Allora, era il 1938, l’anno scolastico cominciava a inizio ottobre. Così in tutta Italia, così anche nel liceo romano Ennio Quirino Visconti, nel cuore della capitale a poche centinaia di metri dal quartiere ebraico. Per 58 studenti e una professoressa del Visconti, come per altre migliaia di bambini, ragazzi e insegnanti italiani, quell’anno le lezioni non ricominciarono: perché erano ebrei. Preparato dal “Manifesto della razza” del luglio 1938 che nel segno dell’alleanza ormai consolidata con la Germania nazista sanciva la svolta razzista e antisemita del fascismo, il Regio Decreto Legge del 5 settembre 1938 n. 1390 stabiliva l’esclusione di insegnanti (articolo 1) e studenti (articolo 2) ebrei dalla “scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale”. Tre le firme in calce: re Vittorio Emanuele, Mussolini, il ministro dell’educazione Bottai.
I 59 cittadini italiani ed ebrei cacciati dal Visconti sono i protagonisti del libro “Scuola negata” di Romana Bogliaccino (Biblion Edizioni). L’autrice ha insegnato storia per molti anni in questo che era nel ’38 e rimane oggi uno dei più prestigiosi licei romani. Nel saggio – frutto di un lavoro di ricerca appassionato e rigoroso condiviso da Bogliaccino con i suoi studenti - è ricostruita la memoria di quelle decine di vite travolte dalle leggi razziali, con una parte introduttiva dedicata all’impatto che la cacciata dei 59 ebrei dal Visconti produsse non solo sulle loro vite successive ma su chi rimase. Tra le testimonianze citate, una è di Marisa Cinciari Rodano, studentessa del Visconti diplomatasi nel 1939 e nel dopoguerra a lungo dirigente di primo piano del Partito comunista: «Furono proprio le leggi razziali per molti di noi una prima causa di incrinatura del nostro infantile sonno dogmatico e un forte incentivo al distacco dal regime», ricorda: «Era doloroso separarsi da compagni con i quali stavamo insieme da anni, ma tutta la classe avvertì l’ingiustizia e, in qualche modo, l’assurdità della cosa».
Dei 58 studenti ebrei esclusi dal Visconti nel ’38, due non scamperanno alla Shoah: Lello Frascati e Giovanni Carlo Della Seta moriranno nelle camere a gas di Auschwitz dopo essere stati catturati dai nazisti nella retata del “ghetto” di Roma del 16 ottobre 1943. Gli altri sopravviveranno al fascismo e all’occupazione nazista: saranno dunque, per usare il titolo dell’ultimo libro di Primo Levi, tra i “salvati” e non tra i “sommersi”, ma per tutti – tolti via da un giorno all’altro, come migliaia di altri ragazzi nel resto d’Italia, dai registri già pronti per il nuovo anno scolastico, trasformati per legge in “non cittadini” – quel passaggio segnò un trauma psicologico irreversibile, una rottura esistenziale.
Il libro di Romana Bogliaccino è un prezioso documento di storia, utile anche a fare giustizia dell’idea che più d’uno tuttora coltiva del fascismo come “dittatura gentile”, come totalitarismo minore. Documento e contributo, si deve aggiungere, che giungono quanto mai tempestivi nell’anno appena cominciato in cui ricorre il centesimo anniversario della marcia su Roma. Il fascismo dittatura gentile? Proprio le leggi razziali varate nel ’38, la loro tempistica, dicono un’altra verità. Il decreto di espulsione degli studenti ebrei da tutte le scuole pubbliche come ricordato è del 5 settembre. Precede dunque di oltre due mesi la norma di contenuto analogo varata da Hitler in Germania il 15 novembre, all’indomani della “notte dei cristalli” che vide nelle città tedesche centinaia di pogrom istigati e spesso organizzati dal regime nazista contro sinagoghe e negozi di ebrei. Nel crescendo di persecuzioni antiebraiche che condurrà in Europa all’Olocausto, l’Italia fu insomma il primo Paese a vietare la scuola agli ebrei.
D’altra parte, pure questo è innegabile, l’antisemitismo “di Stato” fu un carattere non originario del fascismo. Ciò spiega perché molti ebrei italiani siano stati fino al ’38 convintamente fascisti. Di sicuro non era mai stata antifascista Maria Piazza, che insegnava scienze naturali al Visconti e fu espulsa in quanto ebrea: Piazza, alla cui biografia dimenticata è dedicata l’ultima parte del libro di Bogliaccino, era anche libera docente di mineralogia all’Università di Roma, e come tale nel 1931, all’atto della nomina, aveva giurato fedeltà al regime. E certamente era fascista mio nonno Angelo Della Seta, padre di mio padre Piero che fu tra i 58 studenti del Visconti “cancellati”. Ancora all’inizio del ’38, a chi tra i parenti e tra i commessi del suo negozio di tessuti di piazza Giudia gli ripeteva le voci del “ghetto” su un imminente allineamento di Mussolini alla furia antisemita di Hitler, lui rispondeva: «Il nostro Duce non lo farebbe mai». Angelo Della Seta morirà di malattia nel 1940. Suo fratello e tre sue sorelle, con le loro famiglie, moriranno invece di gas Zyklon B nell’aprile ’44 ad Auschwitz. Durante l’occupazione tedesca si erano tutti rifugiati in un casolare in Toscana, pensandosi lì più al sicuro che a Roma. I fascisti li scoprirono, li arrestarono e li consegnarono ai definitivi carnefici.