Luoghi magici
Emmanuel Carrère, Annie Ernaux, Zadie Smith. Benvenuti nella casa degli scrittori
Santa Maddalena, una residenza in Toscana, stracolma d’arte e di bellezza. Una straordinaria proprietaria. Una cerchia di ospiti speciali: i più grandi nomi della letteratura contemporanea
Non diventare mai una vedova lugubre... Per amore di Grisha. Per passione per l’arte. Per gusto della letteratura, Beatrice Monti della Corte, vedova dello scrittore Gregor von Rezzori, ha mantenuto la promessa.
«Ho la stessa età della regina», esordisce appena ci incontriamo, e come la sovrana è circondata dai suoi cani. Da regina assoluta si muove a Santa Maddalena, la dimora in Toscana che ha trasformato in residenza d’artista. Una culla di estro e di bellezza che stordisce il visitatore: non per sfarzo, ma per il lusso di quell’eleganza antica e intramontabile fatta di cura, storia, armonia, profumo di edera e di rose: che qui crescono arrampicate in mezzo agli ulivi. Soprattutto, è l’ombra di tante presenze ad accogliere chi arriva: ricordi di viaggio, tracce di amici, frasi e risate sospese nell’aria, e un’atmosfera dove libri, quadri, piastrelle bianche e verdi, letti siciliani, mobili viennesi del primo Novecento e ritratti di famiglia, sembrano sul punto di animarsi, e raccontare: di un nonno italiano, in foto con la giacca da tennis a righe bianche e blu; di un avo armeno con il tradizionale fez. Di un cane più amato di altri. Di una madre bellissima, persa troppo presto.
«Mia nonna era inglese, mia madre armena, morì a 25 anni di tifo, io ero piccolissima. A dieci anni andai a vivere a Capri con mio padre. Ma prima eravamo stati in Etiopia, lui era a capo dell’ufficio studi delle rovine di Lalibela e Gondar. È lì che ho conosciuto Curzio Malaparte, amico di una vita», racconta, mostrando una foto che li ritrae in Africa insieme. Tra ceramiche di Iznik, calligrafie coraniche, tavolini intarsiati in madreperla, manufatti sopravvissuti a pagine terribili della storia, la baronessa riprende a parlare: «Vivo nel mio organizzato disordine. Fino a qualche anno fa trascorrevo l’inverno a New York. Viaggiavo, poi tornavo qui».
Qui è Valdarno, terra dei Guicciardini, un susseguirsi di colline alle spalle di Firenze alle quali si giunge, una ventina di chilometri dopo, dalla stazione di Sant’Ellero, poi via verso Donnini. «Io e Grisha arrivammo la prima volta qui nel 1967. Fu amore a prima vista. Mio marito era di origine austriaca, la sua famiglia si era trapiantata in Romania. Da quando aveva lasciato la sua terra aveva sempre vissuto da nomade. In questo luogo sentì di poter mettere le radici. Abbiamo comprato il vecchio rudere, ci siamo rimboccati le maniche». «Quando la rilevammo la casa era quasi completamente distrutta, circondata da erba alta fino al ginocchio sotto una pioggia di fiori d’acacia», scrive lo scrittore Gregor von Rezzori nel memoir “L’attesa è magnifica” (Guanda): «Le rondini sembravano aver preso possesso di tutto. Quando finimmo di sistemarla i nidi erano stati distrutti e le rondini se ne erano andate, lasciandoci con un dedalo di stalle locali corridoi e stanze». È a quel punto che interviene la capacità di immaginare di un grande architetto amico della coppia, Marco Zanuso, che ridà vita ad aie, cortili, granai, a una torre del Trecento. «Ogni fine settimana partivo da Milano, per cercare di riportare alla luce quella casa. Arredare è una parola che non mi piace molto. A me sembra che si crei complicità tra chi occupa una casa e la casa stessa, con le sue pareti, i suoi spazi. E alla fine è la casa a dirci di che cosa ha bisogno», ricorda Beatrice Monti nel libro pubblicato da La nave di Teseo, “I miei scrittori e altri animali”, con le foto di François Halard e i contributi di tanti amici. «A Milano avevo la mia galleria, L’Ariete, erano anni di grande effervescenza. Li ho esposti tutti: Francis Bacon, Joan Miró, David Hockney, Antoni Tàpies, Robert Rauschenberg. Ma non volevo vivere lontano da mio marito. Lasciai la città. Il mio amico Leo Castelli si infuriò: “Ma come, molli proprio ora? Tra sei mesi saremo miliardari”». L’arte contemporanea sbuca ovunque a Santa Maddalena, tra cuscini di Tangeri, tappeti di Kabul, figure indiane, pitture secentesche di cortigiane veneziane: una scultura di Pietro Cascella, due donne nude che ballano in salotto opera di Michelangelo Pistoletto, due enormi dipinti bianchi di Enrico Castellani: minimalismo assoluto, che trasmette purezza e presenza.
