Teatro e attualità
Città in fiamme. Morti e prigioniere. La compagnia teatrale festeggia l’anniversario portando in scena una riscrittura de “Le Troiane”, dramma classico che evoca schiavitù contemporanee
di Francesca De Sanctis
Polvere e macerie, rovine in fumo e resti di cadaveri abbandonati. La città di Ilio è distrutta. «Tutto brucia», come dice Cassandra. Tutto è in fiamme. L’apocalisse di fronte al mare. E su quelle acque in tempesta le navi degli Achei sono pronte a imbarcarsi, portando con sé le donne rese schiave: Cassandra, Ecuba, Andromaca... Ogni cosa è già accaduta, distrutta, ci dice Euripide nella tragedia rappresentata per la prima volta ad Atene nel 415 a. C.: “Le Troiane”. Ogni cosa è già accaduta in Afghanistan, in Nigeria, nel Mar Mediterraneo, in ogni Paese colpito dalla pandemia, nelle foreste che bruciano, sui corpi lasciati senza nome.
Euripide parla di noi, certo. Il teatro parla di noi, di ciò che ci accade intorno, della vita e della morte. Partire dai classici per affondare nel contemporaneo è una scelta che i Motus hanno intrapreso più di una volta. La compagnia teatrale “nomade e indipendente”, come amano definirsi i fondatori Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, è nata a Rimini esattamente 30 anni fa. «Erano gli anni della Pantera e studiavamo entrambi all’Università di Urbino», racconta Daniela: «Io volevo diventare giornalista, Enrico studiava Economia. Non pensavamo proprio al teatro. Un giorno, durante l’occupazione, ci siamo incontrati ad un laboratorio con il Living Theatre e da allora non ci siamo più separati». Tra l’altro, la stessa Judith Malina, anni dopo, è stata protagonista con Silvia Calderoni di un loro spettacolo, “The plot is the revolution”, un dialogo indimenticabile e universale sul senso del teatro, della rivoluzione. Negli anni Novanta i Motus sono esplosi, con il loro stile inconfondibile che intreccia sperimentazione di nuovi linguaggi, visione politica, fisicità, in un clima ricco di fermento che attraversava tutta l’Emilia Romagna (nascono pochi anni prima il Teatro delle Albe e la Socìetas Raffaello Sanzio). E iniziano a girare l’Europa prima con il loro tir, ora con la loro auto, per interpretare autori come Beckett, DeLillo, Genet, Fassbinder, Rilker, Pasolini, e poi Shakespeare e Sofocle per parlare di sbarchi clandestini e di crisi greca. «Ogni progetto per noi è una rinascita», dicono: «Ci piace rischiare, se non hai coraggio non riuscirai mai a realizzare i tuoi progetti in modo radicale e senza compromessi».
Raccontare le contraddizioni del presente è sempre stata una priorità della compagnia, che non ha mai rinunciato ad uno sguardo attento sul presente. Stavolta ripartono dalla tragedia euripedea per intercettare le nuove schiave di oggi (come non pensare alle donne afgane?), per cercare di capire cosa rende un corpo degno di un lutto e quali sono le vite che contano, per analizzare il dolore, per provare ad immaginare un futuro anche dopo un’apocalisse umanitaria e ambientale. Il nuovo spettacolo, prodotto da Motus con il Teatro di Roma, ha debuttato al Teatro India di Roma all’interno di Short theatre, il festival internazionale dedicato alla creazione contemporanee e alle performing arts (fino al 13 settembre): “Tutto brucia”, titolo che riprende quella frase di Cassandra nella riscrittura de “Le Troiane” di Euripide firmata da Jean Paul Sartre negli anni Sessanta, sarà in scena dal 9 al 12, ma continuerà ad essere replicato anche dopo Short fino al 23. «Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto prima che scoppiasse la pandemia. Dopo la rilettura di Antigone volevamo tornare alle tragedie, fra le più scomode figure femminili», raccontano Casagrande e Nicolò: «Ma con il Covid il lavoro ha preso una piega diversa, è diventato una specie di concerto/performance dark in cui il tema del lutto è centrale: ci siamo chiesti chi ha diritto ad avere un degno funerale. La pandemia ha creato un livellamento di fronte alla morte: c’è chi muore perché vuole uscire dalla tratta, chi scompare in acqua, chi viene bruciato in strada (come in India). Secondo alcuni antropologi il presidente del Brasile Bolsonaro avrebbe usato il Covid per sterminare alcuni popoli dell’Amazzonia... Attraverso la tragedia volevamo carpire la disperazione per la perdita della