La traccia usata per le sollevazioni contro l’uccisione di Masha Amani è diventata per caso “Another love” di Tom Odell, scritta nel lontano 2013

La canzone simbolo della protesta delle donne in Iran è un brano di ieri. Perché oggi l’impegno non c’è

Succede che per certe cose, per certe tragedie, non ci sia la giusta musica.

 

E allora la si trova, come hanno fatto le donne che per solidarietà alle mostruosità che accadono in Iran, a partire dall’uccisione di Masha Amani, hanno postato video in cui si tagliano i capelli col sottofondo di una canzone di Tom Odell. E così, non volendolo essere, non essendo nata per questo, “Another love” è diventata la canzone giusta, solo perché a qualcuno è venuto in mente che i versi «and if somebody hurts you, I wanna fight, but my hands been broken one too many times, so I’ll use my voice, I’ll be so fucking rude, words they always win, but I know I’ll lose» che tradotti vogliono dire «se qualcuno ti ferisce voglio combattere, ma le mie mani sono state rotte una volta di troppo, e così userò la mia voce, e sarò maledettamente rude, le parole vincono sempre, ma so che perderò», perché già solo a leggerli questi versi fanno venire la pelle d’oca, figuriamoci a sentirli cantare mentre le donne manifestano contro la barbarie di un regime che non tollera le donne a volto scoperto. è un caso del tutto eccezionale di trasposizione di senso.

 

Tom Odell non ci pensava neanche lontanamente, lo pubblicò nel 2013, fu il suo esordio, ed era un gran pezzo va detto, verosimilmente legato a un’idea di sofferti incroci di rapporti amorosi.

 

Ma questo la dice lunga sul bisogno che abbiamo tutti di avere corrispondenze emotive, di poterci sentire uniti intorno a qualcosa, di piangere, soffrire e protestare insieme, di perderci in una canzone, in un film, in una immagine che ci rappresenti. Non c’è? Bene, allora andiamo a cercarla, e nell’infinito oceano dell’esistente qualcosa di adatto la troveremo di certo, come è successo con “Another love”. Ma qualcosa di strano rimane.

 

Com’è possibile che alla enorme massa di autori di musica e parole, a tutti quelli che oggi fanno musica non venga in mente di scrivere qualcosa su quello che accade? Perché non scatta l’urgenza di esprimersi? Oltretutto non mancano gli spunti, anzi per dirla tutta, i tempi del Vietnam e della Guerra Fredda al confronto con la situazione odierna sono un gioco da bimbi. Da decenni il mondo non offriva uno spettacolo così miserabile di se stesso, nella totale incoscienza di guerrafondai, governanti insensibili alla devastazione climatica del pianeta, regimi repressivi e misogini, un capitalismo che continua sempre di più ad arricchire i ricchi e impoverire i poveri.

 

Com’è possibile che a nessun cantante venga spontaneamente la voglia di urlare la propria voglia di cambiamento, di pace, di giustizia? Non succede, e per questo non ci resta che andare a ripescare qualcosa che per dritto o per vie traverse, torni utile alla bisogna. Come “Another love”, inno per caso, in un mondo che fatica anche a esprimersi.

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