L’artista è impegnata nel sostenere i centri antiviolenza: «Dobbiamo lavorare nella famiglia, nella scuola e nella comunicazione per cambiare questa mentalità contorta che ci vede coinvolti tutti»

Parole, canzoni e concerti come “Una. Nessuna. Centomila”, la scorsa estate sul prato di Campovolo, vicino a Reggio Emilia. Dove Fiorella Mannoia è salita sul palco assieme a sei grandi protagoniste della musica (Emma, Alessandra Amoroso, Giorgia, Elisa, Gianna Nannini e Laura Pausini) davanti a un pubblico oceanico, per raccogliere fondi a favore di sette centri antiviolenza sparsi per l’Italia. Due milioni di euro in beneficenza per sostenere le donne vittime di abusi, stupri, brutalità da parte di uomini. La cantautrice riparte da qui e ribadisce il proprio impegno.

 

Fiorella Mannoia, il 26 novembre si terrà a Roma una manifestazione nazionale femminista e transfemminista. Scenderà in piazza?
«Certo, ho sempre partecipato e lo farò pure stavolta. Oggi hanno ammazzato un’altra donna, purtroppo è una piaga totale. Dobbiamo tutti impegnarci, nella famiglia, nella scuola e nella comunicazione, per cambiare questa mentalità contorta che ci vede coinvolti tutti, uomini e donne. Anche noi donne dobbiamo interrogarci sul perché ci infiliamo in certe situazioni, scambiamo l’amore per il possesso, abbiamo la sindrome della crocerossina».

 

Servono nuove leggi o una rivoluzione culturale?
«La legge è necessaria e deve essere severa. Fino a poco tempo fa le pene erano minime, con le solite attenuanti: come eri vestita, come sei andata in giro, perché ti trovavi in quel posto e così via. Tutte queste domande, violenza che si aggiunge a violenza. La legge serve perché non si tratta di reati minori, ma molto gravi. Le norme però da sole non bastano, ci vuole una rivoluzione culturale, la buona volontà delle istituzioni, della scuola, il rispetto dell’altro. Serve un impegno sociale forte, affinché il giorno dopo la manifestazione non torni tutto come prima».

 

Secondo il report annuale dell’associazione nazionale Donne in Rete contro la violenza, nel 2021 sono state accolte nei centri antiviolenza oltre 20mila donne, in crescita rispetto all’anno precedente. Ma solo una su tre denuncia il proprio aggressore…
«Le donne non si sentono tutelate ma soprattutto non sanno dove andare. Ci dovrebbe essere un centro antiviolenza in ogni quartiere. Se una se ne va di casa dove va? Oggi una donna su tre non ha un conto bancario proprio. Per individuare alcuni centri antiviolenza da sostenere mi sono affidata a Giulia Minoli, Lella Palladino e Celeste Costantino, che hanno molta esperienza sul campo. Dopo aver raccolto assieme alle mie colleghe più di due milioni con l’evento di Campovolo, sono andata a visitare il centro antiviolenza di Casal di Principe, vicino a Caserta, per rendermi conto della situazione».

 

Cosa ha scoperto?
«Non basta ricevere le donne quando scappano ma bisogna ricollocarle nella società. Trovare loro un posto di lavoro, solo attraverso l’indipendenza economica riescono a scardinare la dipendenza dal compagno».

 

Qualche anno fa ha scritto la canzone “Nessuna conseguenza”, che parla della forza di reagire contro la violenza. È ancora attuale?
«Penso di sì. È una canzone di speranza, positiva, dedicata a chi ce l’ha fatta».

 

La musica può cambiare le cose?
«Non ha mai cambiato la società, ma contribuisce a focalizzare un problema. Niente come la musica possiede questo potere di aggregazione, è sempre stata lo specchio dei tempi, anche per me. Quando ero adolescente le canzoni di De André mi hanno cambiato la vita».