Nei talk show largo ai no vax vaccinati. Ma è obbligatorio riempire lo studio a tutti i costi?

Pippo Franco, Paolo Brosio, tamponi giganti e opinioni discutibili: tanto quel che conta è riuscire ad andare in onda per tre ore

C’è qualcosa di fastidiosamente vero nelle parole di Federico Confalonieri rilasciate al Foglio qualche giorno fa per giustificare l’ingente presenza del tema No vax nei dibattiti televisivi: «Vorrei vedere lei a condurre un talk-show per tre ore...». Una semplice frase che riassume la deriva bislacca a cui si sono lasciati andare i programmi tutti, in una sorta di par condicio a reti unificate. Dove i giornalisti capitani del talk si sentono in dovere di riempire quegli spazi a ogni costo, anziché mandare in onda le sane pecorelle in bianco e nero dell’antico intervallo, che producevano la stessa noia ma sicuramente qualche danno in meno. E solo partendo da questo assunto, per cui bisogna stipare gli ospiti in studio neanche fosse la zattera di Medusa, che si riesce, se non a giustificare, quanto meno a comprendere il vago senso di alcune performance.

 

Per esempio il motivo per cui all’eroe del Bagaglino, possibile assessore alla cultura del candidato sindaco Michetti (chi?) viene chiesto di esprimersi sui vaccini. E non invece, che so, sulle dettagliate sorti del balletto di Roma. «Il vaccino è ancora sperimentale e poi di morti ce ne sono. Non posso occuparmi di un farmaco di cui non conosco la composizione: non posso invitare qualcuno a farlo», dice il barzellettiere romano Franco Pippo detto Pippo Franco. Sacrosanto. E sarebbe bello poter replicare con eleganza: «Ma chi glielo ha chiesto». Invece è proprio quella la domanda principe che regge l’ospitata, altrimenti, severi ma giusti, bisognerebbe ammettere pubblicamente che portare avanti un conversazione sulle notte di “chicchicchì coccoccò curucurucurucurù quaqua” alla lunga si rischierebbe di annaspare.

Così come è evidente che Mario Giordano non può farcela ogni settimana soltanto riempendo la serata all’insegna del «Non si può pensare che il vaccino risolva il problema, è un messaggio pericoloso». E che quindi si trova praticamente costretto dal palinsesto a una sceneggiata con figuranti vestiti da armigeri che imbracciano un tampone gigante atto a sfondare il portone del Castello Vax. Allo stesso modo, per riempire ore e ore di chiacchiericcio, bisogna per forza far volantinaggio di perle della senatrice Donato sull’ivermectina, degli autorevoli aforismi di Paolo Brosio («Il vaccino non funziona!») o della accurata disamina del test al kiwi. Insomma, non è questione di rete, canale, giornalista. È proprio la deriva barbina del mezzo televisivo. Che potrebbe far proprio lo slogan della superba Giorgia Meloni di Sabina Guzzanti: «Il no vax vaccinato l’ho inventato io».

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