L’assalto a Capitol Hill, la morte in diretta, il giorno dell’apocalisse per la democrazia americana. Il fotografo e regista newyorkese, noto per le sue provocazioni, debutta alla regia con il film “Insurrection”. “Tutti sappiamo che l’ex presidente Usa è il leader della rivolta e aspira a diventare un dittatore”

La devastazione, lo sciamano con le corna, la morte in diretta. Il giorno dell’apocalisse per la democrazia americana. Pensavamo di aver letto e visto tutto dell’assalto a Capitol Hill, il 6 gennaio 2021 a Washington. Dai video virali sui social all’accusa di tentato golpe per Donald Trump da parte della Commissione d’inchiesta che indaga sulla rivolta. Credevamo di aver visto tutto e invece Andres Serrano, 72 anni, artista e fotografo newyorkese, adesso mette altra carne al fuoco con “Insurrection”, il suo film d’esordio prodotto dall’organizzazione no profit londinese a/political, quasi un’ora e mezza di immagini dal vivo estrapolate dai social media e intrecciate con filmati d’archivio. Una sequenza incalzante, ipnotica, accompagnata da una musica che lascia senza fiato. L’insurrezione narrata da una prospettiva inusuale, quella dei rivoltosi, che ha attirato su di lui una valanga di critiche di filotrumpismo. Al punto che di recente una sala cinematografica, a Londra, ha cancellato la proiezione.

Noto per le sue provocazioni, Serrano è bersaglio di contestazioni fin dai tempi di “Piss Christ” (1987), la foto di un crocifisso immerso nell’urina dello stesso artista, opera che lo rese famoso e sta per diventare un Nft. Ciuffo riccio ribelle, completo nero e camicia bianca, Serrano ci accoglie nel cinema La Compagnia a Firenze, in occasione della prima italiana davanti a 450 spettatori, per il festival “Lo schermo dell’arte”.

Centinaia di smartphone e telecamere hanno mostrato tutto dell’assalto al Congresso degli Stati Uniti. Perché tornare sull’argomento con un film?
«Ho voluto realizzare un’esperienza immersiva per mostrare i fatti a chi non era fisicamente a Washington. A partire dai discorsi di Donald Trump per istigare la folla. È stata una manifestazione che affonda le radici nel fascismo e in altre forme estreme di governo che abbiamo visto in passato. In sostanza Trump ha detto ai suoi: “Andate lì e prendete il palazzo del Campidoglio” e loro lo hanno fatto. All’inizio i rivoltosi sembravano felici come se stessero andando al circo. Poi, durante la marcia verso Capitol Hill, c’è stata l’escalation, la gente aveva un solo obiettivo: sovvertire il risultato delle elezioni. Davanti a tutte quelle immagini riprese con gli iPhone, circa 200 video, mi sono sentito come Leni Riefenstahl quando realizzò “Il trionfo della volontà” (celebre film di propaganda nazista del 1935, ndr). Aveva intorno a sé centinaia di persone, ore e ore di filmati a cui attingere».

Il paragone con il nazismo non le sembra esagerato?
«Si tratta di un gruppo di fascisti che cerca di prendere il potere, ora come allora. Tutti sappiamo che Trump è il leader della rivolta e aspira a diventare un dittatore».

C’è qualcosa che l’ha colpita nelle immagini che ha visionato? Nella folla non c’erano afroamericani…
«Sì, ho trovato solo uno o due volti neri. Penso che fossero lì per curiosità, i neri non avevano alcun interesse a ribaltare le elezioni, a differenza dei sostenitori di Trump. Se i neri avessero attaccato la capitale ci sarebbero stati la polizia, le squadre d’assalto Swat, l'esercito. Soldati con le armi spianate pronti ad abbatterli sul posto».

