Idee
Annientare, l’ultima profezia di Michel Houellebecq tra sogni mancati e la fatica di vivere
Il declino della società e la debolezza della politica. La storia, ambientata nella Francia del 2027, di un consigliere del ministro dell’Economia, alle prese con un misterioso attacco informatico e con enigmatici attentati terroristici. Il nuovo romanzo prosegue il racconto dell’Occidente in bilico
Le due volte che ho visto da vicino Michel Houellebecq non sapevo bene che cosa dire, che cosa dirgli. La seconda mi sono limitato a osservarlo a poca distanza – stretto in una giacca a vento scura, in una giornata tiepida, sorseggiava un caffè lungo stringendo la tazza fra le mani.
La prima l’ho ascoltato che diceva lui qualcosa, a voce bassa, ad altri commensali, ogni tanto sorridendo, in modo timido, e comunque gentile. Mi è sembrato distratto ma non nel senso di sbadato, nel senso di chi ha spesso la testa altrove e si annoia facilmente. Quella sera era salito sul palco della Milanesiana, chiamato da Elisabetta Sgarbi per parlare di Baudelaire. Lui si è messo a leggere alcuni versi, anzi in gran parte li diceva a memoria, ed era commovente. Una specie di scolaro adulto, devotissimo, che ogni tanto perdeva le parole e le riacciuffava al volo, con un senso della letteratura che emanava come un’aura senza solennità, un’aura domestica, e a suo modo lucente, come non la emana quasi più nessuno. Gli ho chiesto una firma su un libro: non da fan, perché è un po’ stupido essere fan di chicchessia, ma da uno che – come Paul, il protagonista del nuovo romanzo, “Annientare”, appena arrivato nelle librerie francesi e in quelle italiane (da noi per La Nave di Teseo, nella traduzione di Milena Zemira Ciccimarra) – teme l’impermanenza. E invece volevo un segno, una traccia – una sera di agosto dell’anno appena finito, il gomito di Houellebecq a qualche centimetro dal mio. Narciso in modo opposto a Carrère, Houellebecq non nega di amare il plauso, tutt’altro («Fondamentalmente sono una puttana», ha detto di recente a “Le Monde”), ma anziché camminare da sfrontato esibizionista, sembra come inghiottito da sé stesso, dimentico, tutt’altro che compiaciuto. Però ha anche l’aria di chi, messo di fronte a un complimento enfatico o a una critica accalorata, potrebbe liquidare entrambi con lo stesso ghigno. Il ghigno di uno che la sa più lunga, e guarda tutto da lontano. Per questo, mi sono divertito a immaginare Houellebecq in carne e ossa – e con quel ghigno! – davanti al plotone dei fan esagitati e adoranti e davanti al plotone, se non dei detrattori, di quelli che (è successo anche sulle pagine dei giornali italiani) fanno distinguo, muovono obiezioni alla tenuta della sua prosa, alla coerenza della trama, eccetera.
E non perché non sia lecito criticare, ma perché il modo in cui lo facciamo – che sia il film di Sorrentino, “Don’t look up” o appunto l’ultimo Houellebecq – dimostra solo che non sappiamo più leggere le cose per quello che sono, ma solo dire cosa vorremmo che fossero o peggio, cosa dovrebbero essere. Manca questo, manca quest’altro, doveva fare così, qui però… Ma vaffanculo, esclamerebbe giustamente un personaggio di Houellebecq.
La risposta a chi – anche su “Annientare” – ha avuto da dire che c’è qualche meccanicità, che i personaggi non sono sgrossati, che certe pagine sono sciatte, era già pronta in “Estensione del dominio della lotta” (1994): «Per raggiungere lo scopo decisamente filosofico che mi propongo, occorre sfrondare. Semplificare. Smantellare a uno a uno un’infinità di dettagli». Detto con più nettezza: «Il mio scopo non è incantarti con sottili notazioni psicologiche… Questo genere di cose le lascio agli scrittori che usano il proprio talento per descrivere i vari stati d’animo, i tratti del carattere ecc. Io con loro non c’entro niente. Tutta questa mole di dettagli realistici, destinata a delineare personaggi ben differenziati, mi è sempre sembrata, se mi è consentito dirlo, una grande stronzata».
Ecco. Tanto per non andare a cercare nel suo romanzo ciò che all’autore interessa poco. E sì, certo, si può dire che “Annientare” è la storia, ambientata nella Francia del 2027, di un consigliere politico del ministro dell’Economia, alle prese con un misterioso attacco informatico e con enigmatici attentati terroristici, ma dietro l’apparenza del thriller politico c’è l’ulteriore tassello di un impressionante saggio narrativo sull’Occidente a cavallo fra i due secoli. Romanzo-saggio, sì: il romanzo resta romanzo, resta finzione narrativa, ma assorbe uno strato concettuale e argomentativo, un nucleo di idee; lo mimetizza, lo cala nei dialoghi fra personaggi. Valeva per “Le particelle elementari”, così come per “Sottomissione”, che uscì il giorno dell’attentato contro “Charlie Hebdo” e non solo metteva in gioco i rapporti fra Islam e Francia contemporanea, ma offriva al lettore uno strepitoso saggio implicito – non a caso – su Huysmans, narratore della decadenza. Vale per “Serotonina” – vampe di fuoco, immense nuvole di fumo, blindati in strada e blocchi di protesta, i gilet gialli prima dei gilet gialli. Ma soprattutto, il racconto lucidissimo di una società che muore per stanchezza e per disgusto di sé. Questa. La nostra.
