Scritti al buio
Tre grandi attori, Ficarra, Picone e Servillo. Un regista colto, Roberto Andò. Per un film da non perdere
di Fabio Ferzetti
Ci voleva un regista colto come Roberto Andò per fare uno dei film più divertenti degli ultimi anni, e non solo. Ci voleva un uomo di teatro e di cinema, un palermitano sensibile da sempre ai giochi del caso e agli incroci beffardi tra realtà e finzione (ricordiamo almeno “Viva la libertà” e “Una storia senza nome”), per coniugare la genesi di “Sei personaggi in cerca d’autore” alle imprese di due becchini col pallino del palcoscenico.
Ci volevano, infine tre attori meravigliosi come Ficarra e Picone, i due becchini filodrammatici, e Toni Servillo, un Pirandello di poche parole e molti sguardi, per dare a questa farsa labirintica la leggerezza di una commedia, la precisione di un vaudeville, la densità (mai ostentata) di un trattatello filosofico. Che fondendo fatti storici (la “prima” tumultuosa al Valle) ad altri del tutto immaginari, riesce a gettare una luce diversa su un monumento come i “Sei personaggi”. In una cascata di invenzioni che lavora su tutti i piani del racconto, dal semplice intreccio, con i suoi esilaranti equivoci, al lavoro sugli spazi (le scenografie sono di Giada Calabria); dai dialoghi, in cui il dialetto più sanguigno si mescola all’italiano “strettissimo”, a un sottotesto pulsante anche se affidato a pochi sapienti dettagli: la moglie folle di Pirandello, la balia morta con la bocca spalancata, la gelosia persecutoria nutrita da Ficarra nei confronti di sua sorella (un’insolita ed efficacissima Giulia Andò). Fino a quel gran finale in cui ogni cosa paradossalmente sembra tornare al suo posto, in una confusione forse definitiva tra realtà e finzione, vita e rappresentazione.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) PIRANDELLO_DESANCTIS]]
Anche se conviene non insistere sui significati, che ci sono e, soprattutto, sono accessibili a chiunque. A brillare sullo schermo sono il ritmo, l’inventiva, il piacere, la generosità dimostrata da Andò (con Ugo Chiti e Massimo Gaudioso alla sceneggiatura) e dagli attori, numerosissimi e straordinari fino al più piccolo ruolo. Come se questa “Stranezza” così inattesa aspettasse in certo modo di vedere la luce da sempre. A risarcire, sull’onda di altri film importanti ispirati al teatro (“Qui rido io” di Martone, ma anche il trascurato “La stoffa dei sogni” di Cabiddu), un cinema che troppo spesso, misteriosamente, sembra anzitutto ansioso di dimenticare di cosa può essere capace.
“La stranezza”
di Roberto Andò
Italia, 103’