“Insurrection” ripercorre gli ultimi 150 anni della storia americana attraverso episodi di violenza e tensione sociale. Dalle rivolte durante la Grande Depressione a Malcolm X e Fidel Castro. Fino all’assalto a Capitol Hill. È la ferocia il filo rosso che unisce passato e presente dell’America?
«L'America è nata dalla violenza. Quando i coloni europei sbarcarono nel Nuovo Mondo conquistarono quella terra sradicando i nativi con ferocia. È questo il marchio distintivo della storia americana. I colonizzatori bianchi lo chiamarono “destino manifesto”, come se avessero il diritto di impossessarsi dell’America in nome del progresso e della civiltà».

In passato si era già occupato dell’ex presidente Usa. Con “The Game: All Things Trump” (2018-2019), la mostra in cui ha esposto mille memorabilia dell’ex tycoon, tra cui la sua torta nuziale in miniatura e la falsa banconota da un dollaro che mostra Hillary Clinton dietro le sbarre. Qual era lo scopo della mostra?
«Per mettere insieme tutti quegli oggetti ho speso 200mila dollari su eBay! I miei lavori hanno a che fare con i temi di base della vita: religione, sesso, politica. A un certo punto mi sono reso conto che Trump era diventato un argomento fondamentale, così ho deciso di farne un ritratto. Lo scopo della mostra non era solo mostrare il suo ego ma anche il suo raggio d’azione: sono talmente tanti i brand hanno collaborato con lui…La mostra e il film “Insurrection” contribuiscono a disegnare il suo profilo, a definire la sua eredità».

Alle elezioni di midterm Donald Trump è stato sconfitto. La sua era sembra finita, anche se ha annunciato la candidatura alle presidenziali del 2024.
«Il suo futuro come presidente potrebbe essere finito, ma il trumpismo no. Il movimento che ha creato è ancora presente, Trump ha insegnato a molti repubblicani a mentire, essere corrotti, egoisti e cercare di distruggere i democratici. Trump ha instillato in questa gente una mentalità fascista».

A proposito di passato, la sua opera più famosa, “Piss Christ” (1987), raffigura la crocifissione di Cristo immersa nell’urina. All’epoca suscitò un enorme scandalo. Sono rimasto colpito da un recente servizio del New York Magazine, che mostra la sua casa nel Greenwich Village costellata di statue lignee, crocifissioni e quadri che celebrano la religione cristiana con rispetto e devozione. Si è convertito?
«Sono nato e sono cresciuto in una famiglia cattolica e tuttora sono cristiano, ma non quel tipo di cristiano che attacca gli altri per il loro credo. Non vado a messa, dunque tecnicamente non sono cattolico, ma resto cristiano. Quando mi trovo in Europa vado in chiesa appena posso, in Italia in particolare. Oggi, ad esempio, andrò a visitare la Basilica di San Lorenzo. Sono stato denunciato per “Piss Christ”, mi hanno accusato di essere blasfemo: la verità è che sono cristiano ma anche un artista, dunque utilizzo i simboli della fede, il corpo e il sangue di Cristo. Quanto alle opere che custodisco in casa, sono un collezionista. Possiedo opere d’arte rinascimentale, mobili, arredi sacri, croficissi lignei, cassapanche».

Immagino che lei abbia letto il saggio di James Elkins “Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea” (edito in Italia da Johan & Levi), “On the strange place of religion in contemporary art”, in cui l’autore indaga il fatto che nell’ultimo secolo i simboli religiosi sono stati utilizzati solo per creare opere irriverenti, scandalose, molto raramente opere di carattere spirituale. Perché?
«Non ho letto questo saggio, ma una cosa è certa: a partire dal 17esimo secolo arte e religione hanno seguito percorsi diversi. Una distanza che nell’ultimo secolo si è progressivamente accentuata. Quanto al mio lavoro, sono un devoto cristiano ma per il 35esimo anniversario della mia opera più celebre sta per uscire un Nft di “Piss Christ”, in occasione di Art Basel. E poi, quanto alla mia fede, ho un sogno».

Quale?
«Ho sempre voluto incontrare papa Francesco, aspetto la sua benedizione. Non è un Papa qualsiasi, è un Papa eccezionale. Dunque spero mi ascolti».