Ma anche qui, l’errore di molti suoi fan come di molti suoi detrattori è supporre che Houellebecq costruisca una sua estetica dello sgradevole per raccontare compiaciuto il tramonto di una civiltà. No. Ha raccontato maschi bianchi occidentali alla deriva, ossessionati dal sesso? Sì e no. E comunque, nessun sorrisetto sornione come nei narratori italiani cinquanta-sessantenni. Ha sposato una prospettiva nichilista? No. Se sussistesse qualche dubbio in proposito, le quasi 750 pagine di “Annientare”, nonostante il titolo, dimostrano che Houellebecq non è il narratore del Male, della Trasgressione e della Distruzione, come la vulgata vuole, ma uno degli scrittori contemporanei che più intensamente si sono interrogati su cosa voglia dire sopravvivere alla/nella vita adulta. Sopravvivere, mi verrebbe da dire così, spiritualmente. Penso a una pagina di Hofmannsthal, quella in cui dice che ogni uomo che muore porta con sé un segreto: come gli sia stato possibile – spiritualmente – vivere.
Quando la giovinezza è alle spalle, quando l’equilibrio fra razionalità e idea della felicità, come spiega in “Annientare”, comincia a pencolare, quando il semplice fatto di invecchiare diventa il primo dei pensieri, quando il tuo destino individuale non sembra tanto diverso da quelli tediosi degli altri bloccati come te nel traffico del tardo pomeriggio, quando il sesso e l’alcol non hanno più lo stesso potere stordente (anzi, per paradosso, bere ha l’effetto di accrescere la lucidità e l’angoscia), quando la vita è questo, come sopravvivi? Detto più brutalmente, com’è che non ti ammazzi, come decide di fare il personaggio di Aurélien in questo romanzo?
La grandezza di Houellebecq sta nella violenta commozione che riesce a suscitare senza mai cercarla, e facendo il contrario dei narratori e dei filosofi «concilianti», dunque «balordi», come qui li definisce. Ti disegna intorno un paesaggio che grossomodo è il tuo presente, lo stilizza, magari lo sposta appena un po’ avanti nel tempo, ma in ogni caso puoi riconoscere al di là dei camuffamenti tutto quello che è attuale: Macron, la “sinistra morale” diventata inascoltabile, gli intellettuali smidollati, la presa del populismo di destra; lui stilizza e aggiunge la variabile impazzita – in questo caso, un disegno terroristico imperscrutabile, ambiguo, che destabilizza la scena in modo inusitato.
Lui stilizza ma non perde concretezza, toccando in modo che ha del miracoloso tutti i nodi del presente; in “Annientare”, riesce a mostrare con nitore sconcertante i tre punti di massima vulnerabilità dell’Occidente: il suo stesso potere/sapere tecnologico; l’infertilità in parallelo al prolungamento estenuato della vecchiaia («se questo era il progresso, non ne valeva la pena»); la pressione migratoria. E lo fa con domande semplici e potentissime («un uomo politico poteva davvero influire sul corso delle cose?»; strepitose in proposito le pagine 608-611) e altrettante memorabili soluzioni narrative: gli azzardi dei terroristi digitali, una banca del seme in Danimarca distrutta, un siluro contro un barcone di migranti. Caspita, Houellebecq! Sarà impossibile non leggerti per chiunque voglia sapere qualcosa dell’Europa tra Novecento e Duemila, così come non leggere Balzac – qui non a caso più volte evocato – per chi voglia capire qualcosa dell’Europa del diciannovesimo secolo.
Ma non sarebbe un grande scrittore se tutto questo – il disegno, l’abbagliante intuizione generale dello Spirito del tempo – non trovasse poi il suo controcanto nelle minuzie delle vite dei singoli umani che sceglie di raccontare. E i lunedì di novembre in cui – «soprattutto se sei scapolo» – hai la sensazione di essere nel braccio della morte. E tuo padre chiuso in una RSA.
E l’infelicità coniugale che imprevedibilmente diventa immensa felicità, quando il sesso torna a essere, dopo una lunga astinenza, un rituale di ricongiungimento mattutino. Le domande che Houellebecq continua a fare ai suoi personaggi, a sé stesso e a noi sono semplici e laceranti: come fate a vivere? Come facciamo a vivere? A cosa ci aggrappiamo, in cosa crediamo di preciso? Nella religione wicca, come Prudence, la donna fondamentale del libro, nel potere, nella nostra stessa ambizione? Che sogni facciamo di notte? È un romanzo pieno di sogni, “Annientare”. E fa piangere, come piange Paul, a lungo – senza sofferenza, semmai «una sorta di pietà un po’ astratta per sé stesso, e anche, cosa più inquietante, una sensazione di svuotamento. Forse era così che ci si sentiva, pensò, quando si era colpiti da una massiccia emorragia»