La Pilotta affida la comunicazione a video di studenti di origine straniera. Che trovano nuovi significati in dipinti e sculture antichi, troppo noti o trascurati. E fanno riscoprire le radici cosmopolite dell’arte del nostro Paese

«Questo quadro non doveva arrivare fino a noi, è un miracolo». Hajer Abidate non ci dice niente di sé: sappiamo solo il suo nome e che è una dei quindici partecipanti al progetto “La Pilotta e il mondo”, che ha affidato a “giovani ambasciatori dell’arte” - italiani ma quasi tutti di origine straniera - il compito di trovare nuovi significati in alcune delle opere conservate nel bellissimo museo di Parma, e di raccontarli in video visibili su tutti i social. Quando però Hajer prosegue nella sua presentazione dell’Incoronazione della Vergine di Correggio, allo spettatore sembra che la ragazza parli di esperienze che conosce di persona o almeno molto da vicino: «Questo quadro ci insegna in particolare due cose. La prima è che se ti lasci guidare dalla perseveranza e dalla sete di conoscenza puoi arrivare all’eccellenza, anche se nasci, come Correggio, in una famiglia umile e numerosa. La seconda è che anche le opere d’arte subiscono le offese della storia. Anche loro come noi possono essere costrette a spostarsi, a trovare rifugio in luoghi lontani da quello di origine. Pochi anni dopo essere stata realizzata, questa lunetta è stata staccata dal muro perché non obbediva ai dettami della Controriforma. Furono probabilmente i Carracci a eseguire le copie che si trovano a Napoli, al museo di Capodimonte, mentre alcune testine d’angelo sono conservate alla National Gallery di Londra». Un dipinto che, come un essere umano, viene travolto dalla Storia, strappato dal posto in cui è nato, costretto a viaggiare con mezzi di fortuna e stabilirsi altrove: una lettura che difficilmente sarebbe venuta in mente a studenti che non hanno familiarità con l’esperienza, sempre drammatica, della migrazione.

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«Questi ragazzi con le loro descrizioni ci aiutano a costruire una visione cosmopolita della storia dell’arte, e a trovare nuovi stimoli in opere che conosciamo da sempre», spiega Simone Verde, direttore della Nuova Pilotta, il museo che è il cuore della città di Parma, capitale della cultura per il 2020 prolungata al 2021. E anche se a un primo impatto la curiosità si accende per i dettagli che rimandano all’autobiografia dei giovani ambasciatori, il significato dell’iniziativa è più profondo.

Proprio nella descrizione della lunetta di Correggio, per esempio, Verde, tornato a Parma dopo quattro anni al Louvre di Abu Dhabi, sottolinea una lettura legata al mondo islamico: «La ragazza, che è di origine marocchina, non parla mai di personaggi, anche se sono Maria e Gesù, cioè due figure importanti anche per l’Islam. Ha scelto un dipinto in cui Correggio fa un lavoro geniale sulla luce: che è un elemento fondamentale nella cultura islamica. Noor, luce, è il titolo di un’importante sura del Corano: la luce è divina perché rende visibili le cose e quindi le fa esistere, collabora alla creazione. Ma se fosse tutto qui, sarebbe solo un aneddoto carino. Invece questa descrizione è un’occasione per evidenziare come l’uso della luce nel Rinascimento è stato influenzato dall’arte islamica: si tratta di uno degli importanti influssi della cultura musulmana che poi la storiografia ha taciuto e nascosto».

I quindici video di questi ragazzi, studenti dell’Istituto tecnico economico Bodoni, offrono a chi ama l’arte un’occasione per togliersi i paraocchi con cui siamo stati abituati a guardare all’arte “italiana”. «La storia dell’arte nasce nell’Ottocento nel quadro del “nation building”, degli sforzi per costruire l’identità nazionale delle varie nazioni europee», spiega Verde. «Un esempio evidente delle distorsioni figlie di quest’ottica è il Rinascimento: che viene visto come un movimento nato in Italia e da qui partito alla conquista dell’Europa, mentre deve moltissimo al mondo arabo-islamico». Altri ragazzi, con altre radici culturali, hanno scelto opere che richiamano aspetti culturali lontani da noi ma proprio per questo affascinanti: «È il caso di una ragazza di origine filippina che ha scelto una scena di mare e ha parlato dell’importanza dell’acqua nelle religioni asiatiche, dove i cicli della reincarnazione sono legati all’acqua».

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E poi c’è Maggie che ha scelto la Maria Luigia d’Asburgo scolpita da Canova, Remmalyn conquistata dai «bagliori di luce che investono i soldati» della Resurrezione di Jan Soens, Gifty incantata dal «mondo vivo e concreto ma privo di conflitti e di miseria» della Madonna con Bambino e Santi del Sermoneta. Ci aiutano a guardare i quadri con occhi nuovi, a scoprire anche quelli meno noti grazie a spiegazioni che a chi è immerso solo nella cultura italiana non verrebbero in mente. Non ci sono in questi video le due perle del museo parmense: la “Scapiliata” di Leonardo da Vinci e la “Schiava turca” del Parmigianino: «Ecco, quello che non volevamo era proprio chiedere a una ragazza di origine turca di dirci cosa provava davanti a quel quadro, a quella ragazza col turbante: saremmo caduti nello sfruttamento esotico».