libertà e per la partenza verso un’esistenza diasporica forzata, al di là di un mare, che già Sartre aveva identificato come il Mediterraneo, spostando il popolo greco conquistatore, in una ben precisa Europa. La pandemia segna la fine di un’epoca, “Le Troiane” inziano con una fine». Tutto è già accaduto, dunque, tranne la morte del piccolo Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca, ucciso dai greci per evitare che un giorno possa vendicarsi del padre. Quel bambino per il solo fatto di essere corpo è già vulnerabile. «Possiamo combattere per i diritti dei nostri corpi, ma gli stessi corpi per i quali combattiamo non sono quasi mai solo nostri. Il corpo ha una sua imprescindibile dimensione pubblica», scrive Judith Butler (“Vite precarie. Contro l’uso della violenza in risposta al lutto collettivo”), che entra nella tessitura drammaturgica dello spettacolo insieme a Ernesto De Martino, Edoardo Viveiros de Castro, NoViolet Bulawayo, Donna Haraway, sviluppata dai Motus con Ilenia Caleo. Quando possiamo rivendicare il nostro corpo, dunque? Una domanda che vale per le donne, per i migranti, per i trans, per le schiave del sesso. E nello spazio vuoto coperto di cenere si muovono Silvia Calderoni (Ecuba), Stefania Tansini (Cassandra) e Francesca Morello (che in una delle sue canzoni evoca Elena), stavolta senza l’uso dei video, ma solo di uno schermo stropicciato recuperato da un lavoro precedente, Alexis, e adagiato sul pavimento.
«Per la creazione di “Tutto Brucia” abbiamo organizzato un grande workshop all’Arboreto di Mondaino», continua a raccontare Daniela Nicolò: « Hanno aderito alla call più di mille artisti. Ne abbiamo selezionati 25 per via delle limitazioni pandemiche. Fra loro c’era anche Francesca Morello (R.Y.F., acronimo di Restless Yellow Flowers). Era lei la voce ruvida e potente che stavamo cercando. Dopo lunghi confronti e di riflesso all’alchimia nata fra Silvia Calderoni, con la quale quest’anno condividiamo ben 15 anni di lavoro comune, e la giovane danzatrice Stefania Tansini, per noi vera rivelazione, abbiamo deciso che queste tre donne sarebbero bastate per entrare nel cuore delle Troiane».
Il progetto verrà sviluppato in un dittico. E la seconda tappa del lavoro, che debutterà nel 2022, avrà un collegamento ancora più stretto con l’attualità, un approccio più documentaristico: «Raccoglieremo testimonianze di donne nigeriane uscite dal sistema della tratta, grazie alla collaborazione con alcune associazioni impegnate contro la violenza sulle donne», anticipano i Motus: «Sono donne molto spaventate, difficili da contattare perché terrorizzate anche da riti magici ricatattori. Mentre in questa prima tappa tutto resta più sospeso ed evocativo». Ed è naturale pensare alle donne afgane, oggi schiave, come lo erano le troiane allora. «A queste donne afgane è stato sottratto tutto: la libertà, l’identità, l’autonomia. Ora piomberanno nella Shari’a e questo è inaccettabile», aggiunge la regista. Come è inaccettabile la condizione delle troiane. Ma anche il disastro ambientale: «Il fiume risuona di lamenti» scrive Euripide. C’è un pianeta insanguinato. E tornano alla mente anche gli alberi delle Prealpi Carniche sradicati dalla tempesta del 2018 e utilizzati nella scenografia pensata da Stefano Boeri per “Le Troiane”, in scena a Siracusa con la regia di Muriel Mayette-Holtz nella stagione dell’Inda di un paio di anni fa.
Ma questa attenzione alla natura ha attraversato anche il Festival di Santarcangelo diretto dai Motus in quest’ultimo triennio: «Il tema del disastro climatico è stato affrontato soprattutto da artiste provenienti dall’America Latina, come Amanda Pina o Manuela Infante. Questa 50esima edizione di Santarcangelo ci ha permesso di dialogare con tante compagnie internazionali e con emergenti in grandi difficoltà. Ecco perché abbiamo creato da qualche anno una Factory, Motus Vague, per sostenere “progetti fuori formato”. Ci piacerebbe anche avere un nostro spazio, per la prima volta dopo 30 anni di spostamenti, in cui vita e teatro si sono sempre mescolati. Ci stiamo pensando, vedremo».
Intanto c’è “Tutto brucia”, che sembra chiederci: è questa la vittoria? È questo che significa conquistare? Il destino dei vinti, ci dicono i Motus attraverso Euripide, è ancora da immaginare. E per questa causa lottare si può.