Il romanzo “The Continent” racconta la storia di un mondo dove turisti privilegiati osservano dai loro eliplani due popoli nativi che si combattono a vicenda in una guerra perenne. La protagonista, un’apprendista cartografa di 16 anni, si ritrova improvvisamente a terra dopo un incidente quando uno degli autoctoni la salva da un tentato stupro e lei lo ricambia aiutando la sua gente a evitare la catastrofe. La trama di questo fantasy ha fatto molto discutere negli Stati Uniti e l’autrice, Keira Drake, è stata accusata di aver scritto l’opera da una prospettiva colonizzatrice e stereotipata, dove i bianchi agiscono ancora una volta da salvatori.
Cinque mesi dopo la pubblicazione, la scrittrice afroamericana di young-adult Justina Ireland definì “The Continent” «immondizia razzista». Drake era incappata in alcuni stereotipi senza rendersene conto, a suo avviso. Per esempio, la tribù chiamata Topi somigliava a una versione razzista degli Hopi, un popolo nativo americano. L’autrice allora spiegò di essersi in realtà ispirata agli Uruk-hai di J.R.R. Tolkien, creature metà uomo e metà orco, ma anche in questo caso non sapeva che lo scrittore del “Signore degli anelli” si fosse basato sulla sua visione degli abitanti dell’Asia Centrale. Alla casa editrice, Harlequin, non restava che affidarsi a un “sensitivity reader”.
Melissa Scholes Young
Conosciuti anche come “expert reader” o “authenticity reader”, studiano testi che presentano personaggi con identità o esperienze lontane dagli autori, alla ricerca di inesattezze, stereotipi, pregiudizi o espressioni offensive. Mentre lo fanno, al contempo cercano di preservare l’integrità dell’opera, consigliando allo scrittore modifiche che possano impedire situazioni simili a quella vissuta da Drake. Ognuno di loro offre conoscenze o competenze che vanno dall’appartenenza culturale, etnica o religiosa (cristiana, afroamericana, asiatica) alle esperienze traumatiche (stupro, abuso emotivo da parte di un genitore), fino a includere gli hobby.
Nathaniel Glanzman, per esempio, mette a disposizione la propria esperienza come persona autistica, bipolare, uomo transgender, asiatico-americano e paziente di un ospedale psichiatrico. Due anni fa ha abbandonato un lavoro di professore di inglese che, pur piacendogli, costituiva al contempo una fonte di pressione talmente profonda da portarlo al ricovero. Quelle che prima vedeva come vulnerabilità adesso sono, paradossalmente, abilità essenziali per il suo lavoro da “sensitivity reader”: «Dimettermi da professore ha distrutto la mia autostima e mi ha fatto sentire come se non fossi intelligente e capace. All’improvviso, però, mi sono trovato in un settore dove conosco tutto e so cosa sto facendo», racconta.
Perché il requisito più importante per questa professione, molto diffusa negli Stati Uniti e in parte nel Regno Unito, è attingere esclusivamente dal proprio vissuto. Per questo, Glanzman si pente di aver accettato il suo primo lavoro, la lettura di un romanzo con un personaggio transgender femminile: «Non sono una donna trans e non avrei dovuto leggerlo perché è una regola dei “sensitivity reader”: non puoi consigliare su identità che non hanno a che fare con la tua esperienza personale», sottolinea.
Come lui, molti lavorano da freelance per grandi gruppi editoriali, nel suo caso Harper Collins e Penguin Random House, che nel loro sito raccomandano il database “Writing in the Margins”, dove è apparso per la prima volta il profilo di Glanzman. Sage and Salt è tra i leader del servizio e dispone di decine di “sensitivity reader” nel suo catalogo online.
Nel cinema il processo è molto simile, ma lo sceneggiatore gioca un ruolo diverso, come spiega la “sensitivity reader” Alexandra Creswick: «I copioni non sono fatti per essere letti, sono solo un progetto che si converte in immagini. Lo sceneggiatore è il principio del progetto, non la sua fine».
