Continua a fare proseliti chi vuole cancellare l'Olocausto. La filosofa indaga questa ideologia nefasta, che con il passare degli anni amplia il proprio raggio d’azione. Mentre esce la nuova edizione del suo saggio “Se Auschwitz è nulla”. «Non è mai successo prima che si negassero sistematicamente gli eventi storici, addirittura mentre accadono»

Nel tempo del complottismo non c’è da stupirsi se il negazionismo gode di ottima salute. Il rifiuto di fatti storici documentati, infatti, che si tratti delle camere a gas o del Covid-19, resta alla base dell’ideologia della rimozione, che utilizza argomentazioni iperboliche a sostegno delle proprie tesi, propalate senza filtri attraverso la Rete. E così con il passare degli anni il negazionismo allarga il proprio spettro di azione, come osserva Donatella Di Cesare, docente di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, una delle voci filosofiche più presenti nel dibattito pubblico, impegnata da lungo tempo su questi temi. Nel suo saggio “Se Auschwitz è nulla” (Bollati Boringhieri, pp.160, € 12), edizione ampliata del libro pubblicato dieci anni fa, esplora le nuove frontiere di questa ideologia nefasta.

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Oggi il negazionismo si amplia, arriva a negare la pandemia.

«Non è mai successo prima che si negassero sistematicamente gli eventi storici, addirittura mentre accadono. Tuttavia questo fenomeno si replica; nasce dal contesto dello sterminio e, quasi con le stesse modalità, si fa largo nello spazio pubblico dove si arriva a negare la pandemia, a mettere in discussione l’efficacia dei vaccini, a impiegare quel dubbio iperbolico che diventa un dogma. Dovremmo riflettere su questo dilagare dei “negazionismi” al plurale, prenderli sul serio ed esaminarli attentamente. Siamo solo all’inizio».

Qual è il fulcro del nuovo negazionismo?

«Il negazionismo ha nuovi volti. Nell’immediato dopoguerra mira a riabilitare il passato sollevando il nazismo da ogni colpa, scagionando il fascismo da ogni complicità nel genocidio degli ebrei d’Europa. Il che è possibile solo cancellando il crimine più obbrobrioso: l’industrializzazione della morte nei campi di sterminio. Ecco perché le camere a gas sono per decenni al cuore della negazione. Più tardi si aggiunge il tema del numero. «Ne sono morti davvero sei milioni?». Con questa domanda, beffarda e offensiva, il negazionista costringe alla contabilità dell’orrore. Ma non possedere la cifra esatta di coloro che furono assassinati non muta l’entità del crimine.Tra il 2000 e il 2020 entra in una nuova fase. Il perno della nuova negazione diventa il cosiddetto “culto olocaustico”. Gli ebrei, quei “guardiani della memoria”, avrebbero approfittato di Auschwitz ergendolo a “sacrificio fondante”, fulcro e alibi della “nuova religione olocaustica”. Ben al di là della fondazione dello Stato di Israele, il “culto olocaustico” sarebbe il fondamento ideologico per riprendere saldamente le fila del potere, le redini del Nuovo Ordine Mondiale».

 

Da quale urgenza nasce la nuova edizione del libro?

«Lo sfondo è un processo penale che ho dovuto affrontare in questi ultimi anni e che si è concluso qualche mese fa con la mia piena assoluzione. Sono stata portata in tribunale da un parente di Costanzo Preve del quale, in un articolo su Diego Fusaro, indicavo le responsabilità verso il negazionismo. Una brutta storia che ricorda quella di Deborah Lipstadt. Per me si aggiungeva ad anni di minacce per cui sono stata messa sotto scorta. Come spesso avviene, nel buio c’è la luce. Così ho avuto l’occasione per analizzare i nuovi temi del negazionismo, primo fra tutti quello del “culto olocaustico” che è insieme lo slogan inedito, ma anche il modo per aggirare ogni censura dopo l’introduzione del reato. Mi sono, dunque difesa e dai tanti appunti è nata l’idea di ripubblicare il libro che esce in una versione molto diversa da quella precedente perché contiene due nuove parti, una sull’antisemitismo nel XXI secolo, che ho scritto per la Treccani, e una parte sul nuovo negazionismo».

Che differenza c’è tra negazionismo e revisionismo?

«I negazionisti sono riusciti a spacciarsi per revisionisti, come se mirassero solo a rivedere la storia in nome di una spassionata ricerca della verità. In realtà non vogliono ricercare nulla, bensì solo insinuano il loro dubbio iperbolico. In tal senso il negazionismo non è un’opinione come un’altra, né tanto meno una visione critica. È una dichiarazione politica che, minacciando il passato, insidia il futuro».

Con il proliferare dei social media il negazionismo assume forme inedite.

«Si può parlare davvero di una complosfera negazionista. Là dove reale e virtuale, prova e rumore, ragionevole e assurdo, tutto è equiparato, i negazionisti trovano estro e ispirazione per rendere attuali e concreti i loro fantasmi. Non sorprende che i nuovi media siano diventati un potente mezzo per fare proseliti».

I testimoni della Shoah sono quasi tutti scomparsi ormai. È un fatto che rafforza il negazionismo?

«Sì e no. I negazionisti hanno sempre tentato di demolire la testimonianza dei sopravvissuti. Il caso più emblematico è quello di Shlomo Venezia a cui ho dedicato il mio libro e che è stato per me una persona molto importante. Membro del Sonderkommando di Auschwitz-Birkenau, lui sapeva bene che la sua testimonianza era la più temuta perché, a differenza degli altri, lui era stato dentro il dispositivo dello sterminio. I nostri sopravvissuti hanno fronteggiato l’ondata dei negazionisti. Sono stati e sono guide della coscienza democratica, come Liliana Segre, e perciò diventano vittime della violenta propaganda negazionista. Ma questo non vuol dire che dopo di loro sarà più facile negare. Qui sta il nostro compito. Vorrei ricordare una parola ebraica, l’imperativo “shamòr”, osserva!, che viene dopo “zakhòr”, ricorda!, ed è rivolto a chi, pur non avendo vissuto gli eventi, e non potendone avere memoria, ha tuttavia la responsabilità di trattenerne il ricordo osservandolo».