La riflessione sulla sconfitta di una generazione. L’abisso della guerra. La mancanza di buon senso. Il drammaturgo polacco riparte dal suo spettacolo ispirato alla celebre canzone di John Lennon

Krystian Lupa è uno dei maestri e riferimento di registi e attori di teatro del mondo intero e ora sarà in Italia, a Modena con un nuovo spettacolo “Imagine”, ispirato in apparenza alla figura di John Lennon, in realtà una resa dei conti con le utopie del non lontano passato e una riflessione (non disperata) sulla sconfitta di una generazione che voleva abolire frontiere, divinità celesti e forse gli stessi limiti degli umani.

Non è la prima volta che il 78enne regista – che ha pure messo in scena testi di autori come Musil, Dostoevskij, Rilke - gioca con icone pop. Memorabile il suo “Persona”, uno spettacolo su Marilyn Monroe così come il recente “Capri. L’isola dei fuggitivi”, ambientato nella villa di Curzio Malaparte , fra richiami a registi come Jean-Luc Godard e scrittori come Axel Munthe e al testo di “Kaputt”.

«“Imagine”, spiega il regista – e intende la canzone di Lennon e non il titolo dello spettacolo - non è solo un inno di una generazione ormai invecchiata ma anche un simbolo della capacità di immaginare un mondo di valori diversi da quelli dominanti». Lupa nei primi anni Settanta era un hippie, aveva frequentato e fondato comuni non dissimili da quelle che esistevano nel resto dell’Occidente. E oggi? «Sono tornati i pericoli e i fantasmi di un passato che credevamo tramontato», risponde, «continuiamo a disperdere il 90 per cento delle nostre energie nell’odio reciproco e nei conflitti fra popoli e nazioni. Forse noi umani non siamo ancora maturi per vivere in una vera democrazia, una democrazia globale, universale».

Alla questione della democrazia tornerà. Intanto, non attende le domande in questa conversazione su Zoom, parla fitto fitto, come se avesse urgenza di trasmettere messaggi e sensazioni, e non sorride quasi mai. Racconta la genesi dello spettacolo: «Con i miei attori cercavamo di inserire nel testo – che parla di un gruppo di persone che riflettono su cosa sia andato storto rispetto alle loro utopie degli anni Settanta - dei riferimenti all’attualità, alla situazione dei migranti al confine fra Polonia e Bielorussa, ai muri eretti in Europa. Ma ecco che Putin aggredì l’Ucraina. Eravamo sconvolti. Abbiamo pensato che non era possibile parlare dell’immaginazione al potere, dell’umanità nuova, di Lennon, senza un riferimento alla guerra». Come? «Affrontando la postura universale da maschio cavaliere della violenza».

Sulla questione di genere e identità sessuale Lupa ha lavorato molto, anche per ragioni personali. Il regista è stato fra i primi nel suo Paese, la Polonia (non proprio gay friendly) a dichiarare di essere gay. Prosegue: «Fino a poco fa, nonostante tutto, abbiamo sperato che l’uomo fosse arrivato a uno stadio di sviluppo tale per cui uccidere un altro uomo fosse qualcosa di inaudito. Ma ecco che succede, in Ucraina, che degli uomini siano obbligati a combattere e uccidere. Se fossi ucraino, probabilmente lo farei pure io, difenderei il mio Paese». Tace, e poi: «Ecco, la guerra ci ha riportato in una situazione di smarrimento, difficilissima da comprendere e accettare. Ma dobbiamo stare con l’Ucraina, con chi è stato brutalmente aggredito. Ripeto: con i miei attori, abbiamo deciso che Putin, comunque dovesse entrare direttamente nel nostro spettacolo. Ma non dico di più, non faccio lo spoiler».

Si passa a parlare del modo in cui Lupa attraverso la sua narrazione crea i miti. Il regista interrompe: «I miti sono più forti della nostra coscienza. Crearli al teatro è il mio mestiere». Però pure la letteratura e in genere l’arte creano miti. E il suo teatro è considerato in Polonia come una forma di resistenza contro l’omofobia, la xenofobia, il nazionalismo. E allora la domanda è semplice: è il potere attuale a Varsavia a cercare lo scontro perché si sente minacciato, oppure ogni mito artistico è una forma di sovversione? Lupa cita Sartre: «Il filosofo disse che l’errore del potere è pensare di pagare gli artisti e comprarli, ma gli artisti, quelli veri, per natura sono dalla parte opposta». Obiezione. La storia è piena di esempi di artisti e letterati cantori delle peggiori dittature e dei più corrotti poteri. Risposta: «Un artista vero cerca di cambiare lo stato di cose esistente ma talvolta lo fa in un modo di cui non è conscio». E comunque quello che interessa al nostro interlocutore non è tanto il rapporto fra potere e artista ma il teatro come fatto collettivo con risvolti spirituali, Dice: «L’opera teatrale nasce dal desiderio delle persone di stare insieme e non è mai creazione di un genio solitario». Riflette: «Forse noi teatranti siamo soltanto dei medium che intercettano i miti che vengono dal cielo. Ma se è vera questa mia ipotesi, il richiamo al sacro non deve essere intenzionale. L’eccesso dell’intenzionalità rende l’opera brutta e noiosa».