I video sono stati preceduti da visite a porte chiuse con gli studenti, le docenti Daniela Guerrieri ed Erika Martelli e due storiche dell’arte del museo, Carla Campanini e Maria Cristina Quagliotti. I ragazzi però sono stati poi liberi di scegliere l’opera che li ispirava di più, di prepararsi a raccontarla come gli sembrava meglio. Aggiungendo anche, quando possibile, qualche frase nella lingua della famiglia di origine: per invitare a visitare il museo anche persone che, pur abitando da anni a Parma e dintorni, forse alla Pilotta non ci avevano ancora messo piede.

I primi quindici video, girati da Giulia Serra, sono a disposizione sui canali social del museo (Facebook, Instagram e Twitter). Dopo l’estate il progetto riprenderà, e anzi si spera di allargarlo in qualche modo anche a paesi stranieri (dalla Francia alla Polonia, dalla Spagna alla Romania) grazie ai contatti della scuola con partner degli scambi Erasmus. L’impegno continua perché queste brevi video-guide giovanili sono parte di un disegno impegnativo, che Verde racconta con passione: «Il confronto con tradizioni diverse permette di definire se stessi, e questo è fondamentale nel ruolo di un museo pubblico e della scuola pubblica. Un museo non è un luogo in cui si racchiudono cose belle ma ha il compito di diventare un centro di formazione continua, uno snodo fondamentale per la costruzione di quei cittadini competenti che sono essenziali per il funzionamento di una democrazia. L’Italia sta andando in tutt’altra direzione, e i risultati purtroppo si vedono: abbiamo il maggior analfabetismo funzionale dell’Occidente. Restiamo aggrappati all’idea di un’Italia che è un centro culturale eterno e autosufficiente, e così ci chiudiamo fuori dalla realtà».

È un discorso che vale per tutti i cittadini, non solo per i giovani di origine straniera che ci ostiniamo a classificare dividendoli tra prima, seconda e terza generazione: «Ma è certo che se impariamo a riconoscere che in noi abbiamo già un po’ di Cina e di India e di Islam, saremo poi più aperti ad accogliere i nuovi cittadini del mondo», conclude il direttore.

E pensare che tutto questo è nato da Chiara Ferragni, dalla sua famosa e controversa visita agli Uffizi rilanciata via social dai suoi follower in tutto il mondo. I ragazzi del Bodoni hanno discusso a lungo di quella provocazione, dei metodi del marketing culturale, e anche del futuro dell’industria del turismo durante e dopo la pandemia. Molte istituzioni infatti hanno cercato strade innovative per tenere viva la cultura anche durante il lockdown: i ricercatori del MART di Rovereto che tenevano incontri con il pubblico collegandosi da casa, il Teatro Carignano di Torino che ha chiesto agli attori di presentare gli spettacoli sospesi a metà della preparazione, le biblioteche di Reggio Emilia dove veniva letto un libro al giorno, fino ai concerti in streaming del Teatro Farnese, quel monumento di legno ricostruito dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale che è oggi lo spettacolare ingresso del museo della Pilotta. Per attirare i giovani, si sono domandati gli studenti del Bodoni, non sarebbe stato meglio chiedere di presentare il museo non a una blogger ma a un ragazzo del posto, qualcuno che quelle sale e quelle opere le conosceva davvero? A qualcuno che magari ha già in sé quel carattere cosmopolita che hanno i follower della Ferragni?

Adesso i video sono a disposizione anche di chi a Parma non può andarci di persona. E stanno lì a dimostrare che l’incontro tra culture passa attraverso lo studio, i nuovi media, le nuove tecnologie, ma che non può evitare che a volte si creino frizioni. È evidente quando guardi una ragazza di origine nepalese presentare il “Capriccio romano” di Bernardo Bellotto, quella visione onirica che accosta all’Arco di Tito e a Castel Sant’angelo un ponte di Venezia e altri monumenti fuori contesto: «Ho scelto questo quadro perché mi ricorda che vorrei conoscere l’Italia», spiega la ragazza, che è arrivata dal Nepal poco più di tre anni fa. «Dovevo andare quest’anno a visitare Roma e a Venezia ma non ho potuto per la pandemia, spero di poterlo fare presto».

Quando descrive i dettagli di questa «fantàsia», con i monumenti dettagliatissimi contrapposti al Tevere «azzurro e pescoso», affollato di persone che «vivevano il fiume in modo naturale», sembra che l’incontro tra popoli diversi non possa conoscere ostacoli. Poi però scopri come si chiama la ragazza e lo scontro tra culture si materializza all’improvviso, perché il suo nome è Swastika: una parola che in Nepal rimanda ancora oggi a un simbolo plurimillenario di vita, speranza, rigenerazione. Noi europei invece abbiamo permesso a un regime sanguinario durato solo dodici anni di capovolgerne verso e senso. Ma siamo noi a sbagliare: sarebbe ora che noi occidentali reimparassimo a prendere la svastica per il verso giusto.