Intelligenza artificiale
Bruce Sterling e il futuro dell’arte: «È ora di pensare l’impensabile»
Nft, generatori di immagini, macchine che emulano l’uomo. La rivoluzione creativa appena iniziata. Vista dal padre del cyberpunk
Pensare l’impensabile per immaginare risposte che ancora non abbiamo: questa possibile definizione di fantascienza esce sempre di più dall’ambito letterario per ridefinire progressivamente il rapporto dell’umanità con il suo presente e il suo prossimo futuro. Dalle infinite e ancora inesplorate possibilità del metaverso alla rapida evoluzione dell’Intelligenza artificiale, il dibattito sui risvolti imprevedibili della tecnologia ultimamente si è focalizzato sulla nascita di una nuova declinazione dell’arte, attraverso gli strumenti dell’Ia. Si va ben oltre la capacità di riprodurre meccanicamente un artefatto, perché a diventare oggetto della discussione è il confine stesso fra uomo e macchina, riportando alla memoria gli anni Ottanta del cyberpunk. Bruce Sterling, che del cyberpunk è stato il co-fondatore, non sembra però guardare con pessimismo o angoscia a questa nuova possibilità della tecnologia, come sottolinea la lectio magistralis che l’autore ha tenuto insieme a Jasmina Tešanović nel corso della terza Biennale di Tecnologia di Torino: “La nuova arte dell’Intelligenza artificiale”.
Lei che ha contribuito a definire storicamente il cyberpunk, dove traccia oggi il limite tra uomo e tecnologia?
«È un limite piuttosto flessibile ma proprio quest’anno i generatori di immagini a rete neurale ne hanno divorato una grossa fetta. Queste macchine possono esprimere arte che soltanto un anno fa avrebbe meravigliato chiunque».
L’intelligenza artificiale che “fa arte” può arrivare a ridefinire il nostro stesso concetto di umanità?
«Gli esseri umani non sono cambiati molto, ma le macchine sì. Sono diventate molto, molto più brave a imitarci: i nostri testi, le nostre opere, le nostre fotografie, i nostri video. Possono replicarci bene ma quando non ci emulano è ancora più interessante. Abbiamo macchine, adesso, che potrebbero facilmente creare “dipinti” naturalistici e realistici fino a un chilometro di distanza. La loro portata e la loro velocità sono sorprendenti».
Da direttore dello “Share Festival”, il festival che porta a Torino le nuove tendenze della tech art, che definizione darebbe dei nuovi generatori automatici di immagini DALL-E, lmagen, Midjourney, Craiyon, alcuni già premiati nei concorsi d’arte?
«Originariamente queste macchine sono state costruite per riconoscere e nominare gli oggetti nelle fotografie. Poi si è scoperto che il processo poteva essere ribaltato trasformando le parole in fotografie: è la creazione “dal testo all’immagine”. Se digiti un testo e dai il “prompt” (l’input informatico, Ndr) le macchine faranno del loro meglio per dipingere ciò che quelle parole contengono, in ogni stile e in ogni scala. Inoltre migliorano con estrema rapidità. Nella mia vita non ho mai visto una forma di “new media” migliorare così velocemente. Quest’anno è stato il più intenso che l’Intelligenza artificiale abbia mai avuto e il prossimo si prospetta ugualmente particolare e impressionante».
Come funzionano queste opere create dall’Ia?
«I generatori dal testo all’immagine hanno una “frontend” (l’interfaccia visibile all’utente, Ndr) che legge gli input e un ampio database che viene scansionato e misurato dalle reti neurali ad apprendimento profondo (una tipologia di apprendimento automatico dell’Ia, Ndr). In seguito la “backend” produce l’opera. Si discute se sia più importante il database o il software o l’input che dice al generatore cosa fare, ma nell’insieme i generatori sono come i caleidoscopi dei bambini, con una lente da cui entra luce e una complicata, misteriosa e intricata componente da cui fuoriesce una bella immagine. Esistono anche diversi modelli tecnici di proprietà di diversi investitori e gruppi di programmatori che sperano di ottenere risultati differenti. Sono parti in competizione, ma al momento collaborano. Ecco perché tutto avanza così velocemente, c’è un codice open source che può usare chiunque».
A chi appartengono dunque le opere?
«Nessuno lo sa, spetterà ai professionisti della giurisprudenza capirlo. È un problema che ha molto in comune con il campionamento digitale della musica (una tecnica di composizione che preleva estratti di altri brani, Ndr) e con i diritti di riproduzione della fotografia. Se ci si vuole assumere un ulteriore rischio si possono trasformare queste opere in criptovaluta, “non-fungible tokens”, Nft. Ci saranno molte controversie».
Come pensa che questi generatori di immagini cambieranno il futuro dell’arte?
«Sono abbastanza sicuro che appariranno presto nel design dei siti web, nel design interattivo dei videogiochi e negli effetti speciali cinematografici. All’inizio verranno usati per fare il lavoro che si faceva già, solo più rapidamente e spendendo meno. Successivamente si scopriranno nuovi modi di usarli, un po’ come è successo storicamente al cinema, che all’inizio era solo un’imitazione degli spettacoli di magia. Le persone si preoccupano della tecnologia nell’arte ma finché la popolazione, il governo e il mondo accademico ammirano, supportano e insegnano l’arte, il futuro dell’arte stessa è salvo. Ogni volta che spunta fuori una nuova macchina, non c’è altro da fare se non usarla per la propria arte. È più semplice di quel che si pensi».
Si può dire che l’arte nell’Ia sia una nuova forma del pessimismo cyberpunk?
«Se fossimo davvero in ansia all’idea che l’umanità “venga rimpiazzata”, ci prenderemmo maggiore cura di noi stessi. Il Covid-19 ha ucciso milioni di persone, questi generatori di immagini non fanno male a nessuno. Anzi, sono anche un effetto collaterale della pandemia, poiché molti programmatori hanno lavorato duramente su queste macchine durante il periodo di lockdown. Sono il lato positivo del brutto periodo che abbiamo passato tra il 2020 e il 2021».
«Come scrittori di fantascienza abbiamo ogni ragione di godercela: abbiamo influenza senza responsabilità. Pochissimi si sentono in obbligo di prenderci sul serio, e tuttavia le nostre idee penetrano nella cultura». Si riconosce ancora in questa definizione che scrisse nella prefazione di “La notte che bruciammo Chrome” di Gibson? E perché?
«Ci sono tanti, troppi “vecchi” nella nostra società. Io stesso sono vecchio e sono particolarmente a favore dei giovani creativi, turbolenti e provocatori. Chi scrive fantascienza non dovrebbe essere silenzioso e tradizionalista, ma inventivo e innovativo, per “pensare l’impensabile”».
Qual è l’ultima idea “impensabile” che dalla fantascienza è penetrata secondo lei nella nostra quotidianità, stravolgendola?
«L’unica vera risposta è la crisi climatica. Ogni giorno il nostro mondo cambia molto più di quanto la fantascienza avesse immaginato. La “scomoda verità” (dal titolo del documentario ambientalista con Al Gore, Ndr) è sempre più evidente».