Colori vividi, tratti netti, occhi vivaci: sono tre simboli di grinta e decisione le donne ritratte nel murales di Amanda Phingbodhipakkiya. L'affresco si intitola “Stand with us”, è stato inaugurato sabato 5 giugno, in occasione della giornata mondiale dell'ambiente, a Jersey City, negli Stati Uniti. Porta la firma di una famosa artista americana (“quella con il cognome lungo”, come si definisce lei stessa nel suo sito alongslatname.com) e il marchio di una no profit italiana che dal 2018 finanzia opere che legano all'arte l'impegno sociale e ambientale, la Yourban2030 di Veronica De Angelis e Maura Crudeli. Un ente che ha realizzato finora murales a Roma, Milano e Amsterdam su temi ispirati all'agenda 2030 delle Nazioni Unite, il “programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità” in diciassette punti sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
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“Stand with us” (“stai dalla nostra parte”) nasce per attirare l'attenzione sui crimini d'odio contro gli asiatici. Negli Usa le denunce di razzismo contro le comunità AAPI (Asian Americans and Pacific Islanders) sono aumentate in maniera esponenziale nell'ultimo anno, complice l'epidemia di influenza che il presidente Trump ha continuato a chiamare “virus cinese”. In Marzo le denunce di crimini di questo genere sono raddoppiate, ha calcolato la Nbc: un risultato dovuto anche all'apertura di nuovi canali di denuncia, come il sito stopaapihate.org, dedicato in particolare a chi ha poca confidenza con le forze dell'ordine: le donne islamiche tendono per esempio a denunciare con particolare difficoltà molestie e abusi sessuali.
L'odio colpisce ancora più duramente se le vittime sono donne, e peggio ancora se sono musulmane: per questo una delle tre donne del murales porta l'hijab. Come ha denunciato il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres il 15 marzo scorso, nella giornata contro l'islamofobia, un rapporto dello Uman Rights Council ha sottolineato che le donne musulmane subiscono «tre livelli di discriminazione»: a causa del loro genere, dell'etnia e della fede.
«L'arte ha la capacità di lenire il dolore, dare gioia e spingere le persone all’azione», ha detto Phingbodhipakkiya: nata ad Atlanta, ha radici in parte thailandesi e in parte indonesiane, quindi del più popoloso paese islamico del mondo. «”Stand With Us” è una lettera d'amore dedicata alla comunità degli asiatici americani e delle isole del Pacifico: non siete soli. Spero che il mio lavoro serva a trasformare il recente dolore della violenza anti-AAPI in un'opportunità di bellezza e unità».
Artista e neuroscienziata, con un passato di studio dell'alzheimer al Columbia Medical Center, Phingbodhipakkiya realizza opere di vario genere, dai murales alla videoarte. Spiega che «il mio sforzo è di rendere visibile l'invisibile. Negli ultimi anni ho cercato di esprimere attraverso la mia arte universi visti al microscopio, memorie familiari e condizioni neurologiche. Molte delle mie opere sono interattive, invitano gli spettatori a entrare in rapporto diretto con le idee che ho presentato».
Veronica De Angelis è convinta che unire arte, sociale e lotta all'inquinamento sia una strategia vincente: «Sono temi spesso intrinsecamente legati. Nel nostro ultimo murales, #amoretcura di Castel Romano, si vede che salute e ambientalismo sono molto vicini: come è noto dove c’è un maggiore inquinamento sale anche il rischio di malattie come il tumore. Anche la questione razziale è legata all’inquinamento: soprattutto in America, e lo spiega bene tutto il movimento Black Lives Matter, le comunità e i quartieri più colpiti dal Covid sono stati quelli in cui peggiori condizioni dell'aria si univano a maggiore densità abitativa, come Bronx e Queens a New York. In New Jersey stiamo realizzando un murales che unisce arte, riqualificazione ed ecologia in un angolo molto trafficato. Questo porterà anche molti visitatori, cosa che avrà un impatto positivo sull’economia locale del quartiere: è il cosiddetto “art-dividend”».
A chi accusa la street art di occuparsi di razzismo solo per attirare più attenzione, la mecenate italiana risponde così: «Se il razzismo è una moda allora è una moda che non è mai passata, un problema che esiste da sempre nei confronti di persone afroamericane, asiatiche, ebree, musulmane, gay, donne, trans... La pandemia dovrebbe averci fatto capire che anche cose che ci sembrano lontane non lo sono affatto: se un popolo, un paese o una nazione ha un problema, il problema è di tutti perché di fronte al dolore e alla malattia, così come all’amore, siamo tutti uguali. Dobbiamo lottare in ogni modo perché un giorno non esista neanche più la parola razzismo».