lager di Buchenwald.
«La tragedia non è prosa. La tragedia è tragedia», insiste Livermore, nel presentare il suo lavoro: «Creeremo un mondo algido, freddo, ricoperto di gelo e di neve. Sarà bellissimo far nevicare a Siracusa nel mese di luglio. Una neve dolorosa, che congela il corpo della tragedia, lo sospende per dieci anni, durante i quali un bambino, Oreste, diventerà un assassino matricida».
Dal 2 al 21 agosto sarà la volta della commedia, una delle più rappresentate di tutti i tempi a partire dalle Grandi Dionisie del 423 avanti Cristo: “Le Nuvole” di Aristofane, diretta da Antonio Calenda e con Galatea Ranzi, di casa a Siracusa: surreali nuvole in volants simboleggeranno l’ambiguità e la leggerezza della nuova polis, dove solo le armi della parola servono per imporsi sugli altri. Ma tra il Discorso Migliore (le virtù della tradizione) e il Discorso Peggiore (le nuove filosofie), il risultato è una parodia di dissertazioni e sofismi.
«Una stagione che si annuncia di grande forza, grazie all’originalità delle messe in scena, ai temi e alle trame, grazie all’eternità sempre attuale dei classici greci», scrive Antonio Calbi, sovrintendente dell’Inda: «Ieri come oggi bussole per i nostri tempi sbandati. Il ritorno al Teatro greco in questa estate sarà una festa perché i mesi vissuti senza teatro e senza cultura dal vivo ci hanno abbrutiti, resi inquieti, disorientati; l’astinenza ha creato disagio. Il gap ci ha fatto meglio comprendere che di cultura si vive, che di arte c’è bisogno come l’aria, e che in particolare il “teatro è come l’acqua per i pesci”, per dirla con Paolo Grassi». Il lavoro siracusano pesa in modo significativo sull’economia oltre che sulla cultura: nella stagione pre-pandemia, il 2019, con 163 mila spettatori, l’indotto per la città è stato stimato in 37 milioni di euro. E il 2022 è già in vista. La Fondazione ha annunciato anche le produzioni del prossimo biennio: oltre al ritorno di Livermore, vedremo “Ifigenia in Tauride” con la regia di Jacopo Gassmann e un attesissimo “Edipo re” diretto dal canadese Robert Carsen. Per una resurrezione in piena regola, come evoca il sudario giallo del manifesto firmato dall’artista austriaco Hermann Nitsch.