Così quella che è cominciata come un’intervista su uno spettacolo e su teatro diventa una conversazione sulle cose fondamentali, il Bene e il Male e sulle nostre capacità di comprendere il mondo. Dice: «È venuto a mancare il buon senso, il sano buon senso», ripete, «C’è troppa irrazionalità». Prosegue: «Ma la mancanza di buon senso è stata nel passato la causa delle catastrofi: dal fascismo al comunismo realizzato». E poi, all’improvviso: «Però, non tutte le idee compromesse a causa di goffi tentativi di ingegneria sociale sono da rigettare e dimenticare. Forse abbiamo buttato via il bambino con l’acqua sporca. E per quanto possano essere buoni e diventare sempre migliori gli strumenti della nostra democrazia non possiamo dire che questa sia la forma definitiva dei rapporti umani e sociali». Alla domanda: vuole riabilitare l’idea del comunismo? esita. Questa volta tace per un minuto. Poi: «No. Per ora voglio riabilitare le idee espresse da John Lennon». Ride, per la prima volta da quando siamo collegati: «Le sue idee sono cadute assieme alla morte di una generazione, morte di Aids e di malattie». Abbassa la voce: «È arrivato Satana e ha riportato tutto indietro. Sono tornati fenomeni che pensavamo appartenenti al passato e si stanno impadronendo della nostra vita».

Ha parlato di Satana. Il Male fa parte della natura umana? Risposta: «“Imagine” racconta, come si diceva, l’incontro di un gruppo di ex hippie con il loro ex guru. Nel secondo atto c’è un giovane che esce fuori dal corpo del vecchio, un sognatore malato e depresso. Il giovane vuole liberare il sogno. E va nel deserto come Sant’Antonio e come Cristo. Il deserto significa purificazione dell’anima e metamorfosi dell’uomo. Ma Satana vuole impedire questa metamorfosi. Con i miei attori abbiamo riflettuto sul fatto che se Satana non esistesse, Sant’Antonio sarebbe solo di fronte al vuoto. La sua fortuna era l’esistenza del Diavolo. La santità è una lotta incessante con Satana». E ancora: «Nel cristianesimo è insito un errore: pensare che lottare contro il Male vuol dire fare del Bene. Ma io penso che non far Male non significhi fare del Bene».

Con questa enunciazione si potrebbe chiudere la conversazione. Ma Lupa vuole tornare alla questione dell’immaginazione. «È quello che manca al “maschio di guerra”, la capacità di immaginarsi Altro e quindi l’empatia». Usa una parola in polacco che potrebbe significare “cazzone” o semplicemente “bullo”. E a questa figura contrappone Yoko Ono, la compagna di Lennon. «La parola “imagine” è sua», dice. «Lei aveva un intuito da strega. Senza di lei lui non sarebbe diventato né pacifista né un specie di profeta. Certe cose bisogna essere capaci di immaginarle, non farle». Ma le utopie, i sogni di rendere felice l’intera umanità hanno spesso portato agli incubi e alla violenza. Lo dice la Storia, obbiettiamo. Risposta: «Guardi che una cosa simile l’ha scritta un teorico della destra polacca, in polemica non noi. Diceva che togliere con mezzi di costrizione dio, vita oltretomba, identità nazionale, significherebbe avere un mondo peggiore perfino da quello costruito dai nazisti». Ma poi anche dagli stalinisti, aggiungiamo noi. Risposta: «Sì, ma l’utopia di cui parliamo non significa costrizione. Nessuno pensa alla distruzione delle Chiese o all’abolizione delle nazioni per decreto, ma invece alla magia delle parole. Pensi a “War is over” (canzone di John Lennon e Yoko Ono del 1971, durante la guerra del Vietnam, ndr). Ha fatto bene alle anime, è stata più efficace nella lotta contro quella guerra da ogni azione o pensiero violenti. Ed era frutto e strumento di immaginazione».

Però, ecco, in conclusione, non ha paura di aver fatto uno spettacolo per i “boomer”, la generazione nata fra la fine della Seconda guerra mondiale e la seconda metà degli anni Sessanta e odiata oggi dai giovani? Lupa sorride per la seconda volta. «C’è il rischio di fallire. Ma per me e per gli attori questo spettacolo è una sfida di sincerità. Diciamo cose intime senza il timore che raccontandole ci trasformiamo in nostalgici della nostra giovinezza. Sarà lo spettatore a decidere se siamo stati onesti e credibili».