Inizia una stagione nuova per la coppia. Scrittura, amicizie, viaggi: dal Rio delle Amazzoni all’Afghanistan: «Sono andata due volte da sola, non c’era pericolo. Il mondo era più scomodo ma molto più sicuro di oggi». E la casa si apre a scrittori e intellettuali. «Ho sempre vissuto tra libri di tutte le lingue, ma nessuno mi ha mai detto cosa leggere: ho avuto un’educazione un po’ sgangherata. Scelgo quello che mi piace. Mi colpisce un libro, scrivo all’autore, lo invito».
E gli scrittori accorrono: per settimane, mesi, ogni anno, avvolti da una grande, cosmopolita, famiglia allargata: «Ecco il mio trisnonno Pasquale Stanislao Mancini: abolì la pena di morte in Italia un secolo e mezzo prima del resto d’Europa». E lo zio, ultimo governatore del Libano. Uomini in uniforme, donne a cavallo, burattini turchi, locandine di mitici toreri.
«Come abbino gli ospiti? Metto insieme persone molto simili o molto diverse: così nascono belle sorprese». A tavola specialmente, racconta l’habitué Edmund White: «All’ora di cena, col vino nel decanter, i candelabri d’argento e una cena toscana, ci si incontra. Gli scrittori hanno l’aspetto stralunato e quasi extraterrestre dei guerrieri in lotta con gli angeli. Dopo qualche bicchiere di vino partono a raccontare di infanzie in Alabama o in Lettonia».
Ralph Fiennes arriva qui nel 1995, con Michael Ondaatje, Antony Minghella e Kristin Scott Thomas. Isabella Rossellini è amica di lunga data. Da Colm Tóibín a Emmanuel Carrère, da John Banville a Michael Cunningham («un amico vero: adora giocare a scacchi cinesi. L’ultima volta però è scivolato in cantina», dice ridendo) è un andirivieni continuo. Come conferma il libro degli ospiti: Andrew Sean Greer, Gary Shteyngart, Adam Thirlwell, Tash Aw, Dany Laferrière, Hisham Matar. A ognuno di loro, «rigorosamente non accompagnati», Santa Maddalena offre una camera e uno studio. E la possibilità di frugare tra i pensieri di chi è passato prima: lettere, appunti, cartoline, i libri allineati da Cunningham, mentre scriveva “Giorni memorabili” nella stanza che fu di Bruce Chatwin: «Dormo nella sua ex camera in cima alla torre di avvistamento. Il suo spirito impalpabile abita ancora in questa stanza, qui sono io il fantasma». Di Santa Maddalena Chatwin diceva: «È il posto migliore al mondo in cui scrivere». Cunningham prosegue: «Una stanza piuttosto femminile, con le pareti a righe bianche e rosa e figure indiane ingioiellate che suonano il flauto. Una via di mezzo tra la cameretta di un’eccentrica ragazzina e un serraglio».
Colori, incontri, viste spettacolari: di genius loci, saggio e selvaggio, ha parlato Maylis de Kerangal. Di casa qui è Zadie Smith: «Una figlia adottiva, l’ho conosciuta a 25 anni quando aveva pubblicato “Denti bianchi”, due milioni e mezzo di copie: era sconvolta dal successo. Le ho scritto, è rimasta tre mesi. Spero diventi lei la presidente della Fondazione Santa Maddalena», che promuove il premio von Rezzori al miglior libro straniero tradotto in italiano: nel 2022 è stato assegnato a Javier Marìas: «Siamo stati molto amici. Un mese prima di morire mi ha detto: “Bisognerà pensare a un altro re per Redonda”, il regno di fantasia sulla sua isola nelle Antille. Non è mai venuto, temeva di non stare bene con gli altri. “E cosa faccio, se li odio tutti?”, rideva». Sarà pur capitato: «Pochissime volte. Ricordo una scrittrice cinese che si pacificava solo facendo incetta di prodotti in farmacia. E mi dispiacque quella volta che un’importante scrittrice fu cattiva con la giovane Elif Batuman. Se sono nati amori? Tendo a non saperlo. Di certo, molte amicizie». Di qui sono passati Olga Tokarczuk. E Annie Ernaux, premiata nel 2019, racconta la padrona di casa, seduta nello studio del marito, tra enciclopedie e curiosità: come una copertina del New Yorker che ritrae Tomboy, il suo primo carlino, nel disegno di Barry Flanagan. «Ho ospitato tanti traduttori: fanno da ponte tra mondi, fondamentali. Avrei voluto conoscere più botanici, per scoprire meglio la natura». E quel coltivare, così centrale nella sua vita: relazioni, bellezza. E talento: «Amo i giovani. Ogni tanto li segnalo a Edwin Frank della New York Review of Books. L’ho fatto con Bernardo Zannoni. E vi dico un altro nome da tenere d’occhio, un georgiano, Leo Vardiashvili». Un nuovo ospite arriva mentre la salutiamo: è Mateo Garcia Elizondo, nipote di Gabriel García Marquez. «La solitudine? È una benedizione, sono sempre piena di gente. E l’ironia è indispensabile alla sopravvivenza».