Gran parte del suo lavoro si concentra sui temi della riproduzione che si trasformano a volte in un dibattito sul cambiamento climatico. Ad esempio, quando un personaggio dice qualcosa del tipo: «Non voglio figli perché il mondo è sovrappopolato», secondo Creswick «si sta ponendo sulle spalle dei poveri tutta la responsabilità di quello che succede all’ambiente e ignora il fatto che abbiamo abbastanza risorse per aiutare tutti, ma non lo facciamo per ragioni economiche».
Alcuni autori hanno accolto la diffusione del “sensitivity reading” con critiche e dubbi, come se si trattasse di una minaccia alla libertà d’espressione o una sorta di censura. rancine Prose, sulle pagine della New York Review of Books, si è chiesta se sia giusto dire addio a Madame Bovary, dato che a Flaubert mancava «l’esperienza di una casalinga inquieta», oppure a Otello perché «Shakespeare non era nero».
Lionel Shriver, sul Guardian, ha minacciato di abbandonare la letteratura il giorno in cui una delle sue opere dovesse finire nella mani di un “sensitivity reader”: «C’è una linea sottile tra il setacciare i manoscritti per qualsiasi cosa potenzialmente discutibile per determinati sottogruppi e l’aperta censura politica».
Gli scrittori, tuttavia, possono rifiutare le raccomandazioni se lo considerano necessario e non sono obbligati ad applicare le modifiche se non lo desiderano: «Sono la loro dipendente e non ho potere», dice Creswick: «La ragione per cui dedico molto tempo a chiedermi cosa vuole ottenere l’autore è perché voglio che lo ottenga. Io sono semplicemente un altro strumento per aiutarlo», aggiunge. «Non è censura, ma accuratezza. Si tratta di sapere di cosa si sta scrivendo», pensa invece Glanzman.
In effetti, nella maggioranza dei casi, chi decide di affidarsi a un “sensitivity reader” spontaneamente lo considera un buon servizio, che aiuta a migliorare il suo scritto. Melissa Scholes Young ha assunto un esperto per analizzare la rappresentazione di un personaggio dalle origini etniche diverse in un mondo di bianchi: «Tutti abbiamo i nostri punti ciechi perché ci portiamo dietro un background culturale, la nostra esperienza. Il mio “sensitivity reader” mi ha aiutato a capire dov’erano questi punti ciechi affinché io potessi vederli più chiaramente», spiega.
Il revisore ha letto cinque capitoli del suo secondo romanzo, “The Hive”, ambientato nelle località rurali del centro-ovest statunitense, tradizionalmente isolate e poco multietniche. «Non mi sembra rivoluzionario chiedere aiuto. Devo essere cosciente di quelli che possono essere i miei limiti nella scrittura. È più accettabile assumere un “sensitivity reader” per un’opinione professionale, piuttosto che chiedere a qualcuno di una comunità marginalizzata quello che pensa. Questo è poco professionale e insensibile», pensa Scholes Young. La richiesta di romanzi con personaggi appartenenti a minoranze cresce ma continuano a essere i bianchi a impossessarsi delle storie. Secondo il New York Times rappresentano infatti l’89 per cento delle opere pubblicate.
Anche per questo motivo, Glanzman crede che nel futuro la situazione migliorerà e che le grandi etichette editoriali cercheranno di assumere molti di loro.
E in Italia? La figura del “sensitivity reader” sembrerebbe una prerogativa prettamente anglosassone, come dichiarano alcune case editrici. Il lavoro di revisione è in genere integralmente affidato a redattori interni, che cercano di svolgere questo ruolo con rigore e attenzione, senza la richiesta di particolari esperienze personali. Come racconta l’editore romano Minimum Fax: «Essendo una casa editrice di piccole-medie dimensioni non abbiamo la capacità di assumere una figura di questo tipo. Tuttavia i nostri editor sono molto consapevoli e informati, e svolgono questo ruolo contestualmente al lavoro di editing e di selezione dei testi. Siamo molto attenti a questo genere di tematiche».
Un atteggiamento confermato anche da Fazi Editore, che affida a lettori preparati l’individuazione di eventuali “inesattezze”.
Ma il pubblico italiano è diverso da quello anglosassone e questo, per Fazi, è una fortuna: «È successo qualche volta di trovare passaggi poco piacevoli per la sensibilità del momento o per un certo tipo di lettori, ma in generale in Italia siamo meno sensibili e più permissivi di fronte ad alcune licenze che si concedono gli autori nei loro testi».